“Giustizia Giusta”: riflessioni sul sistema giudiziario al convegno del Lions Club Host di Reggio
Il professor Delfino e l’avvocato De Caridi denunciano squilibri, anomalie e derive etiche della magistratura italiana dal 1993 a oggi

«La legge soddisfa il principio di legalità, non quello di giustizia, che è un valore assoluto distinto dalla legge». Con questa affermazione dell’avvocato Aldo De Caridi, presidente del Lions Club Host di Reggio Calabria, si è aperto il convegno “Giustizia giusta – Ulisse è invecchiato, ma purtroppo la sua nave non è ancora approdata a Itaca”, svoltosi nella sala convegni di Confindustria. Un’occasione per riflettere su una giustizia spesso tutt’altro che giusta e sui motivi dei suoi squilibri strutturali e culturali.
A relazionare, il professor Luciano Maria Delfino, componente del Comitato Scientifico di Filodiritto, che ha evidenziato come l’attuale sistema giustizia presenti lacune profonde, risalenti alla crisi di Tangentopoli negli anni 1992-1993, un’epoca che ha segnato una svolta negativa unica nel panorama europeo.
«Nessuno può pretendere di avere la verità in tasca, ma è necessario osservare il tema nella sua complessità», ha spiegato Delfino. Secondo il professore, l’ordinamento deve garantire la tutela delle sfere giuridiche soggettive, perché «la giustizia non è giusta per definizione: deve dimostrare di esserlo». Un concetto che definisce la giustizia come «valore per eccellenza, farmaco misericordie di non facile applicazione», capace di incidere anche su questioni politiche, sociali e culturali.
Il principio di legalità, ha aggiunto Delfino, non è un valore in sé, ma un metodo. A supporto, una provocazione: «Se Hitler avesse vinto la Seconda guerra mondiale, anche i campi di sterminio sarebbero stati espressione di legalità».
Per raggiungere una giustizia giusta, è necessario ripristinare un sistema di pesi e contrappesi tra i poteri, così come previsto dalla Costituzione. Un equilibrio che, secondo Delfino, si è rotto nel 1993, quando fu modificato l’articolo 68 della Carta, eliminando l’autorizzazione a procedere per i parlamentari, limitandola alla sola richiesta di arresto. Da allora, la magistratura ha assunto un ruolo dominante, spesso sostituendosi alla politica, senza che vi fosse un controllo esterno, generando così una distorsione profonda.
«Oggi il sistema giudiziario sembra porsi come garante etico dei valori della collettività – ha ammonito Delfino – ma il magistrato deve limitarsi ad applicare le leggi in maniera equa, corretta e senza acrimonia».
Durante il convegno si è discusso anche della separazione delle carriere tra magistrati requirenti (pubblici ministeri) e giudicanti (giudici): una necessità imprescindibile, secondo Delfino, dal momento che «in nessun Paese occidentale accusa e giudice appartengono allo stesso ordine».
Altro punto critico: l’obbligatorietà dell’azione penale, che affida al pubblico ministero la libertà di decidere quali procedimenti perseguire, spesso senza controlli superiori né sanzioni per eventuali ritardi o scelte discrezionali. Delfino ha inoltre ribadito la stretta correlazione tra giustizia ed economia, sottolineando quanto l’inefficienza del sistema giudiziario pesi anche sullo sviluppo del Paese.
A chiudere i lavori, l’intervento dell’avvocato De Caridi, che ha ricordato con orgoglio «quella magistratura che ha creato il diritto di famiglia, contribuendo in modo illuminato al progresso del Paese».
Il presidente del Lions ha denunciato il fenomeno dei processi mediatici, che «sentenziano prima dei tribunali», rovinando vite e reputazioni anche di chi poi viene riconosciuto innocente. «Da qui nasce lo scetticismo verso la giustizia – ha aggiunto – una volta c’era fiducia, perché i magistrati erano uomini che servivano davvero lo Stato».
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