giovedì,Aprile 18 2024

Elezioni, simbolo o nominativo? Quando i politici preferiscono non metterci la faccia

Le storture del Rosatellum si palesano anche nelle modalità di voto. E il consenso personale assume le proporzioni di un voto per le comunali

Elezioni, simbolo o nominativo? Quando i politici preferiscono non metterci la faccia

Strali, recriminazioni, finanche epiteti estremi. Tutti rivolti alla legge elettorale più contestata della storia repubblicana. E tutti provenienti da quegli stessi politici che l’hanno votata a suo tempo. Perché chi di legge elettorale ferisce di legge elettorale perisce. D’altra parte il Rosatellum è nato in un momento storico in cui la politica “tradizionale” ha sentito forte l’esigenza di arginare lo tsunami a 5 stelle. E sulla carta lo stratagemma non faceva una piega, perché la legge partorita da Ettore Rosato e votata praticamente da tutti i partiti, nasce per favorire le aggregazioni di partiti e quindi le coalizioni, in un sistema misto maggioritario e proporzionale che rende quasi “inutile” la distinzione tra collegi uninominali, in cui i candidati ci mettono la faccia, e la parte proporzionale in cui i listini suggeriscono già al momento della loro compilazione i probabili eletti. Un sistema in cui sembra che l’unica variabile può essere rappresentata dalla forbice dell’astensione.

Ma i nostri politici questa volta hanno rinunciato a mostrare i muscoli, a ostentare il consenso personale, da usare all’occorrenza per rivendicare posti privilegiati nel prossimo governo, preferendo coprirsi rispetto ad eventuali sorprese, sfruttando l’onda lunga in termini di voti nascente dalla coalizione. Non sarà sfuggito a nessuno che i candidati hanno raccomandato di votare in un unico e solo modo: barrate il simbolo del partito di cui faccio parte e non sbaglierete.

E così è stato. A testimonianza di ciò basta guardare i voti che sono andati solo ai candidati ai collegi uninominali. Partendo dal Senato, uno dei collegi è stato vinto dalla reggina Tilde Minasi che tiene alta la bandiera della Lega in Calabria. L’assessore alle politiche sociali in forza alla Regione ha ringraziato “172.696 volte” i suoi elettori, ma ha raccolto sul suo nome solo 1018 voti a Reggio città, e 3088 rispetto al Collegio nella sua interezza. Per capire la dimensione del fenomeno basta pensare che il pentastellato Giuseppe Auddino ha raccolto nel collegio 3038 voti e 551 nella sola Reggio Calabria. Francesco Pitaro, candidato dem, ha raccolto 2721 voti su base collegiale e 446 in città.

Alla Camera la tendenza è la stessa per tutti e cinque i collegi uninominali. Per quelli che ci interessano più da vicino – il 4 e il 5 vinti rispettivamente da Giovanni Arruzzolo e Francesco Cannizzaro – la musica non cambia. Arruzzolo nell’intero collegio che sconfina su Vibo, raccoglie 54433 voti ma personalmente ne ha avuti accordati solo 802. Il 5 stelle Riccardo Tucci sui 24495 voti iscritti a verbale, personalmente ne ha raccolti 530; Dalila Nesci per il centrosinistra solo 478. E così anche per Michele Conia, sindaco di Cinquefrondi che sui 4749 voti di Unione Popolare ne ha avuti personalmente 192.

Nel collegio n° 5 Francesco Cannizzaro ha collezionato 65913 preferenze, ma a livello di collegio personalmente ne ha raccolti 1688, e solo a Reggio città 1204. Mimmetto Battaglia, in quota Pd, nel collegio prende 1597 voti personali, a Reggio 1173. Il pentastellato Fabio Foti invece rispetto alle oltre 24 mila preferenze del Movimento, a livello personale ne prende 894 nell’intero collegio e 592 in riva allo Stretto. Anche Giovanni Latella non si sottrae alla regola, raccogliendo 263 voti sull’intero territorio del collegio, di cui 197 nella nostra città.

Insomma, se questo non è voto d’opinione, poco ci manca.

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