Bova, una festa antica che guarda lontano: la Domenica delle Palme riaccende il rito millenario delle Persefoni
Partecipazione altissima per l’evento simbolo della Pasqua nell’area grecanica. Tra mito e fede, una comunità si riconosce, si stringe, si racconta

Una comunità non si riconosce nelle parole, ma nei gesti. Nei silenzi pieni che precedono un corteo, negli sguardi complici tra generazioni, nei rituali che si rinnovano senza mai diventare abitudine. Succede a Bova, ogni anno, la Domenica delle Palme. Succede senza interruzione, da secoli. E anche stavolta, in un giorno che ha superato ogni previsione di partecipazione, centinaia di persone hanno raggiunto il borgo dell’area grecanica per ritrovare un senso. Perché questo rito non si guarda: si attraversa. Si abita. Si ricostruisce insieme.
La processione delle figure antropomorfe realizzate con rami d’ulivo intrecciati, che a Bova evocano le dee del grano e della primavera, Demetra e Persefone, non è una rappresentazione. È un linguaggio collettivo, stratificato, profondo. È la convergenza di fede cristiana e coscienza arcaica. È il modo che questa comunità ha scelto, anno dopo anno, per ricordarsi da dove viene, ma anche per dire dove vuole andare. Il rito non si limita a sopravvivere: funziona, si trasmette, si reinventa senza perdersi.
A guidare con visione questo passaggio, oggi più che mai, è l’amministrazione comunale. E non a parole. Lo si vede nell’impianto dell’evento, nella costruzione dal basso, nella scelta di restituire centralità ai bambini, non come comparse, ma come eredi.
«È un’emozione, certo – dice Gianfranco Marino, vicesindaco e assessore alla Cultura – ma prima ancora è un atto politico. Non possiamo lasciare che queste tradizioni vengano custodite come oggetti da museo. Devono vivere, devono camminare, e camminano solo se stanno sulle gambe dei più piccoli. È per questo che abbiamo investito nei laboratori scolastici, nei momenti di preparazione condivisa, nel coinvolgimento diretto delle famiglie. Non è folklore: è un processo educativo, culturale, comunitario. E il risultato è qui, oggi: Bova si è riempita di gente, ma soprattutto si è riempita di senso».
Marino parla con precisione e con il tono di chi ha chiaro che le identità non si celebrano: si praticano. «Ci muoviamo tra il mito di Demetra e Persefone e la liturgia della Settimana Santa. Ma non c’è distanza. Non c’è rottura. È lo stesso bisogno di rinascita, lo stesso desiderio di radicamento. In un’epoca che ci vuole disorientati e divisi, noi scegliamo la prossimità. Scegliamo di dare valore a un luogo come questo, che non è marginale, ma centrale, se lo si guarda con occhi nuovi».
E non si tratta solo di messaggi. La manifestazione è il frutto di una rete vera, che tiene insieme l’amministrazione, le scuole, le associazioni, ma anche le famiglie che da sole, nelle proprie case, hanno realizzato le figure portate in corteo. Una coralità che non viene annunciata: si manifesta nei fatti. Così come la capacità di rendere l’evento attrattivo ma non svuotato, capace di accogliere visitatori da tutta la Calabria senza perdere la propria coerenza.
A ribadire con forza questo ruolo identitario è anche il sindaco di Bova, Santo Casile, che ha voluto ricordare come la manifestazione sia parte integrante della memoria viva del borgo.
«Ogni anno, ininterrottamente, realizziamo questo rito che viene da lontano. E non lo facciamo per ricordare qualcosa di chiuso, ma per tenere aperta una storia che continua. Le figure intrecciate parlano di mito, di fede, di cultura rurale, ma parlano anche di noi oggi. Di come siamo capaci di stare insieme, di riconoscerci, di trasmettere un senso di comunità che altrimenti andrebbe perso».
Casile rivendica con fermezza il riconoscimento ufficiale ricevuto dal Ministero della Cultura, che ha inserito l’evento tra le Meraviglie d’Italia: «Un risultato importante, ma che conferma quello che già sapevamo. Questa manifestazione è il simbolo identitario più forte del nostro territorio, e come tale va tutelata. Per la carica rituale, per il valore storico, ma anche per il rapporto sacro tra creato e vissuto, che ancora oggi si esprime con forza».
Tra le presenze istituzionali, anche quella di Andrea Zirilli, sindaco di Bova Marina, che ha sottolineato il valore dell’iniziativa come ponte tra due comunità storicamente legate. «La partecipazione di oggi rafforza un legame che non è solo simbolico. Bova e Bova Marina condividono percorsi, sfide e visioni. Dobbiamo lavorare per renderli sempre più integrati, anche nei servizi».
Un messaggio analogo è arrivato da Filippo Paino, sindaco di Condofuri e presidente del GAL Area Grecanica. «Siamo di fronte a un patrimonio immateriale che non può essere considerato accessorio. È parte strutturale della nostra identità, e può diventare anche leva concreta di sviluppo. È su queste radici che si costruiscono comunità capaci di guardare avanti».
Ma più delle dichiarazioni, resta l’immagine di un paese attraversato da un corteo che non rappresenta, ma custodisce. Un rito che non viene messo in scena, ma condiviso. Dove la tradizione non serve per celebrare il passato, ma per interrogare il presente.
In un tempo che tende a semplificare e ad archiviare, Bova tiene il passo con ostinazione, affidando alle mani dei più piccoli una storia che non si è spezzata. E lo fa senza clamore, ma con una lucidità rara: sapendo che non c’è futuro senza radici, e che certe radici, quando si intrecciano, non si spezzano mai.