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Caso Miramare, rigettato il ricorso di Falcomatà: «Era un atto dovuto per segnalare il disagio dei sindaci»

Il Tribunale di Reggio considera «non fondate» le eccezioni sollevate. Il primo cittadino sospeso ora chiede di superare l’impasse provocato dalla Legge Severino. Ma dopo il “no” di Letta ai Referendum è polemica

Caso Miramare, rigettato il ricorso di Falcomatà: «Era un atto dovuto per segnalare il disagio dei sindaci»

Il Tribunale di Reggio Calabria ha depositato quest’oggi l’ordinanza di rigetto del ricorso presentato dal sindaco, oggi sospeso, Giuseppe Falcomatà sul provvedimento di sospensione per 18 mesi, che eccepiva questioni di costituzionalità sulla legge Severino. Come si ricorderà il primo cittadino di Reggio a novembre scorso è stato condannato ad un anno e 4 mesi con l’accusa di abuso d’ufficio nell’ambito del Processo “Miramare”. Condanna che ha fatto scattare la scure della Legge Severino che prevede la sospensione già al primo grado di giudizio.

Quella del ricorso è stata un’ovvia reazione ad un provvedimento – la sospensione prevista dalla Severino – che in tanti considerano spropositato in ordine al tipo di reato contestato. Negli anni sono stati tanti i ricorsi avanzati e puntualmente bocciati, non ultimo quello del sindaco di Catania Salvo Pogliese su cui si fondava il cauto ottimismo di Falcomatà al momento della presentazione del ricorso. E così è stato anche per lui, con il tribunale che ha ritenuto non fondate le eccezioni sollevate. «Nessuna sorpresa, una posizione che oggettivamente mi aspettavo – ha commentato Falcomatà – considerando il rigetto al sindaco di Catania ed in generale gli esiti dei tanti ricorsi ad oggi presentati dai vari sindaci ed amministratori che sono incorsi nell’applicazione della Severino. Il ricorso per quanto mi riguarda era semplicemente un atto dovuto, sul quale non nutrivo eccessive speranze, ma che andava presentato per segnalare il disagio di tanti sindaci ed amministratori verso le conseguenze di una norma che, sanzionando anche i presunti abusi lievi, produce effetti perversi ed ingiusti.

D’altronde le posizioni espresse da Anci e da migliaia di sindaci di tutta Italia lo raccontano meglio di me. Ciò che mi aspetto adesso è che la politica si occupi degli aspetti ordinamentali, contribuendo a superare l’impasse che l’applicazione della Severino ha generato e sta generando in tante aree del nostro Paese».

Referendum, Letta dice «no» e scoppia la polemica

Il referendum oggi ha un timbro, quello dei radicali e soprattutto della Lega che chiede la totale abrogazione della Severino. Un elemento “politico” di non poco conto che ha spinto il segretario nazionale Enrico Letta ad una dichiarazione che ha fatto saltare dalla sedia la pletora di sindaci dem che ormai da tempo lottano per una rivisitazione della stessa legge. D’altra parte, nel corso della Direzione nazionale del Pd di lunedì scorso, Letta ha schierato il partito sul no a due dei referendum ammessi: proprio quello sull’abrogazione della Severino e quello sulle limitazioni delle misure cautelari. Per gli altri 3 quesiti, il segretario dem indica la strada del Parlamento visto che sono parzialmente assorbiti dalla riforma Cartabia all’esame delle Camere. Questi 3 referendum – ha detto Letta – «non ci vedono contrari, ma è dentro il dibattito parlamentare che noi vogliamo che arrivino le risposte».

Lo stesso discorso, dunque, si potrebbe fare sulla Severino. Ma intanto si è rischiato di fare la frittata in casa dem. D’altra parte, a caldo – riferiscono fonti accreditate – la dichiarazione di Letta ha scatenato un putiferio tra i sindaci dem, non solo per il contenuto della stessa, ma anche per il fatto che il segretario nazionale non ha condiviso con nessuno (sindaci in primis) questo orientamento “nuovo” del partito. In molti hanno recepito quella dichiarazione del “no” al referendum come una sorta di dichiarazione di guerra ai primi cittadini, tanto che prima l’Anci con il suo presidente Antonio Decaro, e poi il responsabile dei sindaci dem, Matteo Ricci, hanno vergato note al vetriolo indirizzati al segretario, senza mai nominarlo.
Decaro ha sostenuto come oggi più che mai si senta l’esigenza, al di là di quale sarà l’esito del referendum ammesso dalla Corte costituzionale e delle legittime posizioni assunte dalle forze politiche, «di tornare a ribadire come Anci la necessità che la legge Severino venga modificata. Che sia per scelta degli elettori o per una iniziativa del Parlamento, che abbiamo più volte sollecitato, per noi è importante raggiungere questo obiettivo per dare stabilità e continuità alla vita amministrativa delle nostre comunità».

Ricci da parte sua, ritoccando l’impeto che lo ha mosso a caldo, ha sostenuto che la legge Severino, col Referendum o in Parlamento, va comunque modificata. Il sindaco di Pesaro è convinto, come molti, che difficilmente – con la bocciatura di quelli previsti per la cannabis e per il fine vita – sarà raggiunto il quorum ai Referendum di giugno prossimo, anche se verranno accorpati al primo turno delle amministrative in programma per questo 2022. Quindi la legge va modificata in Parlamento e anche in fretta. Se non si vuole abolire la legge – è il ragionamento dei sindaci dem – bisogna modificarla per i reati minori. E pur comprendendo le preoccupazioni di Letta che vorrebbe mantenere in vita la legge per i reati di mafia e terrorismo, la norma va modificata per i reati minori, come l’abuso di ufficio.

In Parlamento 4 disegni di legge, uno è del Pd

In effetti in Parlamento sono stati già presentati ben quattro disegni di legge che mirano alla modifica della legge Severino. Uno di questi è stato depositato, sia al Senato che alla Camera, a firma di autorevoli parlamentari del Pd – tra gli altri Dario Parrini, presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Rossomando, vice presidente del Senato e responsabile giustizia del partito, e Franco Mirabelli, vice presidente dem e capogruppo in commissione Giustizia – e prevede che non ci sia più la sospensione automatica per gli amministratori regionali e locali che riportano condanne non definitive, a meno che non si tratti di condanne per reati gravi e di particolare allarme sociale tra i quali la corruzione, la concussione e i delitti legati alle mafie.

«Questa proposta – si disse al Nazareno all’epoca della presentazione del Ddl – in quanto mira a realizzare un diverso bilanciamento tra le esigenze della lotta all’illegalità e quelle della salvaguardia della stabilità ed efficienza delle pubbliche amministrazioni, si pone in antitesi con l’approccio seguito dai promotori del referendum in materia di giustizia, un approccio che risulta del tutto non condivisibile poiché fondato su una linea di abrogazione indiscriminata delle norme». Insomma se questa è la strada indicata da Enrico Letta, non resta che percorrerla, tenendo d’occhio il calendario. Perché se entro giugno non si riuscirà a discuterla, saranno i referendum a rischiare, in assenza del quorum, di affossare per l’ennesima volta i tentativi di modifica della Severino.

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