A TU PER TU | Le verità dell’ex assessore Costantino: «Uscire dalla giunta una scelta mia. Toni troppo esasperati nella contesa politica» – VIDEO
Titolare dei Lavori Pubblici per circa un anno, l’ingegnere prestato alla politica traccia un bilancio del suo operato, illustra la Reggio del futuro, invoca un Patto per la città e ammette: «In questi anni molti hanno raggiunto posizioni che in altri tempi non si sarebbero sognati di poter avvicinare»

«Spesso l’informazione viene, come dire, alterata rispetto al dato della realtà, e il dato dalla realtà è che nessuno mi ha chiesto di mettermi da parte, nessuno mi ha sacrificato, è una scelta personale. Io sono stato individuato come soggetto che poteva essere utile per un periodo nella città, ho cercato di svolgere il ruolo come sempre mi è capitato di fare tutte le volte che ho assunto delle responsabilità pubbliche e però, assumere quel ruolo significa pure gravare di impegni oltre che mentali anche fisici per la propria esistenza, quindi è una scelta mia, nessuno mi ha chiesto di mettermi da parte per nessuna di quelle ragioni che ho letto un pò in giro».
Non usa giri di parole, ma va dritto al sodo, Franco Costantino, l’ingegnere prestato alla politica, suo malgrado al centro delle polemiche nate attorno alla rimodulazione della giunta comunale da parte del sindaco Giuseppe Falcomatà. Un modo per ristabilire una verità che per l’ex assessore è fondamentale, anche in ossequio ad un curriculum che conta moltissimi incarichi in diversi ambiti, escludendo al contempo che quell’incarico ai Lavori pubblici fosse a tempo determinato. «Quando ne abbiamo parlato la prima volta con il sindaco e mi ha conferito l’incarico – ha aggiunto il professionista – la mia intenzione era quella di restare per tutto il periodo per cui lui sarebbe rimasto sindaco; e quindi ho affrontato con il piglio che serviva questa nuova avventura che si è rivelata abbastanza pesante e a un certo punto, visto che in qualche modo mi era sembrato che potesse essere arrivato il momento, e qualcun altro sulla strada che io avevo tracciato potesse continuare, ho chiesto al sindaco – ma io ho chiesto al sindaco – di poter essere messo da parte. Non l’ho posta come condizione sine qua non, però ho chiesto se ci fosse stata la possibilità, che preferivo in questo momento disimpegnarmi rispetto a quel ruolo, non rispetto il ruolo di cittadino in contrasto con l’amministrazione. Assolutamente no. Anzi, se dovesse presentarsi l’occasione di poter collaborare con l’amministrazione in altre forme non avrei alcuna difficoltà a collaborare, purché questo impegno non fosse gravato dalla stessa pesantezza».
Se dovesse descriverla ad un suo amico fraterno, come racconterebbe questa esperienza a palazzo San Giorgio, dove si incontrano il politico e il tecnico?
«Ci sono delle frasi di rito in queste circostanze, del tipo è un onore servire la città…»
Si ma queste frasi in genere si dicono prima…
«In parte è così sinceramente. Non è la prima volta che mi capita inaspettatamente di dover assumere incarichi di rilevanza pubblica, è capitato altre volte che sono stato chiamato a dirigere uffici tecnici di aziende ospedaliere o di aziende territoriali, o di fare l’amministratore delegato della Multiservizi e contemporaneamente il direttore generale di quella società. Mai avrei pensato di svolgere quei ruoli, però tutte le volte che mi è capitato di essere chiamato io ho sentito il dovere di non sottrarmi. È una filosofia di vita la mia: io non chiedo, però laddove vengo interpellato se ci sono le condizioni non mi sottraggo. E però c’è un limite, un limite connaturato al mio modo di essere, e cioè che non sono mai riuscito a stare molti anni all’interno di un ruolo, e tutte le volte è stata una scelta mia personale, dopo un certo tempo, di lasciare un ruolo in armonia, in pace e tranquillità, convinto di aver dato tutto. Poi magari qualcosa in più si poteva anche dare, qualcosa di diverso tipo si poteva fare, ma è un’esperienza che non rinnego assolutamente. Gli altri dicono “ci sei tu e le cose sono migliorate”… io volevo che migliorassero per la verità un poco di più, però soprattutto avevo l’esigenza di rilassarmi un poco, quindi ho chiesto, questa volta io, e sono stato accontentato».
