La soffiata riservata che fece saltare l’arresto del boss Tegano
Il retroscena emerge dalla deposizione del pentito Roberto Moio al processo “’Ndrangheta stragista”. «Diversi poliziotti fornivano informazioni alla ‘ndrangheta». E i pregiudicati alloggiavano al Miramare «senza registrazione». Il summit interrotto senza conseguenze e l’incontro per siglare la pax

«Il boss Giovanni Tegano riuscì a sfuggire ad un blitz grazie alla soffiata di appartenenti alle forze dell’ordine infedeli che diedero l’informazione». È quanto afferma il pentito Roberto Moio al processo “’Ndrangheta stragista” in corso davanti alla Corte d’Assise di Reggio Calabria. Il collaboratore, già appartenente alla famiglia Tegano, è stato chiamato a riferire dei rapporti fra lo storico casato di mafia e ed alcuni esponenti siciliani e pugliesi. Nel corso del racconto, però, la sua attenzione si è focalizzata anche su un episodio piuttosto indicativo.
I poliziotti infedeli
«Quanto al rapporto con le forze dell’ordine – spiega Moio – c’erano due poliziotti che abitavano vicino casa mia ed ai quali dovevo far assumere il cognato in una ditta. Poi ricordo che entrò o alla Leonia o alla Multiservizi». Per il collaboratore «c’erano scambi di favori». Ma chi era, fra i Tegano, a tenere tali rapporti?
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