Il ritorno del Porto di Saline: snodo strategico o tampone logistico per il Ponte sullo Stretto?
Il governo punta su Saline per i materiali del Ponte: ma il porto è ancora insabbiato e la 106 un collo di bottiglia. Ma vincoli ambientali, ritardi infrastrutturali e viabilità carente riaprono nodi mai risolti

Un’accelerazione improvvisa, ma non del tutto inaspettata. Durante la recente visita a Reggio Calabria, il vicepremier e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha confermato che i lavori del Ponte sullo Stretto partiranno nell’estate 2025. Una dichiarazione che ha riacceso i riflettori anche su un luogo fino a ieri ai margini del dibattito: il porto di Saline Joniche. L’ipotesi circola da mesi, ma ora trova riscontri operativi. E l’idea, ora fatta propria dal governo, è utilizzare Saline per lo stoccaggio dei conci prefabbricati e delle bobine d’acciaio. Ma è un progetto davvero sostenibile?
Una nuova funzione nel mosaico del Ponte
In un quadro in cui gli spazi portuali tradizionali risultano saturi o non compatibili con le esigenze dell’opera – da Messina a Milazzo, da Reggio a Villa San Giovanni passando, pare, da Gioia Tauro – il porto di Saline Joniche riappare come ipotesi concreta per la logistica di cantiere.
L’area, assegnata nel 2022 all’Autorità di sistema portuale dello Stretto, è oggi completamente inattiva, ma possiede uno specchio d’acqua ampio e infrastrutture potenzialmente riutilizzabili. Proprio da lì potrebbero transitare i materiali più ingombranti per la costruzione del Ponte, a partire dai conci prefabbricati e dalle bobine dei cavi d’acciaio. A rilanciare l’ipotesi era stato già lo scorso dicembre il parlamentare reggino Francesco Cannizzaro, oggi affiancato dalla visione operativa espressa dal governo. Una visione che torna d’attualità ora che la macchina organizzativa del Ponte si muove con rapidità crescente e richiede aree attrezzate, accessibili e vicine al tracciato.
Ma proprio sulla parola “accessibilità” si apre la prima contraddizione: Saline è collegata al resto del territorio dalla strada statale 106 ionica, uno degli assi viari più problematici e insicuri del Paese. Il transito dei camion carichi di materiale da costruzione lungo il tratto Saline–Villa San Giovanni comporterebbe traffico pesante e ripercussioni gravi sulla viabilità ordinaria, aggravando una situazione già compromessa.
È una condizione che impone domande chiare e che vadano oltre le tifoserie del “pro” o “no” Ponte e dei più o meno ambientalisti: esistono davvero le condizioni logistiche per fare di Saline un nodo funzionale, senza un potenziamento immediato della rete stradale?
Saline, mezzo secolo tra promesse e abbandoni
Costruito negli anni Settanta come parte del cosiddetto «Pacchetto Colombo», il porto di Saline Joniche era stato immaginato come uno snodo strategico per l’industrializzazione del Mezzogiorno. Avrebbe dovuto servire la Liquichimica, impianto mai entrato in produzione e diventato presto uno dei simboli del cimitero industriale del Sud. Da allora, il porto è rimasto una cattedrale insabbiata, mai davvero utilizzata, con fondali occlusi, moli danneggiati e nessuna funzione operativa reale.
Negli ultimi anni, l’infrastruttura è tornata nel dibattito pubblico più volte: dapprima come luogo di attracco delle navi piene di carbone per la paventata Centrale che sarebbe dovuta nascere sulle ceneri della Liquichimica, poi grazie a un progetto di rifunzionalizzazione graduale promosso dall’Autorità di sistema portuale. L’idea: ripristinare almeno una fascia operativa di circa 70 metri, affiancando dragaggi, rifacimento del molo di sopraflutto e realizzazione di un pennello-trappola per limitare il rischio di nuovo insabbiamento. Gli interventi – confermati anche dal già commissario Antonio Ranieri, che ha lasciato da un mese il posto al neo commissario Francesco Rizzo – sono stati stimati in circa 10 milioni di euro, ma servirà del tempo per vederne i frutti.
