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Falcomatà-bis, storia di un sindaco rieletto per l’assenza di alternative. Retroscena e rischi di un Comune appeso a un filo

Ecco perché Giuseppe Falcomatà è stato eletto nuovamente dai reggini: errori, tormenti e rinascita del figlio di Italo. Che deve ringraziare gli avversari e iniziare a governare davvero

Falcomatà-bis, storia di un sindaco rieletto per l’assenza di alternative. Retroscena e rischi di un Comune appeso a un filo

Dura appena un quarto d’ora l’intervallo fra il primo ed il secondo tempo di una partita di calcio. Una manciata di minuti in cui rimettere in ordine le idee, rinfrescarsi e magari cambiare la maglia sudata dopo aver corso tanto. Ma sono anche minuti in cui mettere a fuoco gli errori commessi nella prima frazione, osservare attentamente la lavagna in cui l’allenatore mostra le mosse, fa autocritica ed impone un deciso cambio di passo. Perché è nel secondo tempo che la partita va vinta veramente.  

È un paragone inevitabile quello calcistico, se è vero che il sindaco confermato di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, ha fatto di questo “secondo tempo” il suo slogan principale della campagna elettorale finita poche ore fa e che lo consacra ancora quale primo cittadino.  

Giuseppe Falcomatà non è uno sprovveduto. Sa benissimo che quanto accaduto da marzo ad oggi equivale ad un vero e proprio miracolo elettorale, frutto più dell’inadeguatezza degli avversari che della sua capacità di amministrare la città nei cinque anni, diventati sei per l’emergenza Covid.  

L’elezione fra le macerie politiche 

Facciamo un passo indietro: quando, nell’ottobre del 2014, Giuseppe Falcomatà vinse le elezioni sbaragliando la concorrenza del centrodestra, tutti parlarono di una vittoria scontata, frutto più dell’eredità morale lasciata da papà Italo che di vera convinzione nelle potenzialità politiche del giovane avvocato reggino. A ciò andava aggiunta una condizione di totale scollamento sociale con la quale Reggio Calabria dovette fare i conti: lo scioglimento per contiguità mafiose del Consiglio comunale; il caso Fallara ed i bilanci in rosso del Comune; le società miste al centro di inchieste che ne svelarono gli interessi mafiosi.

E poi, ancora, un leader assoluto come Giuseppe Scopelliti caduto in disgrazia e condannato, senza nessuno che ne sapesse raccogliere l’eredità. Tutto ciò generò la convinzione, nella cittadinanza reggina, che Giuseppe Falcomatà avrebbe potuto rappresentare il nuovo. Una politica diversa, fatta di concretezza. Ma di certo non ancorata ai vecchi retaggi che avevano caratterizzato l’epopea del Modello Reggio.  

Perché Giuseppe non sarà mai Italo 

Noi lo scrivemmo subito: vietato paragonare Giuseppe al padre Italo. Giuseppe è Giuseppe. Italo era Italo. Non voleva essere una presa di posizione strumentale, né in favore né contro il giovane Falcomatà. Era solo una constatazione lapalissiana di una totale diversità di periodi, di contesti. E di persone. Dicemmo a gran voce che al giovane sindaco, appena 31enne, andava concesso un credito di fiducia ampio in considerazione delle condizioni disastrose con cui si trovò a dover fare i conti.

Il Comune di Reggio Calabria, anche dopo la gestione commissariale tutt’altro che idilliaca, era un campo minato, nel quale ad ogni passo la possibilità di rimanere colpiti da un’esplosione era altissima: tributi alle stelle a fronte di servizi quasi inesistenti; lo spettro del dissesto che aleggiava con sinistra periodicità; una città lacerata da una condizione socio-economica fra le peggiori che si ricordino. In mezzo, diverse inchieste giudiziarie che divaricavano sempre più le distanze fra politica e cittadinanza. 

Ha dovuto fare i conti con tutto questo e molto altro, Giuseppe Falcomatà nei suoi primi anni da amministratore. Ed è per questo che a lui andava concesso del tempo. Il primo tempo. E pur tuttavia è innegabile come, a fronte di tanti sforzi compiuti per ridare decoro alla città, i risultati non siano stati così esaltanti. Era un compito semplice? No, tutt’altro. Era un’impresa titanica alla quale credere solo in nome dell’amore verso una città intera.  

Una città umiliata e stremata 

E così, ci si è ritrovati con una Reggio Calabria ancor più piegata su se stessa. Imbufalita per le strade dissestate ben oltre il limite della decenza; presa in giro per una carenza idrica proseguita anche dopo il trionfale annuncio dell’acqua del Menta; umiliata dal ritorno dell’emergenza rifiuti, con l’aggravante di una differenziata “porta a porta”, sicuramente giusta negli intenti, ma maledettamente infausta negli effetti. Stremata da tributi alle stelle, che hanno fiaccato cittadini, professionisti e imprenditori. Sferzata da incuria, degrado e abbandono delle periferie. 

