lunedì,Dicembre 9 2024

D’amore non si muore, di indifferenza si

Nel silenzio centinaia di donne scompaiono sotto le grinfie di chi giurava di amarle. Storie di ogni giorno che non risparmiano ragazzine che vivranno traumi legati a cicatrici non sempre visibili agli occhi

D’amore non si muore, di indifferenza si

Ha solo 16 anni. Sta camminando, come ogni santo giorno, per andare a scuola. Quello zaino un po’ troppo pesante in spalla e il passo veloce di chi sa di essere in ritardo. Chissà a cosa pensa Sara mentre si sente afferrata da un braccio e trascinata via con forza. Magari era sovrappensiero per il compito in classe di matematica o stava ripetendo nella sua mente in ansia per l’interrogazione di storia.

Una normalità infranta da un mostro che Sara difficilmente dimenticherà. Ha solo 16 anni e l’uomo che ha tentato di stuprarla mentre andava a scuola è un signore di mezza età italiano, giusto per sedare fin da subito sterili polemiche, che senza alcun apparente motivo ha usato una violenza su una minorenne totalmente incurante delle conseguenze. Una pattuglia passa e interrompe quella scena drammatica e Sara a quegli angeli in divisa deve molto. Il trauma rimarrà indelebile nonostante l’intervento e questo ci porta inevitabilmente a domandarci come sia possibile.

Giudicare o additare il “mostro” di turno non ci renderà meno colpevoli di aver consentito che le nostre città, i nostri paesi diventassero dei luoghi insicuri anche di mattina andando a scuola. Il confine è stato superato. E non importa che si chiami Giulia, Sara o Maria Antonietta. Non importa che sia minorenne o una donna di mezza età. A questa violenza non dovremmo rimanere mai indifferenti. E se le cronache restituiscono un quadro raccapricciante fatto di uomini violenti, di amori tossici, di gelosie e possessività passate per amore è nostro dovere non fare finta di niente perché la prossima potresti essere tu, tua figlia, tua madre, sorella, amica, la prossima potrei essere io. E guai a sentirci esenti da questo discorso. Uomini e donne siamo tutti responsabili di un’educazione distorta che stiamo consegnando a chi ci guarda, figli in primis, perché ogni volta che accetti o perdoni un insulto o uno schiaffo stai insegnando a tua figlia cosa tollerare.

E il momento di dire basta è stato superato già da un po’. I dati nazionali parlano chiaro. E non si muore d’amore. Le donne, troppe donne, muoiono di silenzio e indifferenza. Se assistiamo ad atteggiamenti che minano la stabilità di una donna, anche e soprattutto psicologici, se ci giriamo dall’altra parte siamo complici. Possiamo denunciare ed essere noi la forza di una donna che forza non ha.

Ci sono ragazzine che si lasciano ammaliare da incantatori che, con qualche anno più di loro riescono a circuirle. “Non devi più uscire con i tuoi amici. Ma sei pazza a vestirti così per andare a scuola. Devi cancellari dai social. Io se non fai come ti dico non posso stare con te”. Sono i messaggi che ho letto nel cellulare di una ragazzina poco più che 15enne che con le lacrime agli occhi ha avuto un attacco di panico di fronte a me. Potevo ignorare quella richiesta d’aiuto ma non l’ho fatto. Le tremavano le mani mentre le spiegavo che doveva allontanarsi immediatamente. “Ho paura”. Poche parole che mi hanno spezzato e responsabilizzato allo stesso tempo. Il personaggio in questione è stato bloccato e allontanato e per lei una rete di protezione è stata messa in piedi. Uno scudo che le ha permesso di tornare a sorridere. Serve empatia, apertura e quella necessaria sensibilità per comprendere che dietro quegli occhi lucidi potrebbe nascondersi un dramma che, solo se non rimaniamo indifferenti, possiamo anticipare ed evitare.

Di storie ne potremmo raccontare tante ma quello che serve oggi è comprendere che nessuno si salva da solo. Chiedere aiuto è la prima via di salvezza e la paura è un sentimento normale ma basta dire “non sei sola, io ci sono” per dare la forza che serve ad evitare l’ennesimo femminicidio. Siamo tutti responsabili dell’altro che domani potrei essere io.

Poi esiste un fenomeno ancor più irritante qualora fosse possibile. “In fondo se l’è cercata” è una frase tanto comune quanto emblematica del modo in cui i pregiudizi influenzano il modo di intendere la violenza di genere. Spesso, infatti, le vittime di violenza di genere sono bersaglio di una seconda vittimizzazione, che assume la forma dello screditamento e dell’attribuzione di responsabilità per la violenza subita. 

Uomo e donna: uno squilibrio nella rappresentazione del colpevoleLa narrazione è incentrata sulla vittima, la donna, e riporta spesso su di lei un linguaggio colpevolizzante. Il fenomeno è definito “victim blaming” e consiste nel ritenere la vittima responsabile di quanto le è accaduto, sia in maniera diretta (es. come era vestita, cosa aveva fatto per farlo arrabbiare) che in maniera indiretta (es. analizzando stili di vita e comportamento della donna).

Ed è di questo che soffriamo maggiormente. La libertà negata già dalla concezione distorta che una donna sia in ogni sua espressione provocatoria per l’uomo che, quasi, si giustifica se assume comportamenti più simili agli animali. Questa è la vera realtà distopica che stiamo narrando e che ci responsabilizza, ognuno nel suo quotidiano, per ristabilire un equilibrio e una nuova narrazione dell’amore che passa dal rispetto della libertà di ogni donna e dalla necessità di ricostruire un’affettività semplice e pulita che si ferma di fronte a un NO, che accetta un rifiuto e che concepisce di non dover ottenere tutto a qualsiasi costo e senza freni.

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