domenica,Giugno 22 2025

La forma, la sostanza ed il filo rosso della democrazia che rischia di spezzarsi tra Melito e Roma

Oggi il Consiglio di Stato decide sul ricorso contro la ricusazione della lista per le comunali di Melito Porto Salvo guidata da Patrizia Crea. Ma in gioco c’è molto di più: l’equilibrio instabile tra forma e sostanza

La forma, la sostanza ed il filo rosso della democrazia che rischia di spezzarsi tra Melito e Roma

Alle 11.00 di questa mattina, il Consiglio di Stato è previsto in discussione il ricorso presentato da Patrizia Crea contro l’esclusione della lista civica «L’Onda del Riscatto». Un atto giuridico, senza dubbio. Ma anche un’occasione per interrogarci, come cittadini e come osservatori, su ciò che oggi intendiamo davvero per partecipazione democratica, soprattutto nei territori dove essa è più fragile, meno garantita, spesso appesa a un filo.

Nel caso specifico, la lista è stata esclusa per vizi formali e, senza voler entrare nel merito, il TAR ha stabilito che la forma è sostanza. Lo ha fatto in modo netto, fondando la propria decisione sulla necessità di rispetto delle regole e delle procedure. Una lettura ineccepibile dal punto di vista normativo. Ma mentre la giustizia amministrativa segue il suo percorso, a chi queste decisioni deve raccontarle, o viverle, resta un compito altrettanto cruciale: chiedersi se, oggi, l’equilibrio tra forma e sostanza è ancora quello giusto, soprattutto quando tocca le basi del patto democratico. Se quella bilancia sia effettivamente ancora una bilancia.

Stiamo pensando troppo alla forma? Alle firme, ai margini, alle correzioni a penna? E nel frattempo, rischiamo di smarrire ciò che le regole dovrebbero tutelare: la sostanza della democrazia, il diritto di esserci, la possibilità concreta di partecipare.

Non si tratta di mettere in discussione le regole, né di invocare scorciatoie. Ma di chiedersi se, in certi contesti, la rigidità non rischi di trasformarsi in un filtro troppo selettivo, in un ostacolo che penalizza più la fragilità del sistema che la sua integrità. In luoghi come Melito Porto Salvo, come l’Area Grecanica, dove la partecipazione è una fatica quotidiana, dove candidarsi è già un atto di presenza civile, dove il fare politica dal basso è certamente un impegno fuori dalle righe, ogni esclusione pesa. E interroga.

Lo Stato ha sicuramente il dovere di garantire legalità. Ma anche quello di non spegnere ciò che ancora si muove nei territori più fragili. Perché se la norma è la struttura, la partecipazione è il respiro. E un sistema che funziona non può permettersi di perdere l’una per salvare l’altra. Esiste un punto di equilibrio tra rigore e accesso, tra norma e contesto? Il Consiglio di Stato, oggi, non risponderà soltanto a un ricorso. Risponderà, indirettamente, anche a questa domanda.

Quello di oggi è un caso che chiama in causa la cultura democratica del nostro tempo. Una cultura che sembra aver rinunciato alla fiducia, che si affida solo ai protocolli, che teme l’errore più della rinuncia. Ma una democrazia che si chiude per eccesso di scrupolo è una democrazia che rischia di smettere di parlare alle persone. E allora il rischio è che il diritto di candidarsi non venga negato da un’azione arbitraria, ma dalla burocrazia. Che non ha bisogno di urlare per essere definitiva.

Un’ampia fetta di cittadini si è lasciata già andare, sui social, a commenti lapidari: se questa ferita non verrà sanata, in qualche modo, non andrà per niente a votare. Non si recherà, quindi, ad esercitare quel diritto-dovere sancito dalla Costituzione, con il rischio di incorrere addirittura nel non raggiungimento del quorum e quindi dell’invalidazione della tornata elettorale anche per la sola lista rimasta in corsa.

La riflessione che si apre da Melito, dunque, è più ampia. Non riguarda solo una o l’altra lista, non riguarda solo questa o quella compagine. Riguarda un Paese che da anni predica la centralità della partecipazione e poi, quando questa si manifesta, la sottopone a uno stress formale talvolta eccessivo. Riguarda anche il rapporto tra le istituzioni e i cittadini nei territori dove la distanza è più ampia, dove la sfiducia è cronica e ogni tentativo ha il sapore della resistenza civile.

Melito Porto Salvo, oggi, diventa metafora. In un filo rosso lungo e sottile che la lega alla Capitale. Una metafora di una democrazia che deve decidere se vuole ancora essere accessibile o solo impeccabile. Di uno Stato che deve scegliere se applicare le regole come un muro o come un passaggio. Di una comunità che, davanti all’ennesima porta chiusa, si chiede se valga ancora la pena provare a bussare. E forse, nel tempo in cui tutto sembra richiudersi, nel tempo in cui anche partecipare appare un privilegio più che un diritto, vale la pena fermarsi a guardare con attenzione cosa accade in quell’aula di giustizia amministrativa.

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