venerdì,Febbraio 14 2025

Tornare a casa è sempre una vittoria, Sofia e Davide due storie che raccontano il bello del mestiere del giornalista

Rendere visibili gli invisibili, dare voce a chi voce non ha, rendere protagonisti chi ha vissuto ai margini della società. È con questo spirito che, nonostante le mille difficoltà, diventa immenso e utile l’impegno nel restituire un racconto che spesso finisce per sostituirsi alle istituzioni, a chi potrebbe intervenire ma non lo fa

Tornare a casa è sempre una vittoria, Sofia e Davide due storie che raccontano il bello del mestiere del giornalista

Se ha un senso la vita passata ad ascoltare, verificare e raccontare, è quello di riuscire a riaccendere la luce dove da troppo tempo era solo buio pesto. Ecco, è così che ogni giorno chi ha scelto di fare il giornalista, e lo fa davvero con quel fuoco che si accende dentro di fronte alle ingiustizie e con la voglia di raccontare per dare spazio alla verità in piena libertà, si trova a vivere, dieci, cento, mille vite in una. Ed è così che ieri ci siamo ritrovati a gioire con le lacrime agli occhi prima per il ritrovamento di Sofia facendo il tifo per i poliziotti che hanno lavorato per riportarla tra le braccia della mamma, e poi per la scarcerazione di Davide tornato a casa sulle sue gambe dopo aver fatto temere il peggio con 6 tentativi di suicidio.

E in qualche modo aver partecipato, seppur in minima parte, a regalare una seconda chance a questo ragazzo ci ha fatto tornare a sperare nel futuro di questo mestiere che ogni tanto diventa davvero difficile da gestire. Esiste chi vorrebbe metterci il bavaglio, chi questa benedetta libertà di stampa la vive male perché è nell’ombra che gestisce il malaffare. E poi esiste chi, invece, ha bisogno di ottenere attenzione, di uscire dal buio, che qualcuno ascolti quel grido soffocato di dolore e quella richiesta d’aiuto per troppo tempo ignorata. Ed è qui che il giornalista non è più quel rompiscatole che fa troppe domande e che ficca il naso dove non dovrebbe.

In queste situazioni il giornalista, quello vero lo sottolineo, diventa orecchio che ascolta, braccia che accolgono, parole che aiutano e, anche se non sempre, speranza e salvezza. Ed è in queste occasioni che il nostro lavoro diventa qualcosa di immensamente meraviglioso. E volendo fare filosofia spicciola potremmo dire che il senso è donare agli altri una possibilità, in alcuni casi anche solo quella di essere visti. Rendere visibili gli invisibili, dare voce a chi voce non ha, rendere protagonisti chi ha vissuto ai margini della società. È con questo spirito che, nonostante le mille difficoltà, diventa immenso e utile l’impegno nel restituire un racconto che spesso finisce per sostituirsi alle istituzioni, a chi potrebbe intervenire ma non lo fa.

E oggi siamo tutti un po’ più orgogliosi di avere scelto questa strada così complessa. Siamo felici di essere quel punto di riferimento sano che senza alcun tornaconto sposa battaglie credendo nella giustizia e avendo la certezza che il bene alla fine deve avere la meglio. Si spegne il sorriso e l’amarezza prende il sopravvento a raccontare di omicidi, tragedie, distruzione, ingiustizie e morte. Ma giornate come queste servono a ritrovare il sorriso e comprendere che in fondo il giornalista è solo un mestiere, l’ennesima maschera che nasconde tutte le fragilità di un’umanità che chiede solo di poter sperare che il bene alla fine ce la fa. E delle centinaia di vite con le quali sono entrata in contatto in questi anni mi porto sorrisi, lacrime, speranza, dolore, sconfitte e tenerezza.

Mi porto la voglia di continuare a raccontare perché ogni vita vale e ogni vita merita di essere vista e ascoltata. E noi che questa strada l’abbiamo scelta continueremo con la consapevolezza di essere nella strada giusta quella che ieri ha fatto il tifo per Sofia e atteso il rientro di Davide pur non avendoli mai realmente conosciuti.

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