giovedì,Aprile 25 2024

«Non ti disunire». Sorrentino insegna alla Reggina: una sola strada per non morire

L'Editoriale de ilReggino sulla situazione difficile del club dello Stretto

«Non ti disunire». Sorrentino insegna alla Reggina: una sola strada per non morire

«Non ti disunire».

Ciro Capano in “È stata la mano di Dio” diretto da Paolo Sorrentino, 2021

di Matteo Occhiuto – Una delle produzioni cinematografiche italiane più recenti si chiama “È stata la mano di Dio”. Diretto da Paolo Sorrentino, il film – disponibile su Netflix – contiene, nel finale, un dialogo molto intenso tra il protagonista Fabietto (Filippo Scotti) e il personaggio di Antonio Capuano (che sullo schermo ha il volto di Ciro Capano). Una battuta cruciale, potente, tagliente, incisiva e misteriosa: «Non ti disunire». Una battuta che calza sul disastro a cielo aperto che oggi è la Reggina 1914.

Psicodramma

Non useremo toni soffici per descrivere una situazione da psicodramma. L’ambiente è esploso, deflagrato completamente, distruggendo quasi tutto quello che è colorato d’amaranto. Tutti hanno pagato i propri errori, che in due mesi hanno condotto la squadra dalle porte del paradiso al baratro dell’inferno.

Ha pagato, in primis, la società, che ci si creda o meno. Ha pagato in termini di credibilità, di forza, anche a livello economico: la Reggina si è svalutata, il club non vale i soldi che valeva quando Denis e soci erano secondi in classifica. Non parliamo di noccioline, ma di soldi importanti, che potevano addirittura dare un futuro ancor più solido al calcio di Reggio Calabria. Perché, signori, di questo si parla: del futuro del calcio di Reggio Calabria. Ci torneremo.

Ha pagato, in secondo luogo, la doppia guida tecnica. Ha pagato Alfredo Aglietti prima, Mimmo Toscano poi. Ha pagato ogni componente della rosa: da Galabinov a Ricci, da Cionek a Crisetig, da Cortinovis a Turati. Non si salva quasi nessuno – forse solo Bellomo e Di Chiara – nel disastro involutivo che sta attanagliando un gruppo di giocatori che, forse, oggi ha paura di se stesso. Di quel che ha fatto nelle prime dieci giornate e che oggi non riesce a far più. Un gruppo che, oggi, viene mal visto dalla città ma che è ancora in grado di farsi perdonare.

Ha pagato e sta pagando la tifoseria. Quella che la segue sempre, quella che non molla mai, quella che si incazza perchè per la Reggina vive e per la Reggina sposta le proprie frequenze umorali in base al risultato della domenica.

«Non ci disuniamo»

Ora, però, basta. Tutti hanno commesso errori, come detto. Proprietà, società, allenatori, giocatori. La stagione, però, è nel pieno dello svolgimento e al disastro totale si può ancora chiaramente porre rimedio. Si può evitare che tutto finisca nel modo più tragico possibile, si può evitare di uccidere, per la seconda volta in sette anni, il calcio in riva allo Stretto.

Lo diciamo chiaramente: retrocedere significa morire. È il momento di guardarsi, tutti, negli occhi. Di mettersi una mano sul cuore e di non distruggere uno dei giocattoli più belli di una città che non sta bene e che vive per questi colori. È il momento del sostegno, il momento di dare tutti qualcosa in più, quello in cui ci si chiude tutti in una stanza e si decide di uscire fuori. Non parliamo solo della dirigenza o del gruppo che passerà alle dipendenze di Roberto Stellone: tocca anche alla città la sua parte. Il 12 febbraio al Granillo arriva il Crotone: servono 10mila spettatori. Lo diciamo da ora, con quasi venti giorni di anticipo. Servono più spettatori che col Parma, più di quelli accorsi quando ci si giocava il secondo posto. Alla ripresa, dopo la sosta, ci si giocherà la vita, perchè la Serie B e la sua tutela questo sono: vitali. Non per Luca Gallo, non per Vincenzo Iiriti, non per Massimo Taibi, non per Roberto Stellone, non per nessuno dei calciatori. Loro potrebbero andar via anche domani, la Reggina no. La Reggina è Reggio Calabria, la Reggina sono i reggini. Alcuni lavorano con e per lei, altri ne vivono le vicende da tifosi, altri la utilizzano come identificazione. La Reggina siamo noi, uniti oggi più che mai.

Ragion per cui, non ti disunire, Reggina. Perché se ti disunisci, muori.

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