Ingengere ma come è stata la vita di Palazzo, a contatto con la politica, perché si fa sempre questa distinzione tra il tecnico e il politico. Ecco che assessorato ha trovato quando lei è arrivato e che assessorato lascia oggi al suo successore?
«A me per la verità è riuscito difficile distinguere i ruoli, cioè il fatto che io fossi un tecnico prestato alla politica mi metteva in difficoltà perché io prevalentemente sono un tecnico e quindi avevo sempre la tendenza a fare, come dire, il dirigente, il funzionario. Però quando assume quel ruolo, ci sono delle situazioni in cui uno deve assumere delle scelte che non sono solo di natura esclusivamente tecnica, sono anche di natura politica, e insomma un po’ mi ha aiutato l’esperienza, un po’ la benevolenza che ho riscontrato dappertutto, da maggioranza e opposizione, e questa è la cosa che mi gratifica di più. Sono stato benvoluto e ben trattato, e sono veramente grato al sindaco e ai colleghi».
Evidentemente ha raccolto i frutti della sua conclamata disponibilità, che non sempre si riscontra a questi livelli…
«Tutto è andato a gonfie vele? No, non è così. Però bisogna capire perché le cose non vanno all’interno di una città, e questa è una città del tutto particolare. Per intervenire, per modificare la situazione anche dal punto di vista delle opere pubbliche, della qualità delle opere pubbliche, della capacità di rendere soddisfazione ai cittadini che registrano una carenza di servizi che obiettivamente permane, era una cosa abbastanza difficile».
Ci parli di queste difficoltà…
«Ci sono dei dati che molto spesso non vengono presi in considerazione quando si parla della città di Reggio Calabria. Questa è una città che ha un’estensione territoriale che è una volta e mezzo quella di Milano e quindi, se questo è, e con un territorio particolare come quello della città Reggio Calabria, per coprire e dare soddisfazione ai cittadini che sono distribuiti in un arco territoriale così vasto, ci vorrebbero delle provvidenze che non fossero quelle capitali. Faccio un esempio: la città ha 150mila abitanti e gli toccano quelle risorse. No, il problema non è risolvibile da nessuno se non si incide in profondità. Se noi abbiamo un chilometraggio di viabilità sulla quale fare manutenzione ordinaria che è straordinario per lunghezza rispetto agli abitanti che vivono la città è chiaro che è molto difficile che questo si possa fare come si fa in altre città. Milano ha un milione e mezzo di abitanti in un territorio che è tre quarti scarsi di quello di Reggio, quindi parliamo di una fiscalità di un milione e mezzo di abitanti a fronte di quella di 150mila lei capisce che è dura. Non è una scusante ma è una delle ragioni per le quali qualunque amministrazione andrà ad operare a Reggio avrà questa difficoltà, della quale bisognerebbe tenerne conto in altre sedi».
Costantino, spesso sembra che l’Ufficio complicazioni sia di stanza a Palazzo San Giorgio, e in questi giorni si è tornato a parlare dell’incredibile vicenda del ponte sul Calopinace per unire la zona tempietto al parco lineare sud. Lei ci ha messo abbondantemente le mani in questo dossier, ci spiega come stanno le cose?
«Intanto voglio dire che è una situazione rispetto alla quale mi è stata data maggiore visibilità, ma in negativo, non essendo riuscito a posizionare le travi. È chiaro che se devo mettere a bilancio l’attività ponte Calopinace la devo mettere con il saldo negativo. Però se poi ci vado in profondità non è così negativo, perché nel momento in cui mi sono approcciato per affrontare la questione la situazione sembrava disperata. Era difficile incontrare l’appaltatore che era irreperibile, per cui ci ho messo il tempo giusto per recuperare un confronto. Abbiamo risistemato la procedura dal punto di vista contrattuale e quindi mi aspettavo, avendo fatto in tempi relativamente brevi questa attività, che subito dopo si partisse con la realizzazione del ponte. Vero è che mi ero sbilanciato dicendo: l’estate prossima probabilmente passeremo sul ponte e invece poi le attese non sono state soddisfatte e mi sono attrezzato per risolvere il contratto con l’appaltatore facendogli capire che non sarebbe stato indolore. Quindi mi dovevo sdoppiare. Perché un conto è dare l’indirizzo politico un altro è fare gli atti. Quindi in questo caso mi sono sovrapposto, un po’ tecnico un po’ politico. Però questa situazione ha sortito degli effetti, perché questa operazione è stata fatta a inizio settembre il tempo che era stato dato dall’appaltatore per adempiere era stato di dieci giorni. Io pensavo che non si sarebbe presentato e invece inaspettatamente l’appaltatore non solo mi esibì i bonifici corrisposti al fornitore delle travi a cui lui si era rivolto, ma ha assunto altri impegni con un cronoprogramma dei lavori che però è già stato sforato. Alcune cose, come autorizzazioni a trasporto eccezionale le sta facendo in questi giorni… per cui la situazione è talmente sbloccata che non c’è nessuna possibilità per l’appaltatore per non completare il lavoro».
