A TU PER TU | La fiumara Sant’Agata tra la terra rossa delle montagne dell’Aspromonte: il fotografo Alessandro Mallamaci racconta “Un luogo bello”- VIDEO
Ospite degli studi del Reggino.it, l’autore del volume, selezionato per il Photolux Festival di Lucca, per il Lishui Photography Festival in Cina, una delle principali kermesse fotografiche a livello internazionale, ed esposto a Parigi, Chicago, Belfast e Derby

Un luogo di elezione in cui adesso vive con la sua compagna e con il loro bambino. È la Vallata del Sant’Agata, zona collinare di Reggio Calabria, tra i borghi di Cataforio, San Salvatore e Mosorrofa, attraversata dalla più ampia (omonima) fiumara che dall’Aspromonte scende verso il mare.
Ospite della nuova puntata di A tu per tu, negli studi del Reggino.it, Alessandro Mallamaci racconta di “Un luogo bello” (Gente di Fotografia, 2024), della sua ispirazione e della sua visione di una fotografia in cui ricercare sempre l’equilibrio delicato e complesso tra l’essere e il non essere “dentro” le foto e dietro la fotocamera. «Gabriele Basilico diceva che il fotografo deve fare sempre un passo indietro, mettendo da parte il narcisismo, quasi a scomparire dietro la fotocamera. Al tempo stesso, però, c’è lo spazio per essere poeti, un equilibrio complicato ma necessario», spiega il fotografo reggino Alessandro Mallamaci.
Vincitore del Premio InTarget e selezionato per una mostra al Photolux Festival di Lucca nel 2024, selezionato nel 2023 in Cina per il Lishui Photography Festival, una delle principali kermesse fotografiche a livello internazionale, “Un luogo bello” di Alessandro Mallamaci è un progetto altresì vincitore della Open Call e selezionato nel 2023 per la mostra The Performing Photobook, a cura di Francesca Serravalle, al Format International Photography Festival di Derby (UK) e per la mostra di libri Back on the Shelf al Filter Photo a Chicago (USA) e, nel 2022, per la mostra Photobook al Belfast Photo Festival, Belfast, Regno Unito. Il libro fotografico di Alessandro Mallamaci è, adesso, al centro di una serie di presentazioni, non solo nel reggino e non solo in Calabria.
La bellezza e la sofferenza dei luoghi
Dunque una ribalta nazionale e internazionale per uno sguardo originale che di questo luogo bello coglie la profondità. Strappa alla rassegnazione e all’oblio il suo fascino intrinseco, quello potenziale, quello sfigurato e quello trasfigurato, salvando e restituendo dignità a quella bellezza minacciata dall’agire irresponsabile e incurante dell’uomo.
Inevitabilmente, infatti, lo sguardo di Alessandro Mallamaci coglie le contraddizioni di un territorio bellissimo e tormentato, rendendo la sua fotografia, per il fatto stesso di essere fedele alla realtà, uno strumento di denuncia.
«La parola denuncia è rischiosa. Io fotografo quello che c’è. Sintetizzando in maniera estrema, Luigi Ghirri attribuiva alla fotografia di paesaggio la missione di lottare contro l’assenza di rappresentazione per provare a combattere contro una certa disaffezione verso le problematiche ambientali. La maggior parte di questa selezione di fotografie non contiene la figura umana, ma di fatto ne contiene gli effetti, il prodotto dell’azione e dell’interazione fra la natura e l’uomo. Non si tratta di scegliere di voler trasmettere quanto di brutto ci sia ma di documentare una realtà che ha luci e ombre, comprese quelle della ‘ndrangheta di cui è pregna certa subcultura dedita alle speculazioni ambientali e all’abusivismo edilizio. Amare un luogo significa anche questo. Raccontarlo con verità, affinché si intervenga». Dunque la bellezza resiste ma va coltivata e difesa e la fotografia, quale mezzo di espressione, può essere strumento per farlo.
In “Un luogo bello” si intrecciano tanti linguaggi, tante forme d’arte per dare vita a un racconto inedito fermato negli scatti con innesti narrativi di Corrado Alvaro, Umberto Zanotti Bianco, Saverio Strati, Norman Douglas e Giovanna Calvenzi.
Le coordinate geografiche ed emotive
«Due sono i punti di riferimento che Alessandro Mallamaci ci offre per entrare nel merito della sua narrazione. Il primo è geografico: “La vallata della fiumara Sant’Agata trova asilo tra la terra rossa delle montagne dell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, e si spinge verso il mare, fino a tuffarsi nello stretto di Messina. Il nome del corso d’acqua ha origine dal greco aghatè, che si lega a concetti quali bellezza, bontà, e nobiltà; come se i viaggiatori del periodo magnogreco avessero subìto l’incanto di questo luogo”. Il secondo è affettivo, una sorta di postfazione che intende chiarire il titolo del suo lavoro: “Questo è il mio paesaggio. Non posso non amarlo. È un luogo bello”. Una spiegazione non richiesta che mette in evidenza, da subito, dalla prima immagine, un legame forte ma anche consapevole e doloroso nei confronti di un paesaggio amato», scrive nella postfazione Giovanna Calvenzi, una delle più illustri photo editor italiane.
Un “sonetto” fotografico
«Tutto è nato per amore. Il nostro territorio, la nostra Provincia, secondo me, custodiscono una bellezza e una potenza sconfinate, pur recando i segni di una profonda sofferenza. Uno scrigno – spiega Alessandro Mallamaci – che così si è mostrato anche ai viaggiatori che l’hanno percorso e raccontato. Viaggio di cui ho voluto che ci fosse traccia nel mio racconto. La sequenza fotografica è divisa in quattro gruppi separati da quattro testi, con le parole di Corrado Alvaro, Umberto Zanotti Bianco, Saverio Strati, Norman Douglas, come a voler declamare un sonetto. Pensati sono la struttura e anche il materiale con il quale è stato realizzato. Per esempio, per la copertina è stata utilizzata una carta che si chiama Terra Rossa, come Saverio Strati e Corrado Alvaro chiamavano la terra dell’Aspromonte. Su di essa, con timbro a secco, è riprodotta tutta la mappa della Vallata del Sant’Agata. Anche la carta all’interno del volume – spiega ancora il fotografo reggino – è molto particolare, con una parte opaca e un punto di bianco caldo».
Il fotografo e la fotografia
«Antoine D’Agata riteneva che in fotografia è la presenza dell’autore nelle fotografie stesse, quindi il suo rapporto con quanto viene fotografato, a rappresentarne la cifra. Noi possiamo decidere di dedicarci alla fotografia come se fosse un esercizio di stile, copiando questo o quel fotografo, prediligendo oggi i ritratti, domani i gattini, dopodomani i fiori. Quando, tuttavia, ci dedichiamo in maniera netta ad un soggetto che per noi davvero è importante, quello sarà il momento in cui la nostra capacità autoriale farà un salto in avanti, seppure nella ricerca di quell’equilibrio di cui parlava Gabriele Basilico. Quando davvero ami qualcosa – conclude il fotografo reggino, Alessandro Mallamaci – questo tuo amore traspare e se poi ci metti anche impegno, riesci a comunicare agli altri l’importanza che ha per te il soggetto delle tue fotografie. Riesci a raggiungere anche la loro coscienza e magari anche a destarla».
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