Riforma della giustizia, magistrati e giuristi in pensione si schierano contro il Governo: «Gravi segnali di Stato autoritario»
Manifestano «fermo dissenso rispetto a questa deriva, esprimendo vicinanza ai giudici oggetto di gravi ed ingiustificati attacchi e ribadendo che solo una giurisdizione libera e indipendente»
La riforma della Giustizia continua a tenere l’intero paese con il fiato sospeso. La posizione netta del Governo ha suscitato le reazioni di tutti gli attori del settore giustizia. E non sono rimasti in silenzio coloro i quali hanno segnato e in parte scritto la storia della giustizia italiana. Ormai in pensione, ma seriamente preoccupati dalle posizioni governative, 192 tra magistrati, civilisti e penalisti, in pensione e, prima ancora, come cittadini «esprimiamo preoccupazione per i tentativi dell’attuale maggioranza politica di modificare in senso autoritario la forma di Stato delineata dalla Carta costituzionale e di incidere sul fondamentale principio della separazione dei poteri».
Quella assunta sarebbe, secondo chi detiene la memoria storica del paese, un tentativo che potrebbe intaccare i valori costituzionali. «Il dirottamento e la restrizione fuori dal territorio del Paese di immigrati che tentano di trovare scampo da violenze, povertà e disagi, nella ricerca di quella vita dignitosa e tranquilla che costituisce diritto primario di ogni essere umano; le manifestazioni di insofferenza verso giornalisti non allineati alle politiche governative; gli attacchi sempre più frequenti nei confronti di magistrati che nell’esercizio delle loro funzioni emettono provvedimenti non graditi in materia di immigrazione, costituiscono soltanto alcuni e gravi segnali di questa progressiva trasformazione».
Non solo la separazione delle carriere. Anzi, ad essere analizzati sono «gli attacchi ai magistrati si accompagnano ormai con sempre maggior frequenza ad atti inqualificabili di profilazione e dossieraggio, per il cui tramite alla critica ragionata e motivata dei provvedimenti (sempre possibile in uno stato democratico riguardo all’esercizio di qualunque pubblica funzione) vengono sostituiti lo scherno e la denigrazione delle persone che li hanno pronunciati, alterando la realtà dei fatti ed il significato delle norme, e del tutto incuranti della circostanza che anche la rappresentazione alterata dei fatti e delle norme può produrre come effetto quello di aprire un solco sempre più profondo tra i giudici e la collettività».
In pensione ma «appartenenti noi pure a quel popolo, titolare della “sovranità” cui fa riferimento l’art. 1 della Carta fondamentale, una sovranità che va sempre esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione, intendiamo manifestare fermo dissenso rispetto a questa deriva, esprimendo vicinanza ai giudici oggetto di gravi ed ingiustificati attacchi e ribadendo che solo una giurisdizione libera e indipendente è in condizione di garantire che il relativo esercizio possa esplicarsi a favore di tutti e nei confronti di tutti senza distinzione, anche nei confronti di quanti detengono il potere politico, rispetto alla legalità non esistendo e non potendo esistere zone franche.
Gli atti del governo, e le stesse leggi, debbono essere conformi alla Costituzione e alle regole dell’ordinamento sovranazionale che anche i governi sono tenuti a rispettare, e che i giudici, nella funzione istituzionale di interpretazione della legge, hanno il compito ed il dovere di applicare, assicurando per quanto compete alla giurisdizione il rispetto della legalità».
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