Reggio, ad un certo punto, è apparsa come una discarica a cielo aperto, nella quale non ci si poteva neppure lavare o espletare i bisogni fisiologici, perché non vi era acqua per lo sciacquone. Una condizione decisamente poco dignitosa per una città normale. Figurarsi per una che voglia definirsi metropolitana. Una città da cui fuggire al più presto, anche per chi avesse voluto investire. E Giuseppe Falcomatà, buona volontà a parte, non è mai davvero riuscito a risolvere i problemi quotidiani con cui i reggini sono costretti ancora a fare i conti. E lui questo lo sa benissimo. Tanto da aver cheisto scusa, durante la campagna elettorale, per gli errori commessi. 

Le inchieste giudiziarie 

Ma la sindacatura Falcomatà è stata contraddistinta anche da due momenti molto probanti sotto il profilo giudiziario: l’inchiesta sull’affidamento del Miramare e l’inchiesta “Helios” che, seppur non direttamente collegata al sindaco, ha colpito i suoi più fidati collaboratori.  

Due vicende che certamente devono trovare ancora uno sbocco nelle aule di giustizia, ma che hanno contributo in modo non indifferente a creare una frattura più profonda fra la giunta Falcomatà ed i cittadini. 

Come detto, sono stati tanti gli sforzi fatti per provare a risalire la china. Alcuni risultati sono contenuti nel famoso “libro” dal titolo eloquente: “Chi fici Falcomatà?”. Ma non sono mai stati davvero sufficienti a convincere i reggini della bontà del lavoro del giovane sindaco. Per non parlare dei retroscena venuti fuori in merito alla vicenda Miramare ed all’allontanamento di Angela Marcianò, così come quella sensazione, mai veramente sopita, di un Falcomatà desideroso di spiccare il volo verso Roma per legittime ragioni di carriera politica.  

L’improvviso cambiamento durante la pandemia 

Succede, però, che, all’improvviso, l’idillio Falcomatà-Renzi viene meno e con esso le velleità romane. Oliverio viene sconfitto alle regionali, con Jole Santelli che prende in mano la Cittadella. Il tutto mentre avanza l’emergenza Covid-19. È questo il punto di rottura in cui Falcomatà comprende di aver perso la fiducia dei suoi concittadini. E così, a colpi di dirette facebook e tirando fuori una grinta mai dimostrata prima, si erge a tutore della salute dei reggini.

Scende in strada, inizia ad inveire in maniera decisa e a battere i pugni quando si paventa il trasferimento di persone positive al Covid in un hotel del centro. I reggini avvertono la presenza del loro sindaco e lo incoraggiano. Ma sono ancora una minoranza. Talmente esigua da lasciare la quasi certezza di una vittoria a mani basse al centrodestra. Il quale, però, deve fare i conti con il rinvio delle elezioni proprio a causa del Coronvirus. Una scelta obbligata che, a posteriori, si rivelerà fatale per Cannizzaro e soci, mentre diverrà provvidenziale per tutto il gruppo Falcomatà.  

È in questi mesi che il sindaco ricostruisce la sua conferma a Palazzo San Giorgio. Mentre dalle parti di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia ci si accapiglia per la scelta del candidato, Falcomatà inizia a stilare l’infinito elenco di opere da inaugurare. E poco importa se, come accaduto per il parco lineare sud o il waterfront, spente le luci, tornano di nuovo i divieti d’accesso perché le opere sono ancora incomplete. Ciò che più conta è dare la sensazione ai reggini che tanto è stato fatto in questi sei anni.

Le strade iniziano a prendere una forma nuova. Betoniere e catrame appaiono in ogni dove. Solo i rifiuti non hanno una soluzione definitiva. Ma lì la questione è molto più complessa. Il sindaco esce dal suo ufficio e avvia un lungo percorso che lo porta ad incontrare i cittadini. Gira i quartieri, s’informa, ascolta. Fa quello che sarebbe stato utile fare anche nei sei anni precedenti. Ma i reggini apprezzano. 

Nel frattempo, però, deve fare i conti anche con tanti della sua maggioranza che decidono di abbandonarlo. Alcuni passano all’opposizione, altri chiudono con la politica. Lui, però, non si rassegna. Annusa le difficoltà del centrodestra e organizza la rimonta.  

