DE GUSTIBUS | Capra aspromontana, il gusto della tradizione
La "carne caprina" rappresenta un piatto tipico della civiltà contadina e la sua produzione è una delle attività di punta del settore agro-pastorale in Calabria
di Elda Musmeci – Cipolla, alloro, rosmarino e sedano si fondono fra loro per coccolare la carne che cuoce lentamente in un tegame. Profumi che inebriano ed evocano le domeniche mattine nelle case di tantissime nonne. Emozioni e ricordi che hanno accompagnato la vita di tanti. La carne sul fuoco è quella di capra. Una carne che per tantissimo tempo in Calabria, ed in particolare nel reggino, è stata considerata sì semplice, sì povera, ma solo per le grandi occasioni.
Simbolo di fatica e adattamento
Sin dall’antichità, il territorio prevalentemente montuoso della Calabria, ha reso i pastori con i loro greggi figure fondamentali nella vita quotidiana. La capra, ha un forte valore simbolico. Rappresenta la fatica, lo spirito di adattamento. L’animale per eccellenza capace di vivere e generarsi su terreni impervi. Ma soprattutto in grado di permettere all’uomo di sopravvivere. Da qui il paragone con la fertilità e la vita.
Nella mitologia greca è la capra Amaltea a nutrire Zeus nascosto dal madre a Creta per sfuggire al padre Crono che divorava i propri figli. Zeus con una delle sue corna creò la cornucopia, il corno dell’abbondanza. Alla sua morte la immortalò per sempre tra le stelle della costellazione del Capricorno. I poeti greci ottenevano un capro in onore dei loro versi migliori. Secoli di storia vedono nella capra il fondamento della vita, la benevolenza e la pace.
La “carne caprina” rappresenta un piatto tipico della civiltà contadina e la sua produzione è una delle attività di punta del settore agro-pastorale in Calabria.
La condizione del territorio aspro montano, quindi del territorio della provincia di Reggio Calabria, era caratterizzata da una fauna in cui spiccava la presenza della cosiddetta capra aspromontana. La capra, infatti, era presente in maniera massiccia nelle comunità agricole che vivevano all’interno del territorio provinciale reggino ed era addirittura predominante nei territori montani la cui orografia “aspra” (da cui il termine Aspromonte) consentiva solo agli animali piccoli, agili e robusti di potere sopravvivere in quella particolare conformazione geografica.
Sulle tavole contadine la cosiddetta “carne minuta” compariva solo nelle occasioni particolari. La carne di capra, più selvatica e meno grassa della pecora, era comunque la carne per antonomasia della cucina arcaica.
Escluso il capretto, che necessita di una lavorazione a se stante, per la sua diffusione sulle tavole non contadine e per il suo indissolubile legame con i riti pasquali, viene cucinata prevalentemente in umido, con piccole variazioni degli ingredienti usati, che generalmente risultano essere: cipolla, pomodori, olio di oliva e aromi vari.
La cottura ideale, la cui origine risale al periodo magno greco (dal VII secolo a. C. in poi), è quella che prevede il tegame di terracotta ed il fuoco a legna. Tuttavia anche la cottura nelle pentole moderne garantisce risultati eccellenti.
Esistono, comunque, altre preparazioni, come ad esempio la capra al ragù o arrostita sulla brace.
Antichi rituali, quasi tribali, vedono questo animale cucinato in un modo molto particolare, ovvero sotterrata. Per la complessità del piatto, richiede condizioni peculiari che pochi possono disporre.
Innanzi tutto va fatta una fossa abbastanza profonda dove successivamente disporre la carne. Il suo fondo, per isolarlo dalla terra, va “foderato” con uno strato di sabbia e felci.
Tradizione
Il suo consumo nella tradizione calabrese è associato alle festività, periodo in cui la preparazione di stufati e arrosti di capretto si compie come un rituale. I capretti vengono normalmente macellati non appena raggiungono i 45-50 giorni di vita e un peso medio di 10-15 Kg, per cui si tratta di capretti non ancora svezzati. La carne si contraddistingue per la sua particolare tenerezza e profuma di latte. Al gusto, è saporita e pastosa. Tra le ricette più rinomate da provare assolutamente i “maccheroni al ragù”, semplicemente sublimi.
Dalla storia all’innovazione
Il celebre cuoco romano, Columella, decantava il sapore delle carni dei caprini aspromontani, consigliando quelle delle “gastrole”, così chiamate una volta diventate adulte, ma che non hanno ancora prolificato”. Sua la ricetta del tutto simile a quella detta oggi alla vutana, cioè alla bovese, in cui la carne di capra, dopo essere ben marinata, è bollita semplicemente con alloro, cipolle e sedano.
Magrissima e molto ricca di proteine, quella di capra è una carne rossa che si presta a tantissime preparazioni gastronomiche. Da ricercare per il suo basso contenuto di grassi, con notevoli qualità nutrizionali per il consumatore, è da sempre considerata una prelibatezza risultando molto tenera e di un sapore selvatico delicato, con caratteristiche che ricordano la selvaggina e ne permettono anche cotture lunghe a bassa temperatura. Le caratteristiche variano ovviamente dalle qualità della razza, dal tipo di alimentazione, dall’ambiente e dal tipo di allevamento, oltre all’età stessa dell’animale. Tantissimi chef si stanno accostando sempre più all’uso di questa carne. L’obiettivo è migliorare il rapporto con il cibo della tradizione, rimarcare il valore nutrizionale e sottolineare il potenziale economico della zootecnia e delle produzioni tipiche locali stimolando un’offerta sempre più qualificata di cibi che sono parte integrante del “mangiar mediterraneo”. Negli ultimi anni, questa carne è stata riportata in auge.
La cucina in Calabria diventa una sorta di linguaggio sensoriale, olfattivo, ma anche epocale raccontando la contemporaneità di un territorio che si svela senza confini.
- Tags
- reggio calabria