venerdì,Aprile 19 2024

Delianuova, concluso il Premio letterario “Saverio Italiano”

Undici in tutto i premiati, che hanno ricevuto oltre ad una pergamena, una lastra scolpita in pietra verde con il noto serpentino deliese

Delianuova, concluso il Premio letterario “Saverio Italiano”

Preceduta dalla sfilata pomeridiana, per le vie di Delianuova, del Gran Concerto Bandistico “Francesco Cilea”, la cerimonia conclusiva del Premio Letterario “Saverio Italiano” si è celebrata nella cornice della Villa Comunale del piccolo centro aspromontano. La conduzione della serata è stata affidata a Caterina Provenzano, giornalista, scrittrice e direttrice del periodico “Calabria Letteraria”, che ha presentato i premiati di ognuna delle sezioni – Narrativa e Saggistica – e ascoltate le motivazioni dal segretario del premio, Antonio Roselli, ha moderato gli interventi dei singoli autori premiati. Hanno porto il loro saluto e dato inizio ai lavori i presidenti del premio: Maria Frisina e Rocco Polistena, rispettivamente sovraintendenti delle Associazioni Culturali che hanno istituito il premio: “Geppo Tedeschi” e “Roubiklon”.

«L’apporto attivo delle personalità premiate non intende creare un rapporto competitivo – ha dichiarato Maria Frisina – né intende fornire una graduatoria delle coscienze tra autori maggiori e minori: noi riconosciamo le manifestazioni culturali del nostro tempo di tutti gli scritti premiati, ognuno “Primus inter pares”, senza salita sul podio». «La gestazione del Premio – ha proseguito Rocco Polistena- porta con sé qualificazioni note, ma soprattutto, variabili forse meno intuitive. Non dovremmo delimitarlo forse nemmeno nello stereotipo del “vicit”, “ha vinto”, quanto nel più oneroso concetto del “Dare” e del “Dare per Darsi”».

Gli interventi musicali sono stati curati dalla pianista Tatiana Belekanic e la lettura dei brani letterari è stata affidata a Domiziana Sapone e agli interpreti della Compagnia Teatrale Deliese. Quest’ultimo sodalizio, nella veste di partner, ha collaborato alla riuscita dell’evento insieme all’Associazione Culturale Musicale “Enotria”, alla “Pro Loco” cittadina, al Comitato locale di Croce Rossa Italiana e al Comune di Delianuova che offerto il gratuito patrocinio. I premiati, oltre che con una carta pergamena con la motivazione del riconoscimento, è stata donata una lastra scolpita in pietra verde, il noto serpentino deliese, incisa ed offerta dall’Ing. e Artista Pepè Carbone. A questi si è aggiunto un fascio di fiori omaggiato dalla presente famiglia del compianto Saverio Italiano.

Ecco le motivazioni dei singoli premi, dettate dal segretario Antonio Roselli:

Palma Comandè, La Padrina, Rubbettino 2021

La dimostrazione della propria dignità alla società è il motivo del viaggio iniziatico che muove i fatti narrati nel romanzo “La Padrina”. Storia di un’ascesa o di un’ascesi, che segna il movimento da un soffocante mondo tribale, infitto di codici d’onore, allo scavo perpendicolare verso i più abissali valori interiori.

Mirià, la protagonista, sa farsi tramite di una trascendenza sconvolgente e rivoluzionaria che stravolge i primitivi comandamenti di Menù, la bisnonna- padrina. In un ritmo narrativo scattante e volutamente antiretorico, Palma Comandè fonda una sapiente coordinazione tra persuasione ideologica della manipolazione delle coscienze e dei meccanismi occulti della ‘ndrangheta a una conquista di una nuova consapevolezza della propria dignità umana e civile.

Mimmo Gangemi, Il popolo di mezzo, Piemme 2021

Il tema frequentato da Gangemi ne “Il popolo di mezzo” è quello della violenza intesa come emarginazione, intolleranza razziale e repressione. In essi si fa più approfondito lo scavo interiore e psicologico dei personaggi condotti secondo l’esempio di Joyce. Il protagonista, Tony Rubini, è un antieroe che soffre i meccanismi della società e non vuole perire nella lotta di un mondo violento in cui imperano la massificazione dell’individuo, la violenza del conformismo e l’assurdità irrazionale. In una spietata analisi delle passioni dei protagonisti affiorerà una coscienza anarchica intrisa di odio antiamericano.

Il linguaggio de “Il popolo di mezzo”, impastato di forme auliche e dialettali, si dispiega ora in rievocazioni oniriche e in squarci lirico-poetici, ora in maniere descrittive e realistiche. Ne risulta una narrazione suggestiva e fascinosa che con limpidezza di stile spiega le sue vele nella travolgente America di inizio secolo.

