giovedì,Giugno 19 2025

‘Ndrangheta a Reggio, colpo alla cosca Labate: 4 arresti – NOMI

All'alba l'operazione dei Ros. In tre in carcere, un quarto ai domiciliari

‘Ndrangheta a Reggio, colpo alla cosca Labate: 4 arresti – NOMI

Il 13 maggio 2025, il ROS – con il supporto in fase esecutiva del Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria e  dello Squadrone Eliportato Carabinieri Cacciatori “Calabria” – coordinato dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria diretta dal Procuratore della Repubblica f.f., dr. Giuseppe LOMBARDO, ha dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti dei sottonotati 4 indagati ritenuti di far parte della cosca “Labate”, articolazione ‘ndranghetista egemone nella del quartiere Gebbione di Reggio Calabria, indagati, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso. Si tratta di Labate Michele cl.56, Labate Francesco Salvatore cl.66 (destinatario della misura della custodia cautelare in carcere), Labate Paolo cl.85 (destinatario della misura della custodia cautelare in carcere) e Laganà Antonino cl.71 (destinatario della misura degli arresti domiciliari presso il proprio domicilio). I provvedimenti scaturiscono da un’articolata indagine del ROS, avviata nel 2019, che ha consentito di documentare:

Gli assetti della cosca, riattualizzandoli, nel periodo successivo gli arresti eseguiti nella precedente indagine “Heliantus”, rispetto al quale il presente procedimento si è posto quale logica prosecuzione, mettendo in luce come il sodalizio abbia mantenuto inalterata la peculiare pervasività sul tessuto economico della zona di influenza, consentendo di individuarne – quanto meno in termini di gravità indiziaria e ferma la presunzione di innocenza valevole sino al passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di condanna – il vertice nei germani Labate Michele e Labate Francesco Salvatore, in virtù dello stato di restrizione dei fratelli maggiorenti Labate Antonino cl.50 e Labate Pietro cl.51, ritenuto da sempre capo carismatico del sodalizio.

Il pervasivo controllo del territorio esercitato da Labate Michele il quale, per ridurre i rischi di esposizione alle indagini delle forze di polizia, ha organizzato una ben congeniata rete di comunicazioni attraverso incontri riservati presso luoghi ritenuti sicuri, utilizzando fidati fiancheggiatori per “schermare” gli appuntamenti.

La pressione esercitata dagli indagati sugli operatori economici del territorio di riferimento che subivano sistematiche azioni vessatorie, volte all’imposizione di prodotti alimentari e al pagamento di proventi estorsivi. In tale quadro, Labate Paolo cl.85 – anche per conto del padre Michele, durante il periodo di carcerazione – manteneva rapporti con gli imprenditori legati alla cosca da occulte sinergie, agevolando e coordinando l’infiltrazione in lucrosi settori di espansione economica tra cui quello della grande distribuzione alimentare;

La disponibilità da parte dei fratelli Labate Michele e Labate Francesco Salvatore di fidati collaboratori, tra cui è emerso Laganà Antonino, soggetto deputato a veicolare messaggi ed ambasciate, riscuotere proventi estorsivi, eseguire azioni ritorsive e mantenere rapporti con i rappresentanti della comunità Rom al fine di consentire alla cosca il controllo sulla microcriminalità operante sul territorio. Il procedimento penale si trova attualmente nella fase delle indagini preliminari e, pertanto, tutti i soggetti coinvolti devono considerarsi presunti innocenti fino a sentenza definitiva.

«Preliminarmente mi preme ringraziare la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, nella persona ovviamente del Procuratore Lombardo e del Procuratore Aggiunto, dottor Ignazitto, la cui presenza oggi è segno anche dell’importanza dell’attività che andremo ad esporre – ha espresso il vicecomandante del Ros – Si tratta di un’attività di alto profilo investigativo e, soprattutto, di forte impatto per il contrasto alla criminalità organizzata».

Prima di passare la parola al Comandante del Primo Reparto, Colonnello Barbera, il vicecomandante ha tenuto a sottolineare ulteriormente anche l’attenzione che il Centro – come si dice in gergo – riserva a un territorio particolarmente sensibile sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica. Un territorio che, ovviamente, non devo certo descrivere io, anche se ho iniziato la carriera proprio in queste aree, e che è di difficile penetrazione investigativa. Dunque, un plauso a chi ha operato, a chi ha valutato e a chi ha deciso la brillante conclusione odierna dell’attività».