Insomma, potremmo azzardare una data…
«No no (ride) gliela chiederemo a Brunetti, la data la sa lui»
Nella narrazione offerta dall’ex assessore tutti problemi venuti fuori nel tempo non sono stati presentati per quello che erano – «e questa è una cosa che mi da fastidio, perché si è parlato di errore progettuale ma non c’era nessun errore nel progetto», ripete – ricordando che c’è stata una non approfondita indagine.
Con l’ingegnere si è proseguita la chiacchierata sulle opere – infrastrutturali e non – indispensabili per una città come Reggio. Opere su cui lo stesso Costantino di Piano delle opere pubbliche, del fronte a mare con il lungomare di Catona pronto per essere consegnato e i problemi che riguardano invece Gallico, ma poi anche di Lido Comunale e Arena Lido.
Tutte opere di cui necessita la città per fare il salto di qualità, ma per l’ingegnere sarebbe opportuna anche un cambio di passo culturale: «Bisognerebbe ricostruire il rapporto fra le varie componenti della città, anche se ci sono visioni politiche diverse. Mi piacerebbe ci fosse un dialogo sul territorio, ma con toni meno esasperati. Una delle amarezze che ho dovuto vivere, non nei miei confronti devo dire, ma in generale, è l’esasperazione dei toni anche quando le cose non lo meritavano».
Costantino ricorda la vicenda delle indagini sismiche sulle scuole – «andava fatta – dice – non è che nascondere la polvere sotto il tappeto risolve il problema» – che definisce «coraggiosa» a cui occorreva dare un merito e non scagliarsi contro, visti anche i disagi patiti dalle famiglie. Una vicenda che sembra avere delle analogie con l’ultima vicenda riguardante una ventina di edifici pubblici del Comune che vanno messi in sicurezza: «qualche volta quando si affrontano i problemi ci si trova a scontrarsi con il contesto legislativo, la norma, i vincoli imposti dagli enti preposti alla sicurezza, ma un dialogo si trova sempre. L’allarme insomma era esagerato, perché il documento interno disposto dal dirigente serviva a mettere il sale sulla coda a chi deve operare. Se dovessimo mettere a norma contestualmente tutti gli edifici pubblici in città dovremmo chiuderne parecchi. Ma non è un problema solo nostro, ma che riguarda il territorio nazionale, ci sono esempi clamorosi in materia».
Infine una riflessione, da tecnico, che non fa una piega: «Il politico diventa utile per il territorio quando si pone al servizio del territorio, mentre molto spesso, negli ultimi anni, senza fare critiche specifiche, credo che si siano costruite posizioni che riguardano più le persone che non il territorio. Molti, forse, hanno raggiunto posizioni che in altri tempi non si sarebbero sognati di poter avvicinare. E però poi, gli esiti di questi successi personali devono trasformarsi in benefici collettivi. Quando questo accade, il territorio poi lo riconosce».
Ingegnere Costantino secondo lei c’è bisogno di un “patto” per la città?
«Io credo proprio di si, io ci terrei molto che per la prossima consiliatura si ragionasse non in termini di contrapposizione meramente e falsamente ideologica, perché poi sono ambizioni personali che molto spesso si travestono di ideologia. Io dico che l’ambizione personale ha un senso ed è utile se questa viene coniugata con l’esigenza di corrispondere con le esigenze del territorio. Quando queste due cose funzionano… arriva l’applauso».
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