Rogo alla Tendopoli, resta senza responsabili la morte di Becky Moses
La Corte d'assise di Palmi assolve Lisa Emike Potter dall'accusa di omicidio. La Procura aveva chiesto l'ergastolo. Secondo il pm aveva ordito la trama mortale in cui rimase uccisa la 26enne nigeriana
La Corte d’Assise di Palmi ha assolto Lisa Emike Potter dall’accusa di omicidio. La donna, difesa dagli avvocati Ugo Singarella e Antonino Catalano, era accusata di essere la mandante dell’incendio divampato la notte del 27 gennaio 2018 all’interno della baraccopoli di San Ferdinando, abbattuta nel marzo scorso. Nell’incendio aveva perso la vita Becky Moses, la 26 nigeriana da poco traferita nel ghetto nero della piana da Riace, dopo che la sua domanda di protezione internazionale era stata respinta.
La procura di Palmi aveva chiesto si condannare la Potter all’ergastolo. Una richiesta fondata sulle dichiarazioni di alcuni testimoni che vivevano nella baraccopoli e degli accertamenti dei carabinieri del Ris di Messina. Il movente, secondo quanto era emerso nel corso delle indagini, sarebbe stato la gelosia della Potter nei confronti di Becky Moses. Donna avrebbe, quindi, corrisposto una somma di denaro a due uomini per appiccare l’incendio alla baracca in cui dormiva la presunta rivale in amore. Un incendio di vaste proporzioni, se si considera che andarono distrutte più di 200 baracche, provocando la morte della 26enne e ferendo in maniera seria anche altre due persone.
La Potter era riuscita a lasciare l’Italia dopo la tragedia, ma le forze di polizia erano riuscite a trovarla e ad arrestarla. Alla procura di Palmi, infine, era toccato il compito di istruire il processo davanti alla Corte di Assise con l’accusa di omicidio.
Il pubblico ministero alla fine della sua requisitoria aveva invocato l’ergastolo per la donna senegalese, ma i giudici palmesi hanno reputato non sufficienti le prove portate in aula dalla procura. Al contrario, la Corte d’assise ha accolto la richiesta di assoluzione che era stata formulata dai legali della Potter, gli avvocati Ugo Singarella e Antonino Catalano, assolvendo l’imputata e ordinando la sua scarcerazione.