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Autonomia in Costituzione da 20 anni: ecco cosa cambierà con la legge Calderoli

Si inasprisce il dibattito nazionale dopo l’accelerazione del ministro Calderoli. I nodi dei Livelli essenziali delle prestazioni e il ricorso alla spesa storica rimangono a tutt’oggi irrisolti

Autonomia in Costituzione da 20 anni: ecco cosa cambierà con la legge Calderoli

Siamo già al tempo delle querele. Per ora solo minacciate. Di certo c’è che il Ministro per gli Affari regionali, Roberto Calderoli ha premuto (forse) troppo sull’acceleratore di un’Autonomia regionale, più comunemente conosciuta come differenziata, al punto che nel giro di 48 ore si è scatenato un putiferio a cui si è aggiunto anche il fuoco amico. Innervosendo e non poco il Ministro che vorrebbe già a fine mese l’approvazione preliminare in Consiglio dei ministri per poi portare il progetto di legge in Conferenza unificata. Auspicando di raggiungere le intese con le Regioni entro la fine del 2023. Insomma andare avanti ma non a colpi di Decreto, assicura il titolare agli Affari regionali.

La bozza Calderoli aveva già animato il dibattito non appena venne fatta circolare ai primi di novembre. Il tour del Ministro, l’altro ieri in Calabria a colloquio con il presidente Roberto Occhiuto, ha ancor di più surriscaldato gli animi delle opposizioni politiche, dividendo il fronte tra chi la considera un’opportunità di crescita e chi una secessione mascherata a vantaggio di pochi.

Il dibattito in Parlamento

Il tema dell’Autonomia regionale, e quindi del riconoscimento di maggiori forme di autonomia alle Regioni a statuto ordinario, ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, si è imposto al centro del dibattito a seguito delle iniziative intraprese da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna nel 2017.

Le tre Regioni a febbraio 2018 hanno sottoscritto con l’allora governo tre accordi preliminari dando avvio ad un negoziato che ha ampliato il numero delle materie da trasferire agli Enti locali rispetto a quello originario. Naturalmente anche altre regioni hanno avanzato le proprie richieste nell’ambito dell’autonomia regionale (sono pervenute ufficialmente al Governo le richieste di Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Marche e Campania).

Tuttavia dalla riforma del Titolo V, che ha introdotto le disposizioni in materia di autonomia nella Costituzione, il procedimento previsto per l’attribuzione di autonomia differenziata non ha mai trovato completa attuazione.

Nel corso della XVIII Legislatura (Governi Conte I e II e Draghi) si è aperto un ampio dibattito su quelle che sono a tutt’oggi le maggiori perplessità avanzate dai detrattori dell’autonomia regionale: modalità del coinvolgimento degli enti locali, il ruolo del Parlamento e l’emendabilità in sede parlamentare del disegno di legge rinforzato che contiene le intese, il rispetto del principio di sussidiarietà, nonché la definizione dell’ampiezza delle materie da attribuire.  

Il Dipartimento per gli Affari regionali della Presidenza del Consiglio predispose anche una bozza di legge quadro, sottoposta alla Conferenza Stato-Regioni e poi inserita dal Governo nella nota di aggiornamento al DEF 2020 tra quelli collegati alla manovra di bilancio. Il tema dell’autonomia differenziata rientrava nel Programma nazionale di riforma 2020, nel quale si confermava come prioritario, anche alla luce dell’emergenza Covid-19 in corso, l’obiettivo della “[…] definizione preliminare dei livelli essenziali nelle materie oggetto di autonomia”.

Successivamente, il tema è stato trattato nelle audizioni svolte dalla Ministra per gli Affari regionali e le autonomie, Mariastella Gelmini, presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale il 26 maggio 2021 e presso la Commissione bicamerale per gli affari regionali il 13 luglio 2021. Alla fine del percorso, il disegno di legge quadro, ritoccato, sull’attuazione dell’autonomia differenziata è stato nuovamente incluso tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio 2022-2024 e dichiarato aperto a nuove modifiche.

Oggi a riprovarci, anche con decisione, è il Ministro leghista per gli Affari regionali Roberto Calderoli.

