Biennale dello Stretto, strumenti urbanistici (ancora) da attivare e nuove visioni di città- VIDEO
Nuovi talk oggi al Forte Batteria Siacci di Campo Calabro nell’ambito della kermesse di Architettura, Paesaggio. Oggi un’articolata riflessione sulla responsabilità di pianificare e sul fallimento del modello unico e globalizzato in favore di nuove esperienze etiche e in ascolto del territorio
Riflettori ancora accesi sulle tre linee d’acqua e sulle città del futuro, al centro dei talk e dei confronti che stanno animando la sessione inaugurale della Biennale dello Stretto in svolgimento fino a domenica. La seconda edizione della Mostra internazionale di Architettura, Paesaggio, Scrittura, Video, Fotografia, con la direzione di Mariangela Cama, Alfonso Femia, e Francesca Moraci, nella cornice suggestiva di Forte Batteria Siacci a Campo Calabro, nel reggino, ha oggi proposto, tra gli altri, anche il tema dell’abitare e del prendersi cura, approcci sorretti da responsabilità e generosità.
«In questo contesto di respiro internazionale siamo chiamati a ragionare sulla necessità di ripensare le città nell’ottica di una pianificazione che produca benessere per la collettività. Registriamo, in questa occasione così importante, fortissimi stimoli per rilanciare lo spirito di programmazione di professionisti e amministratori, uniti per costruire davvero una società e un futuro migliori». Lo ha dichiarato il senatore reggino Nicola Irto.
«La responsabilità deve essere in capo a tutti gli amministratori, aldilà del colore politico. Non possiamo progettare il nuovo, non possiamo riqualificare l’ambiente e quindi progettare delle città sostenibili se non facciamo applicare le regole. La Calabria deve crescere in questo. Non si può essere sempre in campagna elettorale, alla ricerca di consensi, perché governare significa assumersi responsabilità anche rispetto a scelte che possono essere impopolari ma proiettate al futuro e al benessere comune». Così l’eurodeputata Giuseppina Princi.
60 Psc in tutta la Calabria
«Su 404 comuni calabresi solo 60 hanno un piano strutturale comunale regolarmente approvato. C’è dunque un problema», ha sottolineato Mariangela Cama, direttrice della Biennale dello Stretto.
«Questo dato ci deve fare riflettere visto che la Calabria si è dotata di una legge regionale molto interessante e con spunti innovativi. Occorre lavorare sulla consapevolezza che l’attuazione degli strumenti urbanistici garantisce la tutela del territorio, la sua messa in sicurezza e anche la capacità di distribuzione nell’ambito urbano dei servizi. Non è, pertanto, pensabile che gli strumenti urbanistici abbiano dei percorsi così lunghi tali da non essere poi più in grado di rispondere alle esigenze che erano state poste all’inizio. La responsabilità va condivisa anche dal cittadino. Visione, strategia, progettazione e attuazione non possono prescindere dal dinamismo che la società attuale ci chiede attraverso la domanda continua di trasformazione del territorio e di qualità dell’abitare». Così Francesca Moraci, direttrice della Biennale dello Stretto.
La kermesse, alla quale ha partecipato anche il sindaco di Campo Calabro Sandro Repaci, è stata anche occasione per porre diverse esperienze a confronto.
Livorno e Alta Sabina: legame ineludibile tra città e territorio
«La città, quella densa, quella abitata da molte persone, riserva un bilancio sempre negativo dal punto di vista ambientale. Grazie al territorio si consegue un equilibrio. La città deve essere sempre più consapevole di questo legame. In questa ottica con il collega Giuseppe Dell’Aquila di Torino ho lavorato a questa Carta sulla strategia per gli spazi pubblici della città di Livorno. Abbiamo avuto due fari a guidarci: equilibrio ambientale e il comfort e la sicurezza per la cittadinanza.
Un’esperienza per una città di 150 mila abitanti come Livorno alla quale ha fatto da contraltare il progetto realizzato dell’Alta Sabina, in provincia di Rieti, dai validissimi colleghi coordinati da Elena Battaglini che riguarda l’intelligenza naturale. Un progetto che riguarda un’area di una decina di comuni che vive un picco stagionale del turismo e poi lo svuotamento progressivo nelle altre stagioni. In questo caso sono state messe in atto diverse strategie per coinvolgere le comunità locali e generare azioni durante tutto l’anno, facendo leva su servizi ed ecosistemi che la natura offre. Cito spesso il pensiero di Petrini perché un luogo diventa attrattivo quando ha degli abitanti che possano accogliere persone, prima ancora che turisti». È quanto ha spiegato l’architetto Walter Nicolino, docente al Politecnico e allo Iaad di Torino.
