Di mercati, street food e necessità: Reggio ancora in cerca di una identità
È il momento di ripensare e rilanciare il nostro streetfood e magari l’impianto e l’idea dei nostri mercati
Quanto successo questa mattina nei pressi di Piazza del Popolo non può essere un fatto che rientra nella fredda cronaca di giornata. Il grido d’aiuto lanciato dall’operatore mercatale che ha minacciato di darsi fuoco bloccando la strada col suo mezzo di lavoro, un camioncino, deve offrire ai decisori politici uno spunto di riflessione, perché qui non c’entra nulla la Soprintendenza o il demanio, qui c’entrano le idee che verranno messe in campo per riqualificare una piazza immensa con una storia precisa e un utilizzo a dir poco discutibile fino a qualche tempo fa.
Se la piazza torna alla città, come ha detto il sindaco, chiarendo anche i motivi che hanno spinto l’amministrazione ad assumere questa decisione, allora la città andrebbe quantomeno ascoltata e coinvolta.
Il primo cittadino evidentemente una prima idea l’ha messa in campo. Condivisibile o no, credo che non bisognerebbe reagire puntando l’indice e bocciando senza appello l’uscita social di Falcomatà. Intanto perché è sottilissimo il confine tra le ragioni e i “diritti” accampati degli operatori mercatali – che a detta di Palazzo San Giorgio non pagano – e quelle della comunità a cui si vuole restituire la piazza. E poi perché si potrebbe chiedere conto, e non a cose fatte, di quello che si sta pensando, offrendo alternative oltre che critiche al limite dell’accettabile, se si parla di legalità. D’altra parte, nonostante le posizioni di Comitati e memorie storiche cittadine, nel breve volgere di qualche giorno e con un paio di eventi azzeccati, la contestatissima (ma da quanti?) piazza De Nava è già diventata iconica.
Ma questi sono argomenti di una certa importanza, che andrebbero discussi direttamente con il sindaco e con chi lo contrasta.
Oggi invece il tema “mercati” ci offre un altro spunto, di certo più leggero rispetto al dibattito in atto e ai fatti di cronaca. Che in qualche maniera si lega anche al tema dei mercati. Che mancano in città, visto che più passa il tempo e più si contano chiusure o non riaperture, se non anche abbandoni. È il caso del mercato coperto di via Filippini e dell’idea Girasole.
Eppure i trend turistici, la riscoperta delle radici e del turismo delle radici suggerirebbero un approccio glocal. Il punto però è che forse noi una identità culinaria nostra non ce l’abbiamo. E se ce l’abbiamo ancora non siamo riusciti a spingerla per come succede altrove. E il perché rimane il mistero dei misteri. Mi riferisco al bergamotto di Reggio Calabria, esaltato magnificamente dai nostri pasticceri e da qualche nostro chef, in qualche bibita e in alcuni manufatti di antica fattura. Ma poi?
È forse la mancanza di mercati con la “M” maiuscola a non favorire questa diffusione? Ammetto di non saper rispondere a diverse di queste domande, ma quando ho avuto la fortuna di viaggiare e spostarmi in piccole come in grandi città una delle tappe fisse del mio girovagare sono stati i mercati, alimentari, artigianali, finanche dell’usato. E non importa se porti qualcosa a casa. Sono tappe ormai fondamentali anche per apprezzare le tradizioni locali.
A Napoli, ad esempio, la pizza te la calano nel classico “panaro” dal balcone. Una trovata che già, solo per questo, attira l’attenzione di turisti e non. E la pizza tu continui a mangiarla insieme a mille altre diavolerie. A Palermo invece capita di camminare tra due ali di meraviglie ittiche e preparazioni culinarie, ma alla fine il panino con la “meusa” quantomeno lo assaggi, altrimenti vai di gusto con le arancine (a Catania, invece lo devi chiamare arancino). A Bari ti scotti con il panzerotto e vai alla ricerca delle orecchiette, o fai un break con la tipica focaccia e porti a casa i taralli. Cibo da strada che in queste città trovi ovunque, ma nei mercati raggiungi il massimo della tradizione e dell’artigianato.
A Reggio su quale street food possiamo puntare?
Se si fa una ricerca su google, ad esempio ecco quello che sinteticamente esce tra i risultati: “A Reggio Calabria, è possibile gustare le frittole, un piatto a base di scarti del maiale, i maccheroni al sugo di maiale o capretto e, come dolce, i cuddhuraci, tipici del periodo pasquale”. Manca il panino per eccellenza a queste latitudini, ma la frittola per quanto buona non è quotidiana, al pari del “paninu cu satizzu” che siamo riusciti a inflazionare visto che dalla gioielleria al tabacchino negli anni un po’ tutti hanno provato a lucrarci confezionandolo a bordo strada. Oggettivamente troppo poco. Oltretutto non si riportano neanche le declinazioni del bergamotto di Reggio Calabria. Ma forse la ragione risiede nel fatto che Reggio città di mare non è né carne e né pesce… D’altra parte basta voltarsi e guardare a Scilla che sul panino col pesce spada ci ha costruito la sua movida, o nella locride gli ormai famosi spaghetti alla Corte d’Assise che nascono da un aneddoto curioso.
Insomma, in un momento storico in cui – in coincidenza del riuscitissimo capodanno – non si è parlato altro che di “identità” e tradizione, sembra arrivato il momento per Reggio di accelerare anche su questo aspetto, perché il turismo enogastronomico in Italia è un settore da circa 40 miliardi che unisce cibo, vino e tradizione, e Reggio non ne prende neanche una piccola fettina.
Lasciamoci con un dubbio… e se il nostro eno-gastro-turismo non decollasse proprio perché manca ormai una cultura del mercato, e dei mercati, per mettere in mostra e invitare al consumo dei prodotti locali? Non resta che pensarci su, ma oggi, non domani.
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