Villa squarcia il silenzio del dolore e ricuce il cordone della vita
Tra note di violino, lacrime silenziose, letture consapevoli, accordi di chitarra e cuori aperti si sono spenti i riflettori e aperti i cuori restituendo bellezza
Esiste un luogo del silenzio. E se in questo momento potesse trovare casa dovrebbe venire a Villa San Giovanni. Cosi, invocando il silenzio, i cittadini di Villa si sono dati appuntamento in un lembo di terra benedetto da Dio e maledetto dagli uomini. Un posto dove tutto sa di mare e dove il mare non ha nascosto l’abominio.
Tra note di violino, lacrime silenziose, letture consapevoli, accordi di chitarra e cuori aperti è stata restituita bellezza. È solo l’inizio. Ne siamo tutti consapevoli. Ma chi vive, chi abita questo posto ora ha bisogno di esorcizzare e restituire a quel bimbo la bellezza che non ha mai potuto assaporare. Ci hanno, grazie a un’iniziativa estemporanea voluta da Patrizia Flecchia provato riuscendoci tra commozione e sentimento. E come dipingendo una tela nera hanno ridato colore a luoghi dell’anima che da giorni vedono solo buio pesto. Basta rabbia, curiosità, caccia alle streghe. Esiste una comunità che chiede rispetto per tutta quella fragilità celata dietro l’orrore. E allora alle brutture si risponde con la bellezza. Due valigie colme di libri su una panchina che guarda lo Stretto e quei fiori, pupazzi, letterine, disegni e doni che in tanti continuano a lasciare li. Per quel bimbo diventato da giorni il simbolo di una responsabilità condivisa.
Serve silenzio perché esiste chi «guarda senza vedere. Si cercano dettagli che non sono necessari. La storia è troppo più grande di noi per poter pensare di mettere insieme pezzi che sazino la nostra curiosità. La nostra curiosità non finisce mai di essere saziata. E a furia di cercare il cibo perdiamo di vista l’essenziale. Una storia che ci supera e che forse dovremmo accogliere senza commentare. E senza cercare quel dettaglio che ci permetta di dire qualcosa in più. Non abbiamo mai abbastanza. E questo non saperne abbastanza ci dovrebbe bastare». Romina Arena lo ha detto leggendo parole che hanno lasciato varchi immensi di riflessione. Ognuno ha preso un libro da quelle valigie. Ha cercato immagini o spunti per riflettere consapevolmente in modo condiviso.
«Per stare dentro con quello che possiamo, come possiamo. Con le poche parole che conosciamo. Per riscoprire quel senso di umanità che forse la quotidianità corrompe che la comunicazione e lo stile di comunicazione a cui ci hanno educato ci conduce a perdere sistematicamente. Quell’umanità che ci insegna il silenzio davanti a quello che ci sfugge. Eppure dentro di sé ha una temperatura. Tragica. Atroce. Drammatica. Ma la temperatura è dalle persone chiuse dentro questa situazione. Chiuse dentro questa storia. Tutte. Tutte.
E allora più che chiederci ma come è stato e come non è stato? Forse ha più senso chiederci come persone della società civile, o cosiddetta tale, come ricucire, come riparare per ammendarlo questo strappo che mi riguarda perché è stato nella terra che calpesto tutti i giorni. Dove ho deciso di vivere. Dove vivo e ho i miei affetti perché questo è il posto che abito. E ogni strappo è uno strappo che mi riguarda». E la storia di una famiglia disastrosa non deve lasciare indifferenti ma allo stesso tempo non deve alimentare una storia fatta di storture. Oggi Villa ha materializzato quel che cantava Dè Andrè: «Dal letame nascono i fior».