Un sistema fermo che non riforma: la Serie C riparte tra squilibri, silenzi e ingiustizie
La COVISOC conferma l’immobilismo di un calcio che non cambia. Penalizzata la Reggina e sacrificato il merito. Serve resistere per rinascere

Le decisioni della COVISOC certificano una Serie C bloccata, conservatrice, già segnata da squilibri e criticità. Un sistema che rinuncia alla riforma e ignora il valore del merito. La Reggina, fuori dai professionisti, è il simbolo di un calcio che non vuole cambiare. Ma ripartirà, con dignità, dal basso.
Il verdetto della giornata di ieri non ha sorpreso. Come già anticipato, il sistema ha deciso, ancora una volta, di non cambiare. La Serie C 2025/26 nasce come un campionato già fragile, tra penalizzazioni annunciate, problemi economici diffusi e una composizione che riflette uno scenario povero di progettualità e visione.
La Reggina, in tutto questo, resta ai margini. Ma la riflessione va oltre il singolo caso amaranto: a mancare è una vera volontà riformatrice. La COVISOC non ha aperto nessuna breccia, non ha dato segnali di apertura. Ha semplicemente certificato l’ennesima edizione di una terza serie che somiglia sempre più a un contenitore precario, dove le regole valgono a geometria variabile e la meritocrazia è spesso subordinata agli incastri burocratici e alle logiche federali.
L’elenco delle squadre ammesse in Serie C parla chiaro. È un campionato che vede protagoniste società piccole, molte delle quali di periferia, senza storia, senza pubblico, spesso senza strutture. Nomi che, pur nel pieno rispetto sportivo, hanno poco o nulla a che vedere con il blasone, la storia e l’identità della Reggina.
Eppure, questa è la realtà. Una realtà dura, inaccettabile sul piano del cuore, ma inevitabile sul piano della giustizia formale. Il sistema non ha voluto cambiare. E allora a Reggio Calabria serve prendere atto: non si può più aspettare che il cambiamento arrivi dall’alto. Bisogna ripartire dal basso, con umiltà e con dignità, dalla Serie D, con la forza degli uomini giusti e di una piazza che non ha mai smesso di credere nella propria squadra.
Quello che emerge chiaramente è che il sistema calcio in Italia è in particolare quello della Serie C, è profondamente conservatore. Si protegge, si autoalimenta, si perpetua. Non si interroga sulle falle strutturali, non coglie le occasioni per rinnovarsi. La Serie C è la categoria che più di tutte avrebbe bisogno di una riforma organica, di una revisione delle regole, di una visione nuova. Invece resta ferma, bloccata, impermeabile alla realtà. E chi, come la Reggina, cerca di rientrare con dignità e storia alle spalle, trova porte chiuse e muri alzati.
In questo contesto, la Reggina deve fare ciò che ha sempre saputo fare nei momenti difficili: resistere. È tempo di resilienza, non di lamenti. È il momento della fatica, non della protesta sterile. La Reggina ha una storia, un’identità, un popolo. Ha uomini pronti a lottare, dentro e fuori dal campo e ha la forza per tornare ad alzare la testa, passo dopo passo, categoria dopo categoria. Il cambiamento non arriverà dal sistema, ma potrà arrivare da chi non si arrende, da chi sa trasformare l’ingiustizia in energia.
Il sistema ha scelto l’immobilismo. La Serie C resta una categoria fragile, scollegata dalla realtà e cieca di fronte alle sue contraddizioni. Ma Reggio Calabria non arretra. La Reggina non è una squadra come le altre: è un simbolo, un pezzo di identità collettiva, una storia che non può essere cancellata da un algoritmo o da un verbale federale. Ripartire, ricostruire, risalire. Questo è il compito. E anche se il sistema ha chiuso le porte, la Reggina troverà la sua strada. Con orgoglio. Con la sua gente. Con il sudore del “calcio che lavora”.