L’assist del centrodestra 

Il resto è storia recente e potrebbe essere sintetizzato nel divertente video in cui l’artista reggino Pasquale Caprì, imitando proprio Falcomatà, afferma che il “grazie” più importante deve andare proprio al centrodestra. Non è una battuta. E nell’ironia dell’artista c’è tantissima verità. La vittoria di lunedì ha una genesi principale: l’incredibile suicidio politico del centrodestra reggino, avvitato attorno alla scelta più facile, quella del candidato a sindaco.

Ce ne sarebbero stati a decine, sul territorio. E sarebbe servito sceglierne uno competente e pronto per affrontare Giuseppe Falcomatà. Da Bombino a Zagami, passando per Lamberti Castronuovo. Tutti avrebbero potuto affrontare una campagna elettorale tenendo testa al candidato del centrosinistra e con concrete chance di vittoria. Ma veti e decisioni calate dall’alto hanno prodotto l’effetto di risvegliare nel reggino uno spiccato senso d’identità.  

La ribellione dei reggini 

È accaduto qualcosa d’impensabile, anche tenendo conto dei risultati del primo turno: tanti, che avevano votato centrodestra, hanno abbandonato Minicuci per votare Falcomatà. Colpa dei confronti andati in onda su web e tv? Può darsi. Ma c’è qualcosa di molto più profondo che crediamo sia accaduto: Reggio Calabria ha deciso di preferire il “secondo tempo” di un sindaco indigeno ed aspramente criticato, ad una avventura che avrebbe visto a Palazzo San Giorgio la bandiera della Lega. Di più: Antonino Minicuci si è trovato spiazzato ed isolato proprio nel momento in cui avrebbe avuto maggiore bisogno di protezione. Quella solitudine, nel giorno del ballottaggio, è stata l’emblema di una scelta che non ha mai convinto sino in fondo.  

Le nuove sfide di Falcomatà 

Di contro, Giuseppe Falcomatà ha registrato decine di migliaia di consensi, molti dei quali sono stati motivati alla stessa maniera: «Ti abbiamo votato perché non c’erano alternative, ma ora dimostra che questa fiducia è stata ben riposta». I reggini, insomma, chiedono al primo cittadino un deciso cambio di passo. Per tornare alla metafora calcistica, servirà sicuramente fare numerose sostituzioni e cambiare schema e atteggiamento in campo.  

Falcomatà è consapevole che quel 58% di consensi è pronto ad evaporare nel tempo di un “amen”. E non inganni il fatto che abbia ottenuto la rielezione. Il giovane sindaco sa perfettamente di avere una spada di Damocle addosso, data da un processo nel quale si trova imputato e per il quale rischia una lunga sospensione, così come sa benissimo che l’inchiesta “Helios” – che ha coinvolto i suoi più stretti collaboratori – potrebbe ancora produrre colpi di coda dagli esiti nefasti.  

Impari dai reggini, Giuseppe Falcomatà. Impari soprattutto a fidarsi delle donne e degli uomini che lo hanno votato concedendogli una seconda chance. Faccia in modo che questa sua sindacatura sia veramente quella del raccolto. E dell’ascolto. Non aspetti più la fine dei cinque anni per andare in mezzo alla gente, ascoltarla, sentirne i bisogni e viverne le emozioni. Elimini dal vocabolario espressioni come “è colpa delle amministrazioni precedenti”, perché ora quella precedente è proprio la sua. Dopo sei anni e un decreto Agosto che dovrebbe rimettere in sesto i conti comunali, inizi seriamente a pensare ad una politica che sappia risolvere i problemi più urgenti di Reggio Calabria, che lui conosce a menadito e che non abbisognano di promemoria.  

S’impegni a fare in modo che nessuna ombra di ‘Ndrangheta possa avanzare dentro la Casa della Città. Un tema totalmente dimenticato in campagna elettorale, ma che rappresenta un’emergenza alla pari di acqua, spazzatura e strade. Perché è da lì, da quel tarlo mafioso, che prendono le mosse tutti i grandi problemi che attanagliano ancora oggi la città dello Stretto. E in questi anni, qualche passaggio a vuoto, in questo senso, lo si è visto con preoccupazione. 

Sono tante e tali le sfide che attendono il sindaco di Reggio Calabria che ora nessun alibi è più concesso: è il tempo del lavoro a testa bassa. Al termine di questi cinque anni, saranno in totale 11 quelli passati con la fascia tricolore addosso. Abbastanza per poter lasciare un segno tangibile e concreto e per potersi finalmente fregiare del titolo (da meritare sul campo) di erede politico di Italo Falcomatà. È quello che Reggio Calabria si augura ed è ciò che auguriamo al sindaco appena confermato. 

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