venerdì,Marzo 29 2024

«Negli anni ’90 ignorate le tracce che portavano dal boss Graviano a Berlusconi»

Il direttore della Direzione centrale anticrimine Francesco Messina sentito nel processo 'Ndrangheta stragista svela che allora c'era una fonte pronta a raccontare dei rapporti fra il Cavaliere, Dell'Utri e il mammasantissima di Brancaccio

«Negli anni ’90 ignorate le tracce che portavano dal boss Graviano a Berlusconi»

di Alessia Candito – Fin dal ’94 c’era traccia precisa e concreta dei rapporti economici e politici fra Silvio Berlusconi e i fratelli Graviano, ma nessun approfondimento è stato disposto al riguardo. «O almeno, non fino a quando io sono rimasto alla Dia». Parola di Francesco Messina, oggi direttore della Dac, la direzione centrale anticrimine, negli anni Novanta caposettore del centro Dia a Milano e in tale veste impegnato sul fronte delle indagini sugli attentati continentali, «prima su quello di via Palestro a Milano – specifica – poi in una più ampia attività su quelle stragi».

Quella traccia su Berlusconi che nel ’96 nessuno ha approfondito

A chiamarlo a testimoniare al processo “’Ndrangheta stragista”, l’avvocato Giuseppe Aloisio, legale del boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, imputato insieme al mammasantissima di Melicucco, Rocco Filippone, come mandante degli attentati calabresi che fra il 93 e il 94 sono costati la vita ai brigadieri Fava e Garofalo e gravi ferite ad altri quattro militari. Ma è sulle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo che salta fuori la traccia investigativa sui rapporti fra Berlusconi e Graviano che nessuno, da quando l’annotazione è stata depositata in procura a Firenze, ha inteso esplorare o far esplorare.


Da fiancheggiatore a riluttante informatore

Un input arrivato da Salvatore Baiardo, indagato come favoreggiatore della latitanza dei Graviano e poco dopo il suo arresto riluttante fonte investigativa su quel periodo. Un personaggio controverso. Gelataio e in passato consigliere comunale Psdi di Omegna, paesino alle porte di Novara, viene introdotto alla corte dei Graviano da Cesare Lupo, fedelissimo dei boss di Brancaccio e cugino di sua moglie.


Un verbale da approfondire

Nell’estate del ’94, Messina arriva a bussare alla sua porta a partire da un’assai sintetica testimonianza messa a verbale dai carabinieri nelle fasi immediatamente successive all’arresto dei Graviano. Ai “cugini”, Baiardo si era detto pronto a raccontare particolari e dettagli sugli affari dei due boss a Milano, ma alle prime indicazioni non erano stati trovati riscontri, lui bollato come inattendibile e messo da parte. Messina decide invece di approfondire.

Informazioni sì, ma con garanzia di anonimato

«I primi incontri avvengono nella zona di Omegna, fra luglio e agosto del 94» spiega Messina. All’epoca Baiardo è ancora indagato come fiancheggiatore, sebbene per lui fosse stata già chiesta l’archiviazione. Ma non vuole essere identificato, chiede che le informazioni che fornisce non vengano formalmente ricondotte a lui. E forse non a caso. All’epoca il capo del governo era Silvio Berlusconi e Baiardo si è detto pronto a raccontare dei rapporti fra lui e i fratelli Graviano.

Quelle chiacchierate fra Filippo Graviano e Dell’Utri

Con i due boss palermitani – racconta in aula Messina – il gelataio di Omegna ha avuto rapporti per lungo tempo «dall’89 fino al loro arresto». Li ha visti e frequentati e con loro, li ha portati in giro per il Nord Italia – non a caso, suo è il cellulare che gli investigatori seguono per ricostruire gli spostamenti dei due boss palermitani – e ha avuto modo di ascoltare anche le loro chiacchierate. Che nell’estate ’94 riferisce agli investigatori. «Ci disse di aver assistito a due conversazioni telefoniche fra Filippo Graviano e Marcello Dell’Utri, dalle quali si evinceva che i due avevano in comune interessi economici. Nella prima di queste telefonate, avvenute fra il ‘91 e il ‘92, aveva capito che l’interlocutore era Dell’Utri perché Filippo Graviano aveva pronunciato questo nome per farsi annunciare».

Dal socio Fulvio Lima al prestanome Rapisarda, tutti in affari con Graviano e Dell’Utri

Altri elementi invece li ha ottenuti nel corso della lunga frequentazione con i boss di Brancaccio. «Nel corso di vari incontri intrattenuti con i fratelli Graviano e Cesare Lupo, Baiardo aveva ricevuto dettagli sui rapporti che legavano i Graviano a Dell’Utri e che in questo contesto di comuni affari c’era anche tale Fulvio Lima di Palermo, parente di Salvo Lima» spiega in aula Messina. «Poi – dice, sintetizzando le conversazioni dell’epoca – aveva aggiunto che questo imprenditore di origini palermitane chiamato Rapisarda si era prestato a investimenti immobiliari sia in Lombardia, sia in Sardegna e che era un prestanome dei Graviano».