Cosa prevede la Costituzione

L’articolo 116, terzo comma, della Costituzione – aggiunto ormai più di vent’anni fa con la riforma del Titolo V relativo all’organizzazione degli Enti locali – prevede la possibilità di attribuire “forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario (c.d. regionalismo differenziato o regionalismo asimmetrico, in quanto consente ad alcune Regioni di dotarsi di poteri diversi dalle altre), ferme restando le particolari forme di cui godono le Regioni a statuto speciale.  

L’ambito delle materie nelle quali possono essere riconosciute queste forme di autonomia è stabilito invece dal terzo comma dell’art.117, che le attribuisce alla competenza legislativa concorrente; e un ulteriore limitato numero di materie elencate dal secondo comma, con competenza legislativa esclusiva dello Stato: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

«L’attribuzione di tali forme rafforzate di autonomia deve essere stabilita con legge rinforzata, che, dal punto di vista sostanziale – si legge sul sito della Camera dei Deputati – è formulata sulla base di un’intesa fra lo Stato e la Regione, acquisito il parere degli enti locali interessati, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119 della Costituzione in tema di autonomia finanziaria, mentre, dal punto di vista procedurale, è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti».

La proposta Calderoli

In molti si sono prodigati nel definire la proposta di legge del ministro Calderoli una proposta a carattere finanziario. Soprattutto perché dispone le risorse da assicurare alle regioni, a seguito del conferimento delle funzioni inerenti alla maggiore autonomia, sui livelli essenziali delle prestazioni. E per questo è stata definita la “secessione dei ricchi”.

Tra l’altro nelle ormai famose richieste di autonomia da parte di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, si fa riferimento alla possibilità di trattenere il 90% del gettito fiscale (che poi, è quello che interessa di più alle Regioni) relativo ai cittadini e alle imprese italiane che sono residenti o hanno sede in quel territorio, sottraendolo di fatto alle casse dello Stato (la stima per le sole tre regioni coinvolte è di 190 miliardi all’anno). Per i favorevoli, trattenere il gettito fiscale si tradurrebbe automaticamente in maggiore efficienza ed efficacia nella realizzazione di servizi in quella regione.

I detrattori dell’Autonomia fanno leva sul divario, forte, e già esistente, tra le regioni del Nord e quelle del Sud. E non è un caso che la parte più problematica della legge Calderoli riguardi proprio i Lep (Livelli Essenziali nelle Prestazioni) che sono indicatori della misura effettiva di diritti civili e sociali che devono essere determinati e garantiti, in modo uniforme, sul territorio nazionale, con la funzione di tutelare l’unità economica e la coesione sociale della Repubblica, rimuovere gli squilibri economici e sociali (federalismo solidaristico) e fornire indicazioni programmatiche cui le Regioni e gli enti locali devono attenersi, nella redazione dei loro bilanci e nello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

I diritti di cittadinanza, la cui determinazione è competenza esclusiva dello Stato attribuita dall’art. 117 Costituzione, sono essenzialmente l’assistenza sanitaria e sociale, l’istruzione, le prestazioni previdenziali per i lavoratori e la possibilità di fruire dei servizi essenziali in modo uniforme.

Secondo la proposta Calderoli (Art.3) «entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sono determinati i livelli essenziali delle prestazioni». Come dire che si spera di fare in un anno ciò che non si è riuscito a fare in venti. E per non far passare il tempo invano, si stabilisce che «decorso il termine di dodici mesi senza che sia stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al primo periodo, si provvede con atto avente forza di legge». Che rimette in gioco la spesa storica delle Regioni. D’altra parte l’Art. 4 che dispone dei principi relativi all’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali stabilisce che “le risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio da parte di una Regione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono determinate, in sede di prima applicazione, da una Commissione paritetica Stato-Regione, nei termini di spesa storica sostenuta dalle amministrazioni statali nella Regione per l’erogazione dei servizi pubblici corrispondenti alle funzioni conferite, quale criterio da superare a regime con la determinazione dei costi standard, dei fabbisogni standard e dei livelli di servizio cui devono tendere le amministrazioni regionali quali strumenti di valorizzazione e valutazione dell’efficacia e dell’efficienza della loro azione amministrativa e per il finanziamento delle funzioni riconducibili ai livelli di essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117”.

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