Vinicio Leonetti, Eroine, Città del Sole 2020

In una realtà che svela gli inquietanti retroscena del sopruso e della violenza, Marisa, la protagonista di Eroine, vive la propria tensione utopica opponendosi al rovesciamento umano: come testimone di giustizia rinuncia alla propria identità e diventa un agente speciale, una “testa di cuoio” che combatte una sorta di guerra “astorica” dal respiro epico. Marisa, con la sua forte carica di femminilità, si propone di operare attivamente per il cambiamento della società ergendosi ad Eroina. Per Vinicio Leonetti la mimesi della realtà non comporta forzature espressionistiche: nei dialoghi del suo romanzo ogni espressione è tratta dal linguaggio parlato testimoniando la volontà dell’autore di guardare la realtà siciliana dall’esterno.

Delia Nicotra Costa, Il segreto del principe di Maletto, Laruffa 2020

Il viaggio verso Maletto diventa l’itinerario verso un universo lontano, quello dell’esistenza nella sua dimensione ancestrale, un percorso nel tempo, prima ancora che nello spazio. L’ Ottocento siciliano, in piena Unità Nazionale, raccontato da Delia Nicotra Costa, è osservato attraverso la vicenda di don Domenico Spadafora e Colonna. Non si tratta di una situazione biografica e dunque fortuita, ma del racconto della condizione esistenziale del protagonista: la dimensione primitiva, con i suoi blasoni, diviene motivo di fascino e ben presto d’ inquietudine. Il segreto che affligge il principe e che riguarda Egidio, il figlio del guarda- caccia, muoverà le corde di un romanzo contraddistinto da una tensione stilistica mai allentata.

Franco Nirta, Vicende di gente d’onore e altri racconti, Rubbettino 2020

Il realismo è caratterizzato da una forte e amara carica umoristica che si rivolge specificatamente alla realtà calabrese e partenopea con i suoi galantuomini e la sua abulia, con i miti dell’Onore e gli eroi anonimi dediti ad un’esistenza pigra, con le rituali liturgie, le spose pudiche e le fanciulle “sfiorite”. Nelle sue storie di ieri e di oggi, Nirta imposta una narrativa di stampo populistico: mitizza un mondo popolare che si plasma sulle strutture del quartiere. Significativo, nella chiave di un’esigenza di rappresentazione realistica, anche sul piano linguistico, è l’uso vivace di un periodare ornato ed immediatamente comunicativo che lo rendono, a nostro modesto avviso, un narratore di grande pregio.

Enzo Ciconte, Alle origini della nuova ‘ndrangheta. Il 1980, Rubbettino 2020

La sofferta tensione verso la conoscenza della verità, la ricerca di un disvelamento di senso, in termini heideggeriani, muovono l’indagine storica di Enzo Ciconte che in questo saggio esplora le origini della nuova ‘ndrangheta. In una dimensione storicamente concreta, che parte dal 1980, Ciconte non cessa la sua ansiosa ricerca, sonda il culto di una maledizione che attecchisce, prospera e si evolve in una società dove è scarsa la coscienza politica.  Il suo libro è, quindi, un dossier che, con puntualità analitica, intercetta il punto di svolta di un fenomeno residuale che dalla dimensione arcaica di mafia agro-pastorale si sviluppa, progredisce e si dirama fino a diventare una potente holding del crimine.

In questo viaggio verso il primitivo, analoga è anche la conclusione che se ne trae. Emerge dall’ opera un rapporto inquietante: alle spalle della rassicurante apparenza della civiltà, le divinità infernali ctonie della ‘ndrangheta, pretendono liturgie crudeli: i sequestri di persona, le faide, le donne di mafia, i politici collusi, le “morti rosse” di Peppe Valerioti a Rosarno e Giannino Losardo a Cetraro. Con l’opera e la vicenda intellettuale tutta di Enzo Ciconte affiora la realtà di una consapevolezza: l’intellettuale è coscienza, attore della storia; addita le responsabilità degli altri, non si fa coinvolgere in prospettive di parte.

Gregorio Corigliano, Nero di seppia. Dai taccuini di un giornalista seduto in riva al mare, Pellegrini 2019

Il mare per Gregorio Corigliano è un rito di fecondità, simbolo archetipico ambivalente di un realismo mimetico e di una dialettalità straripante. In “Nero di Seppia” il mare assume un’importanza irrinunciabile, per intendere la quale occorre far riferimento alla spiegazione che se ne dà nella psicanalisi: il riferimento al liquido amniotico contenuto nel grembo materno riporta l’Autore alla ricerca di un contatto primordiale con la natura, con la solitudine esistenziale e con la memoria di una vita familiare in una dimensione di apparente trascrizione di dati biografici.