«Interessati a Forza Italia perché avrebbe tutelato i loro interessi»

Ma Baiardo all’epoca non si era mostrato a conoscenza semplicemente dei rapporti economici fra i boss di Brancaccio e il premier di quegli anni. «Ci disse – racconta Messina – che prima dell’arresto i Graviano, tramite Dell’Utri, erano interessati al nascente movimento politico di Forza Italia perché erano convinti che questo avrebbe garantito e tutelato i loro interessi». E al riguardo, agli investigatori all’epoca ha anche riferito «di aver accompagnato fisicamente – tra il 92 e il 93 – in un ristorante milanese che si chiama “L’Assassino” in cui i due avrebbero dovuto incontrare Dell’Utri, ma che lui poi non avrebbe assistito all’incontro».


Filippo Graviano «mente finanziaria della famiglia»

Nomi, quelli di Dell’Utri in primis, che Graviano – che pur più e più volte ha evocato Berlusconi – si è sempre rifiutato di fare, parlando genericamente di «imprenditori milanesi». Un imprevisto nella deposizione di un teste chiamato in aula dall’avvocato del boss o l’ennesimo messaggio con destinatari più fuori che dentro il tribunale nella strategia del dire e non dire di “Madre natura”? Si capirà. Di certo, però c’è un passaggio che Graviano potrebbe non aver gradito per nulla ed ha che fare con il fratello Filippo, di cui è sempre stato attento a non parlare. «Per Baiardo – spiega Messina – i rapporti con Dell’Utri li aveva soprattutto Filippo, che a suo dire era la mente finanziaria dei due fratelli». E il cugino Salvatore Graviano, da tempo morto a causa di un tumore, vero mediatore dei rapporti con Berlusconi a detta di “Madre Natura”? La Dia non ne ha trovato traccia nelle indagini dell’epoca.

La disponibilità a corrente alternata di Baiardo

Tutte informazioni che il gelataio di Omegna si è sempre rifiutato di ripetere di fronte ai magistrati. «Ha avuto sempre un comportamento un po’ ondivago – spiega Messina – Con noi, ci furono dei contatti preliminari finalizzati a capire se fosse intenzionato a collaborare e sembrava intenzionato a dare un contributo, tanto che il dottor Patronaggio e il dottor Caselli vennero da Palermo alla Dia di Milano per sentirlo. Lui fu convocato e all’apertura del verbale disse che non aveva nulla da riferire».


L’annotazione del 4 novembre 1996

Tuttavia quelle dichiarazioni sul tavolo dei magistrati ci sono arrivate. Stavano tutte nell’annotazione del 4 novembre ’96, redatta da Messina e firmata dal capocentro Dia di Firenze Zito. Il nome di Baiardo in quel documento non compare, viene indicato come «persona indagata e per la quale pende richiesta di archiviazione a Firenze», ma ci sono tutte le rivelazioni fatte agli investigatori. Ed è stata regolarmente «depositata a Firenze presso il procuratore capo Vigna». Ma al riguardo mai sono stati disposti approfondimenti. «Almeno fino al ’97, quando io sono rimasto alla Dia» specifica Messina.


Le mille facce di Baiardo e quelle piste da approfondire

Da allora, per lungo tempo Baiardo è sparito dai radar, per poi ricomparire quindici anni dopo, quando Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina cominciano a raccontare i segreti della strage di via D’Amelio e a tirare in ballo Graviano. Mentre Baiardo fa di tutto per scagionarlo. Tracce, anche queste, forse da approfondire. Anche perché le piste, sebbene abbandonate per oltre un ventennio possono ancora portare a risultati, come nel caso dell’hotel Majestic di Roma.

Traiettorie incrociate in via Veneto

È lì che nel gennaio ‘94 Forza Italia ha ultimato i preparativi per il suo battesimo ufficiale. Un albergo di lusso, a pochi passi da via Veneto e dall’ambasciata statunitense. Ma anche dal bar Doney, dove negli stessi giorni Graviano e il pentito Spatuzza, ha svelato il collaboratore, si sono incontrati per definire i dettagli per il fallito attentato all’Olimpico. Già in passato la Dia aveva certificato – incrociando voli aerei, celle telefoniche, note Digos, resoconti e testimonianze –che Dell’Utri e i Graviano si trovavano nella stessa zona di Roma, anzi nello stesso quartiere, a distanza di pochi isolati, esattamente negli stessi giorni. Da accertamenti recentissimi della Sezione Centrale antiterrorismo, arriva non solo la conferma. Ma anche qualche dettaglio in più.


In aula i dipendenti del Majestic

Perché registri e fatture sono spariti o sono stati mandati al macero. Il personale però ricorda gli incontri, le riunioni, i personaggi che hanno frequentato l’hotel. Magari non i nomi, ma spesso le facce. Fra loro c’è anche chi – svela un’informativa depositata di recente agli atti – può confermare che Dell’Utri ha incontrato anche personaggi «di chiara provenienza calabrese e siciliana che parlavano con marcato accento dialettale da me conosciuto per le mie origini calabresi» che si riunivano «ai tavoli del bar o nelle salette attigue» con l’intento di «sostenere il nascente movimento politico». E su questo a breve molti dei dipendenti del Majestic saranno chiamati a testimoniare in aula.

top