Angela Verbaro torna a Reggio: «Papà denunciò il pizzo per darci un futuro di libertà» – VIDEO
Nel 1997 suo padre Giuseppe, primo testimone di giustizia reggino, smise di pagare e si rivolse alle forze dell'ordine. Racconta la sua storia e dice: «Noi siamo il passato. Oggi, con le associazioni antiracket e le normative vigenti, sarebbe stato tutto diverso»

«Sono tornata a Reggio Calabria per testimoniare che si può vincere la battaglia contro il racket e che la storia di mio padre non sarà più la storia di chi oggi decide di denunciare. Io rappresento in qualche modo il passato e tutto quello che mio papà ha dovuto subire e che noi tutti abbiamo dovuto affrontare andando via da Reggio Calabria, oggi, grazie all’impegno dei movimenti antiracket e del nuovo quadro normativo, non sarebbe più necessario».
Angela Verbaro è orgogliosa mentre racconta, nella città che ha dovuto lasciare da bambina, la sua storia familiare. È profondamente motivata nel mettere al servizio della causa della federazione Antiracket la sua testimonianza. Angela è la figlia di Giuseppe Verbaro, panettiere che negli anni Novanta si ribellò all’ennesima richiesta estorsiva decidendo di non cedere più ai ricatti della ‘ndrangheta e di denunciare. Questo all’epoca significò smettere di fare il pane a Reggio e, con la famiglia, cambiare città e generalità entrando in un programma di protezione. Fu il primo testimone di giustizia di Reggio Calabria. Con il presidente onorario della federazione associazioni Antiracket e anti Usura italiane, Tano Grasso, Angela è tornata a Reggio, in occasione della passeggiata antiracket promossa dalla Fai, per incoraggiare i commercianti e perchè oggi denunciare si deve.
Il coraggio di papà Giuseppe
«Mio padre ha denunciato nel 1997. Aveva un panificio insieme a mio zio in via Sbarre Centrali. Ha pagato il pizzo per vent’anni alla cosca Labate. In un momento della sua vita, in particolare quando mia nonna, sua madre, venne a mancare, decise che avrebbe denunciato e che avrebbe smesso di pagare perché voleva essere libero nella sua terra. L’unico interlocutore avrebbe dovuto essere lo Stato. Nessun altro. All’epoca abbiamo dovuto cambiare generalità e città. Avevo nove anni quando siamo andati via da Reggio.
Ma ciò che è accaduto a noi è stato il frutto di un contesto normativo lacunoso in cui neppure si distingueva tra collaboratore e testimone di giustizia. Il movimento antiracket anche a Reggio Calabria non era presente come è presente oggi, frangente storico in cui vi è una consapevolezza diversa sia nel tessuto sociale ma soprattutto nelle istituzioni. Lo Stato e la politica sono compatti, e le leggi oggi vigenti lo dimostrano, nell’affermare che ci deve essere il sostegno a chiunque decida di riscattarsi. Oggi il patto da sottoscrivere è tra società civile, imprenditori e istituzioni perché il contesto normativo permette di affrontare un percorso di riscatto e non ci sono veramente più scuse per continuare a pagare il pizzo.
Non abbiamo a lungo raccontato la nostra storia. Invece è giusto farlo. Mio padre è orgoglioso della sua scelta. Gli ho chiesto di recente: “Papà, ma alla fine di tutta questa storia, è valsa la pena?”. Lui mi ha risposto: “Sì ne è valsa la pena perché io l’ho fatto per voi”», ha raccontato Angela, oggi avvocata 37nne, la più piccola di tre figli. Papà Giuseppe è fiero di averlo fatto per lei e per i suoi due fratelli più grandi.
Un confronto storico decisivo per scegliere di denunciare
Ed è proprio il presidente onorario della federazione associazioni Antiracket e anti Usura italiane (Fai), Tano Grasso, a sottolineare l‘importanza della testimonianza di Angela Verbaro a Reggio.
«Ho voluto che anche Angela Verbaro fosse qui a Reggio in questa occasione per mettere a confronto due epoche e due momenti storici profondamente differenti. Quando ho conosciuto Angela, lei era solo una bambina. La storia della sua famiglia e del coraggio di suo padre Giuseppe sono oggi il segno tangibile di quanto le cose siano cambiate rispetto a quei terribili anni in cui denunciare significava chiudere l’azienda, cambiare nome e trasferirsi in una località segreta.
Oggi, per fortuna, non è più così. Questa percezione deve essere chiara. L’associazione Fai rappresentata da Francesco Siclari è un fondamentale punto di riferimento qui a Reggio e al suo fianco ci sono tutte le istituzioni. Occorre che i commercianti reggini ne prendano consapevolezza e contribuiscano a farla crescere», così ha concluso il presidente onorario della federazione associazioni Antiracket e anti Usura italiane (Fai), Tano Grasso.
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