Territori in connessione
«Queste sono metodologie declinabili in altri territori. Nel contesto della Biennale dello Stretto la parte straordinaria e interessante è questa duplicità di territori che vengono posti in connessione prima dalle idee e poi dalle politiche. È molto importante fermarsi a pensare e provare a cooperare insieme forse anche per preparare delle politiche dell’infrastrutture. Io ho una visione molto laica delle infrastrutture. Occorre capire se è un’infrastruttura fisica a mancare o se a mancare sia una volontà di cooperare, anche in modo radicale, con progetti animati da l’intelligenza collaborativa piuttosto che portatori di ferro e cemento.
Io vivo a Torino. Come in questa area il ponte sullo Stretto, lì l’infrastruttura che ha polarizzato molto i contrasti anche a livello di comunicazione è stata l’alta velocità. All’inizio è stata un pò calata dall’alto con tutta una serie di problematiche che negli anni, anche grazie alla pressione che le comunità locali hanno esercitato, è stata migliorata di molto». Così l’architetto Walter Nicolino, docente al Politecnico e allo Iaad di Torino.
Milano e il fallimento del modello unico e globalizzato
«È la globalizzazione ad aver generato le città globali con una serie di asimmetrie sociali, negli spazi, insomma degli scompensi e delle mancanze che mettono in luce il fallimento delle logiche tardo Novecento primi anni 2000. Il problema climatico, il problema sociale, il problema dello sfruttamento delle risorse ci dicono che il tema delle città deve essere ripensato. E qui subentra la prossimità che ha un effetto sulla globalità, ribaltando la logica canonica in cui noi accettiamo qualsiasi cosa ci venga data dal mondo della globalizzazione, da un modello unico.
Serve essere competitivi ma in modo etico e accogliere molteplici modelli di città possibili e di luoghi da leggere come città. Città non tutte uguali ma ognuna con la propria peculiarità, capace di scegliere un proprio grado di efficienza, di produzione e di sviluppo. Così il rapporto fra economia ecologia cui viene settato diversamente nei vari luoghi.
Posso raccontare l’esperienza di Milano, città controversa che sta vivendo un ritardo nella sua dimensione di città globale. Sta diventando respingente verso le classi povere, segnata da un’assenza di verde consistente e sta perdendo le sue occasioni di ricostruirsi secondo progetti di Landscape urbanism. Dunque sta fallendo. Una città come Milano, sempre stata un punto di attrazione per la sua laboriosità, fatta dell’umiltà di persone che si recavano a Milano tutti i giorni per lavorare, è oggi diventata una città per un target di persone che non sono condivisibili da un punto di vista etico, che esercita una tipologia anche di lavori che rincorre un futuro di potenza economica che al momento non ha più senso. È, anzi, anti etico». Così Elisa Cristiana Cattaneo, architetto paesaggista e pianificatore, docente al Politecnico di Milano Teoria del progetto contemporaneo.
Quel punto magico tra Calabria e Sicilia… senza il Ponte
«In questo territorio ci sono una geologia e una geografia straordinarie e poi c’è a questo punto magico lì avvicinamento tra Sicilia e Calabria. In questo territorio artigianato 5G vuol dire avere l’infrastruttura tecnologica quindi immateriale anche invisibile per costruire per riattivare una cultura locale che è ricchissima, senza rincorrere un modello passato ma costruendo un modello di città mediterranea che è fatta di piccole identità messe in relazione. Identità specifiche che si sviluppano senza costruire inutilmente ma in modo nuovo e più etico.
Senza il ponte perché anche fare la fatica di attraversare un pezzettino di mare non è una tragedia. Questa necessità di arrivare in modo diretto da un punto A un punto B fa perdere l’esperienza di trascorrere quel pezzo di mare che unisce due regioni che poi sono diverse». Così ha concluso Elisa Cristiana Cattaneo, architetto paesaggista e pianificatore, docente al Politecnico di Milano Teoria del progetto contemporaneo.