Primo maggio: con 1126 denunce nel 2023, Reggio prima provincia in Calabria per malattie professionali
Seconda dopo Cosenza con 2185 infortuni sul lavoro, la provincia sullo Stretto segnata anche dalla disoccupazione. Nella fascia 35-49 anni si registra quasi il 41% di donne e neppure il 67% di uomini che lavorano

Dignità, libertà, diritto, strumento per crescere nella comunità e per contribuire alla crescita della società, essenza della Giustizia sociale. Ma anche sfruttamento, precariato, discriminazione e negazione degli stessi diritti a esso connaturati. Addirittura malattia e morte. Quando non c’è, è tormento, mancanza di prospettive e di futuro. Quando è negato o violato, calpestata e svilita è anche la dignità di chi lo esercita. Perché, Martin Luther King docet, con il lavoro esprimiamo il talento al quale siamo chiamati, dal professionista all’operaio. Si è legittimamente pagati per questo, pur senza essere in vendita come persone. Mai. Tutti questi sono i volti del Lavoro che oggi , Primo maggio, si “festeggia”.
Lo ha ricordato anche ieri, a Castrovillari, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. «Non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse è inaccettabile. Il lavoro è legato, in maniera indissolubile, alla persona, alla sua dignità, alla sua dimensione sociale, al contributo che ciascuno può e deve dare alla partecipazione alla vita della società. Il lavoro non è una merce».
In occasione della cerimonia ufficiale in vista della giornata odierna, il capo dello Stato in visita in Calabria, nel suo discorso ha centrato uno dei drammi contemporanei più grandi. Si consuma nei luoghi di lavoro. Qui con la vita dei lavoratori e delle lavoratrici si spengono ogni volta la democrazia e quei diritti consacrati nella Costituzione nata dal 25 aprile 1945, anniversario dell Liberazione recentemente celebrato. Diritti che ogni anno, anche in questa giornata, si ritrovano ad essere proclamati e reclamati in una realtà che ancora sovente li nega e li svilisce e nella quale il lavoro è ancora insicuro e segnato da sfruttamento, precarietà e ingiustizia.
7 morti su lavoro nel reggino nel 2023
L’osservatorio Sicurezza e Ambiente Vega la Calabria è tra le regioni in zona rossa per le morti sul lavoro. A febbraio 2024 l’’incidenza risulta superiore a +25% rispetto alla media nazionale (Im=Indice incidenza medio, pari a 34,6 morti sul lavoro ogni milione di lavoratori). nel
Secondo i dati recentemente diffusi da Santo Biondo, segretario generale di Uil Calabria, «solo nel 2023, tra il Pollino e lo Stretto i decessi sono stati 43, quasi uno a settimana. Un numero che sale a 86 considerando anche le morti a causa di incidenti durante il tragitto per raggiungere o tornare dal luogo di lavoro. E sono stime “per difetto”, in una elaborazione del Centro Studi della Cub in base a dati dell’Inail e dell’Osservatorio nazionale morti sul lavoro sia di Bologna che di Mestre.
In particolare secondo i numeri forniti dall’Osservatorio nazionale di Bologna, le cinque province calabresi non brillano nella tragica classifica dei decessi. Se Reggio Calabria si aggiudica la medaglia di bronzo con 7 morti, fanno peggio Catanzaro (medaglia di latta con 10 morti); Cosenza (22 morti e medaglia di latta); Crotone (6 morti e medaglia di legno) e Vibo Valentia (6 morti e medaglia di legno)».
Infortuni e malattie professionali
«In Calabria nel 2023 sono stati registrati 8.596 infortuni sul lavoro e ben 29 vittime (1.041 i decessi sul lavoro a livello nazionale). Numeri agghiaccianti. E quelli sugli infortuni non sono da meno e dimostrano senza alcun dubbio quanto la strada verso la sicurezza sia ancora lunga da percorrere e la determinazione nel farlo sia non solo necessaria ma irrinunciabile». Si legge nella prima relazione annuale dell’Osservatorio regionale contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro, con sede del Consiglio Regionale della Calabria, a Reggio, presentato nelle scorse settimane.
«Su oltre 585 mila infortuni sul luogo di lavoro denunciati in Italia nel 2023, oltre 8500 sono avvenuti in Calabria». Il picco di oltre 3mila è stato registrato a Cosenza. Nel Reggino sono stati 2185. Il trend è, comunque, in decrescita come anche quello delle malattie professionali anche se i numeri dell’emerso restano alti. Delle 2085 malattie denunciate in Calabria (il picco è nel reggino con 1126 denunce) nel 2023, oltre 1600 nel settore Industria e meno di 400 in agricoltura. In prevalenza il fenomeno riguarda uomini. Tutto questo in una regione che già patisce di carenza di opportunità lavorative.
