sabato,Maggio 17 2025

Con “Non siamo qui” di Tino Caspanello cala il sipario al Teatro Primo su una stagione che interroga il nostro tempo

Un testo poetico e necessario chiude l’undicesima edizione della rassegna di Villa San Giovanni: due esseri umani in fuga dalla realtà per riscoprire la possibilità di un altrove

Con “Non siamo qui” di Tino Caspanello cala il sipario al Teatro Primo su una stagione che interroga il nostro tempo

Con lo spettacolo Non siamo qui di Tino Caspanello, è calato il sipario sull’undicesima stagione del Teatro Primo di Villa San Giovanni, uno spazio che da anni lavora sulla drammaturgia contemporanea con rigore, profondità e continuità. Il titolo, semplice e spiazzante, non è solo una dichiarazione: è una domanda che interroga chi guarda, chi ascolta, chi ancora prova a cercare un altrove possibile dentro e fuori la scena.

Lo spettacolo è andato in scena sabato 12 e domenica 13 aprile al Teatro Primo, davanti a un pubblico attento e coinvolto. La produzione è firmata da Teatro Pubblico Incanto, in collaborazione con Statale 114 – Distribuzione Latitudini, due realtà consolidate nel panorama del teatro indipendente. In scena, accanto a Cinzia Muscolino, lo stesso Tino Calabrò, che affianca l’attrice nella restituzione scenica di un testo scritto e diretto con precisione e misura.

Non siamo qui è il racconto di una fuga. Merilìn e il signor Pippo non scappano da qualcuno, ma da qualcosa: una società che ha perso autenticità, che ha trasformato il linguaggio in vuoto, le emozioni in superficie, la quotidianità in trappola. I due personaggi si muovono attraverso un tempo e uno spazio indefiniti, abitando un “non luogo” fatto di pensieri frammentati, di gesti minimi, di tentativi di contatto. Il mondo, diventato luogo comune per eccellenza, non è più abitabile. E allora bisogna cercare altro.

Tra reale e surreale, ciò che resta è fango e terra sotto i piedi, in cui piantare le radici di un fiore nuovo. Una scena dopo l’altra, si costruisce una possibilità di rinascita che parte dalla consapevolezza dello smarrimento. Come a dire che prima ancora di sapere dove andare, bisogna sapere da cosa fuggire. Il senso del viaggio, in fondo, è tutto lì. E si affaccia una verità tagliente: «Il genere umano non può sopportare troppa realtà».

«Dove siamo, se non siamo qui?». È da questa domanda che parte il testo. Tino Caspanello non offre risposte, ma costruisce un terreno di resistenza: «Lo spettacolo nasce da una riflessione sul contemporaneo, sul mondo in cui stiamo tentando di sopravvivere. È il racconto di una fuga da un luogo comune che è diventato il mondo stesso, a livello linguistico ed esistenziale».

La realtà, per Caspanello, è diventata una gabbia condivisa. Una gabbia in cui tutti vedono, ascoltano, dicono le stesse cose. «È il rischio peggiore per il genere umano: svegliarsi e pensare tutti la stessa cosa. Come se fuori non esistesse più. Bisogna lasciare liberi il corpo e l’anima di ritrovare un fuori nel quale vivere».

La sua fuga, però, non è semplicemente un rifiuto. È un atto di sottrazione e di ricerca, una spinta a ricomporre i cocci che restano tra le mani. E chiama in causa le arti: «Oggi tocca al teatro, e alle arti in generale, prendersi un ruolo chiaro: diventare punto di passaggio verso una metafisica che abbiamo smesso di percepire. Abbiamo perso i filtri critici, non sappiamo più leggere il reale».

Nel cuore della sua scrittura c’è l’urgenza di andare oltre il qui e ora: un tempo diverso, una proiezione nel futuro, che non sia preconfezionata, che non sia replica. Per questo, racconta, tornare al Teatro Primo ha un valore particolare: «È un rapporto che dura da anni. Un legame vero, con Silvana, con Christian, con il pubblico. Ritrovarli ogni volta è come sentirsi a casa».

Anche Cinzia Muscolino e Tino Calabrò, protagonisti sulla scena, partono dalla stessa domanda: se non siamo qui, dove siamo?. E la risposta arriva dal palco: «Siamo in un non-luogo, un luogo metafisico in cui due persone cercano di fuggire da una realtà che non gli somiglia, che non li rappresenta». Un viaggio metaforico, un cammino che si compie insieme – anche nel gioco reciproco tra gli attori. «Chi è più bravo a fuggire? Lei. Le donne sono sempre più brave in questo», sorride Calabrò. «Non è vero!», ribatte Muscolino. Ma la battuta lascia spazio a una riflessione più seria: «Il punto di fuga va cercato ogni giorno. L’oltre è sempre la via giusta. Non si può restare incollati alla realtà, bisogna continuare a sognare».

E il teatro, per loro, è proprio questo: il luogo dove il sogno accade dal vivo. «Non è uno schermo, non è una registrazione. È un momento reale, condiviso. Ci sono corpi vivi che respirano, sudano, vivono insieme al pubblico. È questo che fa la differenza». Entrambi rivolgono un pensiero a Silvana Luppino e Christian Parisi, direttori del Teatro Primo: «Sono straordinari. Gestiscono questo spazio con una passione rara, proponendo sempre progetti interessanti. Applausi per loro».

Chiudere una stagione con Non siamo qui non è un caso. È una scelta chiara, quasi una dichiarazione politica. In un mondo che invita a semplificare, omologare, replicare, il Teatro Primo decide di concludere il suo percorso annuale con un testo che invita a spostarsi, cercare, dubitare. È una forma di resistenza, ma anche di speranza: raccontare la fuga non per disertare, ma per trovare nuovi modi di abitare il presente. E se il palco resta uno degli ultimi luoghi dove si può ancora respirare aria buona, allora vale la pena continuare a frequentarlo.

Articoli correlati

top