Con un linguaggio semplice e chiaro, Gregorio Corigliano ci accompagna ad una profonda intensità lirica acquisita con misurati strumenti e sporadiche metafore. I toni dimessi e crepuscolari incorniciano una narrazione della vita quotidiana dei pescatori e sullo sfondo di San Ferdinando c’è tutto un mondo domestico raffigurato con moderato ma chiaro realismo.

Gianfrancesco Solferino, 20 borghi da non perdere in Calabria, Rubbettino 2020

L’abbondanza di luoghi raccontati da Gianfrancesco Solferino racconta una serie di presenze assolute, quasi metatemporali, in Calabria illuminate da una luce che costituisce un orizzonte dinamico, allargato e situato fuori dal tempo e dalla storia. I “20 borghi da non perdere in Calabria, da Aieta ad Oriolo, vengono descritti con lo scrupoloso tecnicismo dello storico, ma soprattutto con i toni idilliaci e sentimentaleggianti del Conterraneo. La descrizione non scade mai nel quadretto di genere e nel bozzettismo e l’Autore indica al turista, con occhio affettuoso e stupito, borghi che appartengono prima di tutto – per dirla alla Leonida Repaci- alla sua “geografia dell’anima”.

Fabrizio Mollo, Guida archeologica della Calabria antica, Rubbettino 2018

Possiamo affermare che unaGuida archeologica della Calabria antica”non era mai stata realizzata finora. Sul piano formale la “Guida”si sviluppa dalla contaminazione di elementi scientifici e divulgativi che mettono in luce le realtà archeologiche calabresi di differente importanza e cronologia. Emergono elementi peculiari della fenomenologia storica in un’informazione ampia e aggiornata sui fatti, le forme e i segni delle civiltà che vanno dalla prima comparsa dell’uomo in Calabria fino all’Alto Medioevo.

Quest’ardua opera vanta le peculiari esperienze di ricerca del suo Autore e gli abbondanti esiti dell’indagine archeologica, resi più intensi negli ultimi decenni. Fabrizio Mollo ci restituisce un’opera di documentazione, di divulgazione, di studio e di comprensione. Presentare le vestigia di gloria delle perdute civiltà indica un richiamo all’ estensione di una cultura che è sentitamente mediterranea e perciò, sempre e ancora oggi, nostra. Nei fasti del passato dobbiamo, quindi, riconoscerci per sentirci consapevoli e responsabili del presente.

Santo Gioffrè, Ho visto. La grande truffa della sanità calabrese, Castelvecchi 2020

La finezza del racconto, spiccatamente autobiografico, tende ad avanzare di buon grado in una dimensione memoriale e diaristica, sorretta da un marcato narrativismo e da una forte carica sentimentale. Il pamphlet, appena sessanta pagine, intreccia una feroce stroncatura della realtà con l’interesse per lo scavo psicologico e la denuncia di una frode alla sanità pubblica calabrese.

Con un linguaggio nitido e scorrevole, dal taglio quasi giornalistico e immediatamente comunicativo, Santo Gioffrè, ex commissario all’Asp di Reggio Calabria, accusa un mondo impiegatizio traviato e dozzinale, rappresentato con tono d’amarezza, asciutto. Lo sdegno morale appare saldissimo in ogni definizione. Non vi sono toni predicatori o esortativi, non la proposta dell’effetto, neppure la massiccia supremazia dell’ideologia o un pur comprensibile impulso di livore: il vigore persuasivo del racconto risiede in questi elementi che lo caratterizzano e lo rendono una straordinaria dichiarazione di resistenza.

Pino Ippolito Armino, Storia della Calabria partigiana, Pellegrini 2020

Pino Ippolito è uno “storico antropologo”. In Storia della Calabria partigiana si colloca in primo piano il taglio saggistico e lo scopo intimamente didascalico della ricerca, proponendola come soluzione a due urgenze principali: chiarire le ragioni storiche e antropologiche della lotta partigiana e dell’apporto fornito dai calabresi e far comprendere che questa storia non deve essere dimenticata.

Il Fascismo, detto alla maniera di Levi, “giace in fondo agli animi come un’infezione latente”, produce oggi soltanto rigurgiti accidentali, ma se diviene sistema di pensiero, non può che sfociare nell’ uso della violenza volta alla sopraffazione e all’intimidazione.  Attraverso un’attività di ricerca rigorosamente scientifica, Ippolito Armino prova ad elevare il fatto storico ad evento simbolico, caratterizzando il racconto della Resistenza dall’assenza di ogni retorica: combattere una guerra civile significa lottare in difesa della libertà e contro la tirannia e la scelleratezza. 

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