Il contesto occupazionale in Calabria
«Il territorio della Calabria comprende 404 Comuni, 4 Province e una Città metropolitana. La popolazione della regione nel 2023 è inferiore ai 2 milioni di abitanti (al 1º gennaio 2023: 1,8 milioni) e rappresenta il 3,1% della popolazione nazionale. L’economia regionale si connota per un sistema produttivo con una forte vocazione agricola e di attività imprenditoriali definibili micro e/o piccole (97,14%). Nella regione, il tasso di occupazione delle persone tra i 20 e 64 anni (fonte: Istat rif. 2022) è decisamente più basso della media nazionale con circa 18 punti percentuali in meno. Sempre citando l’Istituto nazionale di Statistica – si legge ancora nella relazione annuale dell’Osservatorio regionale contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro – è da segnalare come il 28,2% di giovani calabresi nel 2022 non lavora e non studia».
Disparità di genere ed economia sommersa
«C’è poi l’evidente disparità di genere e c’è anche l’”economia non osservata” e cioè l’insieme di attività produttive che per motivi diversi sfuggono all’osservazione diretta.
Essa comprende, essenzialmente, l’economia sommersa e illegale. Il peso di tale situazione in Calabria– si legge ancora nella relazione – rivela il dato più alto tra le regioni italiane con un’incidenza di oltre il 19% del valore aggiunto complessivo. L’8% è generato dal lavoro irregolare.
Nella fascia d’età che va dai 25 ai 34 anni il livello occupazionale maschile è pari al 55,6% mentre quello femminile si ferma al 32,6%. Eppure, non è il dato peggiore considerato come nella fascia 35-49 si va dal 66,4% per gli uomini al 41,8% per le donne, con una differenza percentuale di quasi 25 punti. Una forbice che resta pressoché invariata relativamente alla fascia di età 50-74 anni. Scende addirittura di sette punti percentuali per la fascia di età 15-24».
Dunque, il picco del solo 44% di occupazione femminile nella provincia di Catanzaro nella fascia 35-49 anni. Il solo 26% è stato registrato nella provincia di Vibo Valentia nella fascia 50-74 anni. Nel Reggino il dato più alto si registra nella fascia 35-49 anni ed è del quasi 41% per scendere al 20,08% nella fascia 50-74 anni. I dati sono relativi al 2022.
Altro risvolto di questo contesto precario attiene alla retribuzione. «Secondo le classifiche del 2023 legate alla retribuzione annua (sia lorda che globale), la nostra Calabria è posizionata penultima. La sua media, in entrambi i casi, di poco più di 27mila euro a fronte della Lombardia che viaggia tra 33mila e 34mila euro».
La Costituzione
Dati e numeri che descrivono una realtà troppo distante dai valori contenuti nella nostra Costituzione, che resta ad alimentare quella tensione ideale senza la quale alcun miglioramento sarà possibile.
Padri e madri costituenti trasformarono le macerie della guerra in sogni. Guardarono lontano ad uno Stato che si fondasse su ogni contributo utile allo sviluppo della personalità reso da uomini e donne, sulla loro opera, individuale o collettiva, necessaria alla crescita del Bene Comune, sul loro Lavoro.
Immaginarono così la neo Repubblica italiana. Il Lavoro dignitoso, giusto e sicuro per tutti. Un diritto, non un privilegio. L’operosità, non il parassitismo. Il rispetto della Dignità non lo sfruttamento. Il Lavoro come viatico di Libertà, indipendenza, sviluppo pieno dell’identità, della personalità e della società. Sguardo al futuro.
Valore fondante della Repubblica e del suo progresso
L’articolo 1 della nostra Costituzione come un verso, decanta che «L’Italia è una Repubblica Democratica, fondata sul Lavoro. La Sovranità appartiene del Popolo, che la esercita nei modi e nei limiti della Costituzione».
La centralità del Lavoro è cruciale nella visione dei padri e delle madri costituenti, che proclamano il diritto al lavoro, quale contributo nobile «che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Lo proclamano subito dopo il riconoscimento di principi inalienabili della Persona, quali l’inviolabilità, la pari Dignità sociale, l’Uguaglianza di fronte alla Legge, perché tale è la sua portata.
Eppure, ancora oggi è necessario ribadire che il Lavoro è un diritto da riconoscere non un favore da concedere e come tale assume una dimensione valoriale che supera quella materiale, anche se pure di essa è composta nella sua essenza. La retribuzione, equa, proporzionata, meritata, è anch’essa un diritto costituzionale, infatti. È un nobile conseguimento.
La Carta Costituzionale presagiva l’importanza di un valore che se vilipeso e non adeguatamente difeso e realizzato dalle persone e dalle leggi avrebbe negato la dignità e ostacolato lo sviluppo e la crescita della nostra Repubblica.
Il Primo Maggio
Il Primo maggio del 1867 ebbe luogo la più grande manifestazione di lavoratori mai organizzata prima. A Chicago nell’Illinois, per le strade in diecimila manifestarono. Invocavano l’entrata in vigore della legge approvata l’anno prima e che prevedeva le otto ore di lavoro giornaliere. Seguirono negli anni scioperi e proteste, anche affogati nel sangue, prima che la legge fosse estesa a tutti gli Stati Uniti d’America. Ecco la genesi di una “festa” nata oltre 150 anni fa su rivendicazioni che , anche nei Paesi che le hanno recepite con legge, oggi sono tutt’altro che anacronistiche.
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