venerdì,Marzo 29 2024

Il pentito Liuzzo riapre il caso della morte di Paolo Schimizzi

Il collaboratore non ha dubbi: «Bisogna guardare al divorzio fra De Stefano e Tegano». E pone l'ex reggente più in alto di Paolo Rosario De Stefano

Il pentito Liuzzo riapre il caso della morte di Paolo Schimizzi

«Sulla scomparsa di Schimizzi, voglio dire, ecco c’è solo da guardare il divorzio che c’è stato». L’imprenditore Pino Liuzzo tocca anche argomenti particolarmente delicati davanti ai magistrati della Dda di Reggio Calabria, nel corso dei suoi primi interrogatori da collaboratore di giustizia. Fra questi c’è anche quello relativo alla scomparsa di Paolo Schimizzi, il reggente del clan Tegano, di cui non si ha più traccia dal settembre del 2008. Una morte che oggi è possibile ascrivere ad un caso di lupara bianca. E Liuzzo conosceva piuttosto bene Schimizzi, se è vero che racconta ai pubblici ministeri di averlo incontrato diverse volte.

«Con Schimizzi si poteva parlare»

«Cannavò (inteso come territorio della cosca Libri, ndr) aveva anche degli accordi di Paolo Schimizzi, di Paolo Rosario (De Stefano, ndr», spiega Liuzzo che poi parla anche dei lavori che il reggente dei Tegano faceva su corso Garibaldi: «Diciamo… diciamo.. ecco che lo avvicinavano più a Paolo Schimizzi… Come tutti… Come tutti i lavori su corso c’è stato un periodo che li faceva, per ristrutturazione, li faceva solo Paolo Schimizzi… lei questo lo sa benissimo. Giusto! Ma stava bene a tutti, significa che erano degli accordi… io pure mi sono incontrato tante volte con Paolo, abbiamo parlato tante volte, ma io sinceramente come mi sono incontrato con lui mi sono incontrato con Paolo Rosario De Stefano, ma se io devo mettere a tutti e due su una bilancia… Paolo Schimizzi… per dire perché erano…». Il pm Lombardo lo interrompe: «Pesava sicuramente di più». E Liuzzo riprende: «Ma a parte che pesava di più, era una persona con cui si poteva parlare…».

La scomparsa di Schimizzi

A questo punto il pubblico ministero decide di incalzare Liuzzo. «E sulla scomparsa di Schimizzi?». Le parole del collaboratore sono molto nette e sintetiche. Ecco il passaggio dell’interrogatorio.

Liuzzo: Ma sulla scomparsa di Schimizzi, voglio dire, ecco c’è solo da guardare il divorzio che c’è stato (inc…)

Lombardo: Le problematiche interne a quelle famiglie

Liuzzo: Quello è stato un discorso… io penso, voglio dire, da quelo che ne abbiamo parlato, o si è vociferato… il discorso di Mario Audino, per i De Stefano, voglio dire, è un boccone che non è mai andato giù, perché inizialmente

Lombardo: Di Mario Audino… di Mario Audino

Liuzzo: Di Mario Audino… che il… perché prima il casato era unico De Stefano Tegano, quando c’era la guerra, era unico!

Lombardo:

Liuzzo: Voglio dire… poi c’è stato voglio dire, questa scissione (…).

Il pentito, quindi, parla chiaramente anche lui di profonda scissione all’interno della cosca De Stefano – Tegano, una circostanza emersa ormai chiaramente anche in diverse altre carte processuali.

