giovedì,Aprile 25 2024

Coronavirus “fase 2”, disturbi psicologici in aumento. La fatica di tornare alla normalità

Come chiarisce la psicologa Prestamburgo: «Il virus è stato un grande insegnamento che ci ha posto allo specchio e ci ha fatto guardare fino in fondo»

Coronavirus “fase 2”, disturbi psicologici in aumento. La fatica di tornare alla normalità

Tornare alla normalità dopo più di due mesi di chiusura non è semplice per tutti. Si parla di sindrome della capanna per spiegare le difficoltà di lasciare casa dopo esservi rimasti per molto tempo. Le statistiche parlano di un grande aumento dei disturbi psicologici. Come spiega Patrizia Prestamburgo, psicologa e psicoterapeuta.

Quali sono le tematiche si riscontrano nella “fase 2”?

«Le tematiche riguardano tutti gli aspetti del benessere psicologico. Siamo in un momento di importante e significativa emergenza psicologica. Le prime statistiche parlano di un aumento di ansia, depressione, insonnia, somatizzazioni a carico dell’apparato digestivo, cefalea, panico ed ancora aumento dei sintomi da stress post traumatico per chi ha avuto lutti e perdite economiche in questo periodo. Si è passati da una società liquida ad una società pietrificata in questa grande emozione di paura che ci accomuna e ci accompagna».

E ad accusare il colpo sono soprattutto bambini, sottratti alle loro routine

«I bimbi hanno risentito molto di questo isolamento sociale. Ormai hanno tutti ritmi ed abitudini sfalsati: vanno a letto tardi, mangiano ad orari sbagliati, aumentano i comportamenti di agitazione psicomotoria ed aumentano le dipendenze da videogiochi, che sono stati l’unico momento per rapportarsi coi loro compagni, soprattutto nel caso dei figli unici. Un sondaggio compiuto su 600 adolescenti tra i 12 e i 16 anni ha individuato che un adolescente su tre soffre di depressione. I bambini con difficoltà emotiva, i bambini autistici hanno risentito moltissimo di questo isolamento perché hanno interrotto le terapie motorie, verbali, i rapporti con i centri specializzati, magari riportando un aumento dei comportamenti aggressivi, dei comportamenti di agitazione».

Si è parlato di sindrome della capanna…

«In realtà non è una vera psicopatologia. La casa diventa quella bolla sicura di protezione dove appunto “Mi sento bene, mi sento protetta da un mondo che mi genera paura e stress”. L’idea poi di tornare ad una vita normale, con dei tempi frenetici, con stress lavorativo, orari di entrata e di uscita, i figli da accompagnare, accentua la sindrome. Ma è facile venirne fuori: dopo le prime volte che si riesce e ci si immerge nuovamente nella realtà questa sindrome si scioglie in maniera naturale, non richiede una psicoterapia. Com’è arrivata, in relazione al cambio di abitudini, così va via. Però è vero che ci si abitua a casa come ad una sorta di “cuccia calda”. È vero che alcuni hanno vissuto questo isolamento prendendosi cura di sé, riprendendo hobby in mano. E ora c’è la paura di perdere tutto questo».

Come riprendere i ritmi dopo questo grande periodo di chiusura e di pausa?

«Il virus è stato un grande insegnamento, certo, non voluto ma ci ha posto allo specchio e ci ha fatto guardare fino in fondo. C’è chi ha voluto farlo e quindi si è letto profondamente ed ha raccolto dall’inconscio i contenuti che emergevano. E c’è invece chi ha avuto difficoltà a farlo. Il mio consiglio è di utilizzare l’inconsapevole che è emerso per produrre un cambiamento. L’isolamento ci ha messo davanti a noi stessi. Approfittiamone per leggerci, per evolverci, per ampliare la nostra personalità, per sentire i nostri bisogno. È un’opportunità di crescita, anche se dolorosa».

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