Sul piano progettuale, l’obiettivo sarebbe quello di iniziare con il diporto nautico, ma il possibile utilizzo per la logistica del Ponte sposterebbe l’intervento su un piano completamente diverso: carichi industriali, volumi elevati, trasporto su gomma. Un salto di scala che richiederebbe infrastrutture, autorizzazioni ambientali e risorse oggi forse non disponibili. E che rischia di schiacciare, ancora una volta, Saline tra ambizioni sovradimensionate e limiti strutturali mai affrontati.
Un’area fragile, tra vincoli ambientali e sogni industriali
Il porto di Saline Joniche sorge accanto a un’area di elevatissimo valore naturalistico: il Pantano di Saline, una delle pochissime zone umide costiere della Calabria meridionale, classificata come Sito di Interesse Comunitario (SIC) e inserita nella rete Natura 2000. L’intera fascia retrodunale è riconosciuta come habitat cruciale per l’avifauna migratoria dello Stretto e sottoposta a vincoli che limitano fortemente gli usi antropici.
Nel progetto ambientale ufficiale – redatto oltre dieci anni fa – si stabiliva la necessità di protezione assoluta dell’area, con divieti d’accesso, recinzioni, osservatori naturalistici e persino isolotti galleggianti per la nidificazione degli uccelli acquatici. Ogni intervento strutturale richiede una valutazione di incidenza ambientale a livello nazionale, e già i soli dragaggi previsti per la rifunzionalizzazione portuale sono stati sottoposti a iter complessi e tuttora non conclusi.
Utilizzare Saline come base logistica per il Ponte, con movimentazione massiva di mezzi pesanti, stoccaggi industriali e traffico costante, apre quindi una nuova e delicata partita ambientale, che impone chiarimenti immediati. È tecnicamente possibile far coesistere un nodo di logistica pesante con una zona protetta soggetta a continui monitoraggi?
Domande che, ad oggi, non pare abbiano trovato risposta, mentre si intensifica la pressione politica e istituzionale per rendere operativo il sito. Ancora una volta, Saline sembra vivere in bilico tra promesse di rilancio e vincoli strutturali mai superati, tra ambizioni ingegneristiche e fragilità ambientali.
Soluzione-tampone o rilancio strategico?
La prospettiva di utilizzare il porto di Saline come base logistica per la costruzione del Ponte sullo Stretto riaccende l’interesse su un’infrastruttura da decenni sospesa tra abbandono e progetti mai completati. Ma questa volta sarà davvero diverso?
Le dichiarazioni istituzionali e i cronoprogrammi politici sembrano indicare una volontà chiara, ossia di mettere Saline al servizio di una delle più grandi opere pubbliche europee. Tuttavia, i fatti raccontano un’altra storia: il porto è inaccessibile, l’area è vincolata, la viabilità è carente, i fondi per gli interventi non sono ancora stati stanziati. E soprattutto, si attende di sapere con chiarezza quale sarà il ruolo effettivo di Saline nel progetto.
Due domande restano allora sul tavolo, ineludibili: il porto sarà davvero gestito come retroporto integrato nella logistica del Ponte o verrà usato solo come deposito temporaneo per materiali pesanti? E si tratta di un progetto strutturale di rilancio del sito, oppure di una soluzione-tampone, imposta dall’assenza di spazi in altre aree dello Stretto?
Nel cuore dell’Area Grecanica, dove le grandi promesse si sono spesso scontrate con l’immobilismo o le scelte calate dall’alto, anche la rinascita di Saline si gioca sul crinale tra visione e opportunismo. Il rischio è che, ancora una volta, si scelga di usare senza davvero investire, lasciando il territorio esposto a impatti pesanti senza ritorni concreti. Eppure, dopo cinquant’anni di occasioni perse, nessuno può più permettersi l’ennesima incompiuta.