giovedì,Aprile 25 2024

Reggio Calabria, Falcomatà a Sala: «Più che gabbie salariati sembra si sia tornati alla gabbie di matti»

Per il primo cittadino reggino «Si deve pensare migliorare le burocrazia e far funzionare meglio la macchina amministrativa»

Reggio Calabria, Falcomatà a Sala: «Più che gabbie salariati sembra si sia tornati alla gabbie di matti»

«Più che gabbie salariati sembra si sia tornati alla gabbie di matti». Così il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, intervenendo a Radio 24 a proposito delle recenti dichiarazioni del primo cittadino di Milano, Giuseppe Sala che, sabato scorso il sindaco di Milano aveva dichiarato che “Se un dipendente pubblico, a parità di ruolo, guadagna gli stessi soldi a Milano e a Reggio Calabria, è intrinsecamente sbagliato, perché il costo della vita in quelle due realtà è diverso”. Riproponendo le gabbie salarialiossia  quel sistema di calcolo degli stipendi che tiene conto, tra le altre cose, del costo della vita, e che in Italia venne applicato per circa 18 anni prima di essere abolito.

«Non si può fare l’esempio del costo della vita con la tazzina del caffè, dovremmo considerarlo all’interno del sistema paese, così come fino allo scorso anno diceva il sindaco Sala quando si parlava di economia differenziata, dobbiamo tenere conto delle condizioni di povertà, di collegamento con il resto del Paese. Oggi mi sembra  totalmente fuori tempo, fuori contesto storico. Se la colpa è dei dirigenti, dei funzionari e della burocrazia ragioniamo su come fare funzionare meglio la macchina amministrativa: ma non premiare di più il funzionario Milano invece che quello di Reggio.

Falcomatà ricorda la visita dello scorso anno di Sala all’Hitachi, produttrice di treni, e le lodi ai lavoratori che avrebbero dovuto essere valorizzati, ed aggiunge il sindaco «Cosa è cambiato in un anno non si sa. Se all’indomani di un’emergenza sanitaria che ha presupposto uan risposta unitaria del Pase torniamo a fare ragionamenti che dividono il Nord dal Sud allora della lezione del covid abbiamo capito poco».

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