«E’ un indagine partita nel 2019 molto complessa – le parole del colonnello Riccardo Barbera – importante non nei numeri ma il valore dei personaggi, riteniamo di aver arrestato i vertici della cosca Labate. La nostra attività di indagine compiuta attraverso le tecniche classiche di investigazione, utilizzando anche le dichiarazioni convergenti di diversi collaboratori di giustizia. La reggenza alla famiglia Labate in capo a Francesco Labate detto “Franco”. La cosca la fa da padrona nel quartiere Gebbione, riscontrate le autorizzazioni che i vertici davano a soggetti che si occupavano di piccoli crimini, la riscossione di pizzo, estorsioni e le infiltrazioni nell’economia legale, nei confronti di pasticcerie. Documentata l’imposizione nella scelta dei fornitori, un modo che arriva a viziare totalmente l’economia e non fa bene a nessuno».

Ignazitto: «C’è ancora paura di denunciare»

«È stato evidenziato il patrimonio indiziario, che si fonda essenzialmente su dichiarazioni di collaboratori di giustizia e su intercettazioni – due strumenti nevralgici per il lavoro della Direzione Distrettuale Antimafia, che ancora una volta si sono rivelati estremamente proficui – ha detto Ignazitto – Abbiamo inoltre utilizzato emergenze da procedimenti precedenti, perché questo procedimento è, di fatto, la prosecuzione del procedimento cosiddetto Helianthus, che ebbe inizio molti anni fa, al momento della cattura dell’allora latitante Pietro Labate».

«Ci sono due aspetti che, a mio parere, risultano particolarmente significativi all’esito delle indagini odierne. Il primo è legato alla capacità evocativa che determinati nomi continuano ad avere in determinati territori. Ed è una cosa che, sinceramente, nel 2025 sorprende, stupisce e – in qualche modo – rammarica, soprattutto perché in alcuni quartieri evidentemente manca, forse non la volontà, ma il coraggio o la capacità da parte di imprenditori e commercianti di denunciare».

«Nonostante dalle intercettazioni emerga – e questo dobbiamo dirlo con forza – la consapevolezza che i rappresentanti abbiano paura delle denunce, ci sono passaggi in cui si afferma che una volta erano ancora più spregiudicati, perché non temevano le denunce. Adesso le temono. Sono parole degli stessi commercianti, degli stessi imprenditori. Eppure, non ci si accosta alla polizia giudiziaria per formulare denunce esplicite. Anzi, il contrario: ci sono intercettazioni in cui qualche commerciante afferma “Alla fine cambiamo noi e lasciamo campare loro”. E questo, purtroppo, mette tristezza, perché appare come una forma di rassegnazione di fronte a scelte imposte dalla forza e dall’intimidazione».

«C’è stato un grande lavoro da parte del ROS, perché i soggetti monitorati nel corso delle indagini hanno adottato cautele comunicative molto stringenti, a volte straordinarie. Il timore delle intercettazioni era particolarmente forte».

«C’è poi un altro argomento che emerge in maniera penetrante: la promiscuità dei rapporti tra criminalità organizzata e frange malavitose della comunità rom. È un dato già emerso nell’ambito di altri procedimenti, come il procedimento Garden eseguito tempo fa. Emerge chiaramente come, negli ultimi anni, la criminalità organizzata – in particolare la ’ndrangheta militare – abbia stipulato veri e propri accordi operativi con soggetti malavitosi della comunità rom».

Questo si concretizza su un duplice piano: da un lato, in caso di furti o interventi messi in atto da componenti rom, i cittadini preferiscono rivolgersi agli esponenti della criminalità organizzata anziché all’autorità giudiziaria, per trovare il responsabile o risolvere il problema. E questo, lo ribadisco, è un fatto che mette profonda tristezza. Io spero che interventi come quello portato a compimento oggi dalla polizia giudiziaria possano costituire uno stimolo importante nei confronti della cittadinanza».

top