Infanzia e adolescenza ferita a Reggio, Di Palma: «Dati allarmanti ma i ragazzi vogliono solo essere amati e ascoltati»
Una rete di confronto su fatti di cronaca che hanno smosso le coscienze ma per il Procuratore «è necessario anche che le stesse società, i cittadini, le famiglie facciano la loro parte perché altrimenti è una forma di deresponsabilizzazione»
«Abbiamo messo da parte un mese di maggio piuttosto caldo. Speriamo si tratti solo di casi isolati perché i fatti accaduti sono particolarmente allarmanti e ci impongono di avere un occhio maggiore. E questo lo consente solo la prevenzione. Seguire questi ragazzi per cercare di evitare che vengano risucchiati». Non ha dubbi Roberto Di Palma, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, circa quanto sta accadendo, soprattutto nell’ultimo periodo nella provincia reggina. La cronaca ci restituisce un quadro disarmante che vede i giovani sempre più spesso protagonisti di situazioni di violenza, degrado, abusi.
La cronaca
Di fronte alle vicende che hanno coinvolto recentemente dei minori del territorio in episodi violenti non possono essere archiviati come fatti di cronaca a cui si rischia di fare l’abitudine ma vanno visti come la spia di un disagio grave e diffuso che non si riesce ad intercettare. Per il centro Agape, infatti, è sotto gli occhi di tutti che non c’è una emergenza infanzia ma siamo di fronte ad una vera e complessa sfida educativa che richiede delle risposte organiche e strutturali, dove tutta la comunità nelle sue diverse componenti deve assumersi delle responsabilità attivando anche sinergie tra tutte le agenzie educative. Nasce da qui l’incontro per dare vita a un tavolo tecnico che metta insieme tutti gli attori istituzionali e sociali coinvolte per una alleanza educativa permanente. Un ruolo che potrebbe svolgere la Prefettura come organo di governo territoriale che ne ha le competenze.
L’incontro
Per discutere su questi temi il Centro Comunitario Agape, con il patrocinio della Città Metropolitana, ha deciso di promuovere un momento di riflessione ma soprattutto di raccolta di proposte tra diversi interlocutori che sono impegnati a contrastare questi disagi. E se da un lato la Prefettura ha confermato di aver già intensificato i controlli sulla movida reggina e di avere in programma degli incontri mirati ad ascoltare e far parlare i giovani, dall’altra la Procura ha già statistiche allarmanti.
Statistiche allarmanti
«La verità emerge intanto dal punto di vista statistico. I dati specifici sui quali ragionare emergono quando si analizzano i provvedimenti più ampi di carattere generale. Posso dirvi che praticamente tutte le informative che passano dai nostri uffici riguardano episodi che avvengono normalmente in una fascia oraria che va dalle tre del mattino alle cinque. Allora, la prima domanda è: ma perché ci sono minorenni in giro alle cinque del mattino? Perché questo bisogna dirlo chiaramente.
Oggi diamo per scontate molte cose. Perché questa gioventù è in giro a quell’ora? E soprattutto qual è il controllo, non preventivo, da parte delle forze di polizia? Perché guardate che qui il rischio più grosso è quello di fare un discorso un pò dispersivo. Possiamo dire che polizia, carabinieri, cultura e scuola tentano di risolvere il problema, e tutti questi uffici sono a disposizione per cercare di aiutare, ma c’è una parte che spetta anche ai privati. Abbiamo bisogno anche del supporto della società.
Oggi, ai ragazzi chiediamo troppo. Abbiamo dei ragazzi che iper-responsabilizziamo perché vorremmo che avessero subito la capacità di scegliere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ma la domanda preliminare è: chi aiuta questo percorso di crescita? Chi aiuta a raggiungere questa fase? La scuola è importante, ma prima di tutto c’è un problema di carattere familiare».
L’intervista
Di Palma ha analizzato diversi aspetti e disagi che hanno segnato le ferite in età infantile e adolescenziale. Abbiamo chiesto al Procuratore, partendo in particolare dal caso del neonato ritrovato morto a Villa, quali sono le responsabilità della società nella crescita di questi ragazzi e dell’attenzione che bisogna dare in alcuni casi specifici. Cosa ci fare di più, cosa è mancato per arrivare a determinate situazioni?
«Logicamente io non posso parlare di fatti specifici. Dico in generale che come diceva un poeta libanese per raccontare una bella storia ci vuole anche chi la storia la voglia ascoltare. Questo significa che noi come Stato possiamo offrire e offriamo tante cose però obbligatoriamente è necessario anche che le persone che hanno necessità si facciano avanti. E bisogna farlo in tempo perché altrimenti si rischia di dover intervenire soltanto poi a danno creato».
Serve, dunque, responsabilizzare anche le istituzioni come, i servizi sociali, la scuola le famiglia a fare forse un passo in più? È necessario che ci sia un’attenzione maggiore per poter intervenire in maniera preventiva?
«Tutto è perfettibile – ci ha confermato il procuratore Di Palma – è necessario anche che la stesse società, i cittadini, le famiglie facciano la loro parte perché altrimenti è una forma di deresponsabilizzazione».
È possibile pensare che in tal senso a strutturare a guardando al futuro appunto a un percorso dedicato proprio alla genitorialità, all’educazione che parta dalle coppie preventivamente?
«Su questo già si sta lavorando. Da tempo, faccio un esempio molto banale, quando mi invitando nelle scuole a parlare di legalità io chiedo di poter incontrare anche i genitori».
Ascoltando i giovani, soprattutto quelli che hanno manifestato un disagio, come nel caso dell’accoltellamento tra studenti a scuola, qual è l’allarme che avvertite? Qual è la richiesta che arriva da loro direttamente?
«I giovani normalmente hanno sempre e come tutti quanti voglia di essere amati e ascoltati. Quindi, noi dobbiamo cercare di strutturare degli interventi che li facciano sentire al centro dell’attenzione e soprattutto che non declinino le responsabilità. La società non può scaricare su di loro poi sperando che abbiano dei comportamenti responsabili quando in fondo sono minori».
Procuratore c’è qualcosa che noi adulti stiamo sbagliando? «Dobbiamo coinvolgere i genitori, perché sono loro i primi educatori. Parliamo del regalo per la prima comunione, del telefonino, di oggetti materiali, ma qualcuno deve aiutare questi ragazzi a diventare consapevoli. Non vanno demonizzati ma vanno introdotti e condivisi degli spazi educativi».