Gli altri pentiti

Le parole di Liuzzo, che riapre in qualche modo il caso della scomparsa di Paolo Schimizzi, s’incrociano con quelle degli altri collaboratori di giustizia. Tutte convergono almeno su un aspetto: Paolo Schimizzi fu fatto fuori per mano della sua stessa cosca. Un regolamento di conti in piena regola. Ne è convinto prima di tutti – e per esperienza diretta – anche Roberto Moio, uno dei pentiti più importanti degli ultimi anni. Intraneo al clan Tegano, Moio è riuscito a svelare tantissime informazioni fondamentali al pubblico ministero Giuseppe Lombardo, anche sulla vicenda Schimizzi. «Dopo che abbiamo saputo della scomparsa di Schimizzi – spiegò Moio a più riprese – ci siamo riuniti dietro la chiesa di Archi. Eravamo circa dieci e tutti componenti della cosca Tegano. Ad un certo punto è arrivato Antonio Lavilla e ci ha detto di stare calmi, di attendere senza assumere alcuna iniziativa». Di fatti, quel messaggio che sarebbe stato portato da Lavilla, cambiò decisamente le cose visto che all’interno del clan non tutti sapevano come erano andati veramente i fatti. Si pensava ad una vera e propria dichiarazione di guerra da parte di un’altra cosca della città, ma poi si venne a sapere che la faccenda era tutta interna al clan. «Abbiamo appreso che Paolo era stato ucciso su mandato di Giovanni Tegano» conferma Moio, ripetendo quanto già detto in altre occasioni. Tuttavia, l’aver saputo della fine di Schimizzi non cancella le fratture esistenti all’interno del clan Tegano che, secondo Moio, aveva «da una parte Franco Benestare e Antonio Lavilla» e dall’altra «Michele Crudo, Branca e Polimeni». E sarebbe stato proprio Michele Crudo ad avere un diverbio sfociato in una vera e propria lite con Paolo Schimizzi poco prima della morte. A giudizio di Moio e degli altri di quel gruppo, «loro avevano avuto un ruolo nella questione di Paolo». Parole, queste, che scatenarono la pesante reazione dello stesso Crudo, il quale, nei colloqui in carcere fece presente ai suoi familiari la paura che gli potesse essere «accollato il fatto di Paolo», alludendo ovviamente proprio a Schimizzi. Ci fu un momento nel qualche addirittura il genero del boss Giovanni Tegano disse che se avesse parlato lui, le parole di Moio sarebbero state poca cosa. Si pensò ad una possibile collaborazione, circostanza poi smentita categoricamente dallo stesso Crudo con una lettera molto eloquente.

Di Schimizzi ha parlato – poco per ovvie ragioni – anche Nino Fiume, ricordando che «Paolino andava un po’ per i fatti suoi e doveva essere frenato», disse il pentito al processo “Archi”.

Molto interessanti, invece, si rivelarono le dichiarazioni di un pentito ritenuto credibile, come Consolato Villani, durante il dibattimento del processo “Meta”, in primo grado: «Nel 2010, quando sono andato via da Reggio Calabria, ho lasciato una cosca Lo Giudice distrutta. Sapevo che la mia scelta avrebbe comportato il crollo. Ma ho lasciato anche una città in mano alla ‘ndrangheta che comanda, che fa tutte le azioni che vuole quando vuole. Ricordo che mi fu detto, come dopo la scomparsa di Schimizzi io dovevo essere pronto ad una eventuale nuova guerra. E forse a farla scoppiare l’aveva in mente proprio Nino Lo Giudice. Ricordo che quando scomparse Schimizzi ci fu una riunione di tutta la cosca per discutere dell’argomento. Avevamo molti dubbi che qualcuno si potesse permettere di uccidere il rappresentante di Giovanni Tegano. Aspettavamo ulteriori notizie, ma alla fine riuscimmo a capire che il problema non sussisteva: erano stati gli stessi Tegano a far fuori Schimizzi. Gli fecero un biglietto di sola andata e senza ritorno. Eppure – si domanda Villani – bisogna ancora capire perché i Tegano, subito dopo la sua scomparsa fecero una sceneggiata. Alcuni di loro lavoravano al mercato e venivano accompagnati da altri giovanotti per diversi giorni». Villani fornisce anche la spiegazione della scomparsa di Schimizzi: «Nino Lo Giudice mi disse che Schimizzi si prendeva i soldi e non li dava più a Giovanni Tegano, trasgrediva le regole perché si sentiva il capo della cosca».

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