venerdì,Marzo 29 2024

Scuole paritarie, private e per l’infanzia, Cento: «Lo Stato chiarisca qual è il suo impegno reale»

Come chiarisce il coordinatore di “Sud & infanzia in rete”: «Serve salvaguardare bambini, famiglie e gestori delle strutture. Altrimenti saranno gravi le conseguenze su tutto il territorio nazionale»

Scuole paritarie, private e per l’infanzia, Cento: «Lo Stato chiarisca qual è il suo impegno reale»

Scuole paritarie, scuole per l’infanzia, scuole private l’emergenza covid ha bloccato le attività creando una serie di difficoltà che coinvolgono in primis i bambini, i genitori lavoratori e gli stessi gestori delle strutture. E anche se la prosecuzione delle attività è prevista dal prossimo mese di giugno si cercano delle soluzioni che possano conciliare vari aspetti. Come racconta Demetrio Cento, coordinatore di “Sud & infanzia in rete” che racchiude diverse tipologie di servizi.

Triplice obiettivo: bambini, genitori e gestori

«Ho raccolto le istanze cercando di dare il contributo a vari livelli ministeriali, facendo proposte e analizzando le soluzioni su tre piani differenti perché questo è un problema che riguarda: in primis, i bambini, anello più debole della catena, per i quali ci dobbiamo preoccupare degli effetti negativi del periodo di chiusura e di una ripresa necessaria della socializzazione perché questi servizi hanno alla base questo rapporto che nasce tra l’educatore, l’insegnante, il docente ed il bambino. L’altro poi riguarda la famiglia, gli aspetti di conciliazione con il lavoro. Gran parte di queste problematiche riguardano le donne che devono scegliere se badare ai bambini o tornare a lavorare, ma a volte questa scelta non può essere fatta perché è legata alle possibilità economiche della famiglia. Il terzo elemento è quello che unisce gli altri aspetti: il gestore che manda avanti questi servizi, le persone che ci lavorano, l’indotto intorno a queste tipologia».

Gli ostacoli: la mancanza di unitarietà delle proposte

Il lavoro del coordinamento è stato mettere insieme questi elementi, nel rispetto del protocollo sanitario che deve essere di carattere nazionale. Oltre questo va tenuta presente la territorialità. Il percorso è stato ostacolato dalla mancanza di unitarietà delle proposte dei soggetti coinvolti che, a seconda del tipo di struttura, privilegiano l’aspetto commerciale o quello relativo alla famiglia o alla tipologia di servizio. Per questo motivo le proposte del mondo politico o dell’associazionismo che si susseguono non sono risolutive perché non riescono a legare questi elementi. «Questo ci preoccupa per le conseguenze che possono avere sui bambini, per i genitori e anche per i gestori che soccomberanno dal punto di vista finanziario, moltissime realtà non potranno più riaprire perché i debiti accumulati sono troppo pesanti. Basti pensare che moltissimi di questi organismi sono no profit del Terzo settore, non hanno alla base un presupposto di utile, non hanno risorse tali da riparare ad un gap accumulato dopo mesi di chiusura».

Numeri e costi per lo Stato

Serve che lo Stato si renda conto di una situazione che porterà a conseguenze gravi in tutto il territorio nazionale. «Attualmente – chiarisce Cento – il servizio privato sociale che riguarda i bambini da 0 a 6 anni copre circa 900mila posti in Italia: 13mila strutture, servizi che consentono un grande risparmio allo Stato perché il costo pubblico rispetto al contributo che lo Stato dà alle strutture private è di uno a dieci. Cioè un posto pubblico costa allo Stato sei milioni l’anno per ogni bambino, in confronto ai 530 euro che dà nella struttura privata. È chiaro che se vengono meno anche un terzo di 900mila posti significa che tre miliardi di euro lo Stato dovrà investirli per dare un’alternativa alle famiglie. Ciò significa che molte famiglia rimarranno senza i servizi per la primissima infanzia, parliamo del caso degli asili nido».

Su questo fronte si è mosso il coordinamento “Sud & infanzia in rete”. Con delle proposte, alcune della quali hanno avuto dei riscontri da parte del direttore generale della Pubblica istruzione, del vice ministro all’Istruzione Anna Ascani. Tuttavia «Le risposte formali non riescono a coniugare l’aspetto finanziario economico con l’esigenza sociale e l’urgenza di questi servizi».

Per questo, afferma il coordinatore «Ci sentiamo un po’ presi in giro quando il governo dice che metterà, per i bambini da 0 a sei anni, 65 milioni disponibili. Dice una cosa non vera: queste somme erano previste dal piano pluriennale. Lo Stato deve chiarire se il suo impegno è reale. Mettere 15 milioni in più in una realtà del nostro Paese significa dare 500 euro a struttura che non risolveranno i problemi.

Ci sono costi gestionali pesanti: la maggior parte sono affitti di locazione ci sono le utenze che vanno pagate, ci sono i costi fissi che incidono 12 mesi l’anno. e poi c’è il problema del rientro. È vero che il protocollo sanitario è necessario – chiude Cento – ma il proiettare come prioritario quello della tutela sanitaria dei bambini è un po’ ingigantire il tutto. E i dati sanitari lo dicono: i bambini da zero a dieci anni sono quelli che sono stati contagiati di meno, anche in famiglie in cui c’erano casi positivi».

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