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Donne e lavoro, a Reggio occupate in poco più di 50mila: resta il divario di genere

La Città metropolitana sfiora appena il 36% mentre supera il 64% in tema di occupazione maschile. Sono 90 mila gli uomini che lavorano. Dati elaborati dal dipartimento Lavoro della Regione nel 2021

Donne e lavoro, a Reggio occupate in poco più di 50mila: resta il divario di genere

Con una popolazione che di anno in anno diminuisce in tutta la Calabria, il comprensorio metropolitano reggino arriva a contare quasi 524 mila abitanti, a fronte dei 646 mila di Cosenza, dei quasi 345 mila di Catanzaro, dei 164 mila di Crotone e dei 152 mila di Vibo Valentia. Lo rivelano i dati elaborati dal dipartimento Lavoro della Regione nel 2021.

Il tasso di occupazione maschile si attesta sul 64% – 65 % mentre quello femminile non arriva al 40%. Ciò si registra in tutte le province. Insomma la disoccupazione è fenomeno ancora endemico che colpisce soprattutto le donne che ancora pagano il prezzo di retaggi del passato in cui era preclusa ogni affermazione fuori dall’ambiente domestico. Secondo Almalaurea, infatti, oggi in Italia le donne si laureano di più e meglio ma poi nel mondo del lavoro incontrano maggiori ostacoli. E non è un fatto di merito. È ancora un fatto culturale. A ciò si aggiunga anche il gap retributivo tra uomo e donne si registra anche nel nostro evoluto paese.

Nel reggino un tasso di occupazione del 36%

Dunque nel reggino ad esempio soltanto poco più di 50 mila donne lavorano. La Città metropolitana sfiora appena il 36%, come anche la provincia di Vibo Valentia. In valore assoluto, è seconda solo a Cosenza che però ha una popolazione superiore. Nel reggino supera, invece, il 64% il lavoro maschile con 90 mila uomini occupati.

Le percentuali di occupazione femminile oscillano tra il 31% a Crotone e il 38% a Catanzaro ma tutte restano al di sotto del 50%.  Quelle degli uomini oscillano tra il 61% e il 65%.

In Calabria una donna su tre è occupata

Estendendo l’analisi al dato regionale, in Calabria circa una donna su tre è occupata. Le ricerche del centro Studi Tagliacarne pongono la Calabria tra le ultime regioni d’Italia e del Sud con il 31,9% di occupazione femminile. Un dato più preoccupante di quello generale, anch’esso per nulla incoraggiante. In Calabria il tasso di occupazione generale non raggiunge il 50% e si ferma al 43,9%. Un dato in peggioramento quello femminile. Sempre secondo l’elaborazione da parte del dipartimento Lavoro della Regione dei dati Istat eseguita nel 2021, in Calabria risultava occupato il 35,4% della popolazione femminile, per un equivalente di un valore assoluto di quasi 187 mila donne.

Se consideriamo che la popolazione della Calabria conta quasi due milioni di persone e che le due metà del cielo pressappoco si equivalgono, neppure duecento mila sarebbero le donne occupate su una popolazione femminile di quasi un milione di persone e persino di poco superiore a quella maschile. Pur comprendendo anche fasce non in età da lavoro, il confronto tra il dato complessivo e quello delle donne occupate restituisce la fotografia di un alto numero di donne ancora senza lavoro in Calabria.

Il lavoro e il gap di genere

Tra il 2018 e il 2020 esso è anche diminuito, subendo una flessione di 1,5 punti percentuali, corrispondente in valore assoluto a 16.504 donne che hanno perso il lavoro, complice certamente la pandemia. La connotazione di genere in tema di disoccupazione esiste anche in Calabria. Qui la percentuale di occupazione maschile per quanto non piena è quasi doppia rispetto a quella femminile. Nel 2021, risultavano occupati in Calabria il 64,6% degli uomini in età da lavoro.

Insomma il lavoro è un tema ancora di grande attualità nel cammino sempre lungo di affermazione delle pari opportunità tra uomini e donne e dei diritti di queste ultime. Ancora forti sono le discriminazioni che investono anche il lavoro delle donne, complici anche vecchi retaggi culturali e familiari e l’assenza o la carenza di politiche e di servizi che garantiscano alle madri di potere avere una vita professionale piena.

Lo sciopero generale

Nel solco di una modernità ancora intrisi di stereotipi, nel 2023 è indetto uno sciopero generale di 24 ore, proprio in concomitanza con la Giornata Internazionale della donna. È stato proclamato dalle Associazioni sindacali Slai Cobas per il Sindacato di Classe, Cub, Usb, Adl Cobas, Cobas Sanità Università e Ricerca, Usicit, Usi Educazione, Cub Sanità e Usbpi. La mobilitazione ha come motivazione il divario salariale tra uomini e donne, la precarietà dei contratti di lavoro delle donne e la sistematica violenza di genere.

Le lotte per i diritti essenziali

A cavallo tra la storia e la leggenda, questa giornata affonda le sue radici non in una sterile celebrazione di facciata ma nella profonda esigenza di libertà e giustizia. Se anche l’incendio nell’industria tessile Cotton di New York dell’8 marzo 1908 in cui avrebbero perso la vita operaie segregate dai proprietari in risposta allo sciopero indetto per chiedere condizioni di lavoro migliori e salari più alti, non fossero mai avvenuti come per anni si è creduto, restano comunque le lotte che invece hanno avuto luogo. Lotte portate avanti dalle lavoratrici per rivendicare il diritto ad un’uguale dignità anche professionale e retributiva. Restano le oltre cento lavoratrici, soprattutto immigrate, che il 25 marzo 1911, negli stabilimenti della Triangle Shirtwaist Factory di New York, morirono in un incendio. Erano state rinchiuse per impedire che scioperassero. Resta l’urgenza, che ancora non si è esaurita, di istituire la giornata internazionale della donna. Essa è nata per evidenziare, in un mondo patriarcale e maschilista, che i diritti delle donne sono diritti umani esattamente come quelli degli uomini.

L’otto marzo

In America un Woman’s day fece capolino già dal 1909. Seppure in date diverse, nel 1910 in Europa si fecero largo proposte per dedicare una giornata alle donne. La prima grande rivendicazione femminile in questa data risale al 1914 in Germania, per il diritto al voto. Seguì, nel 1917, quella organizzata dalle operaie di San Pietroburgo per chiedere il ritorno degli uomini dalla guerra e il pane. In Italia a proporla furono le donne comuniste nel 1921. Nel ventennio, tuttavia, essa fu bandita e poi ripresa nel 1945 su impulso dell’Udi. Nel 1946, su iniziativa della militante comunista Rita Montagnana e delle partigiane Teresa Noce e Teresa Mattei, venne associato il fiore della mimosa.

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