Quando il “silenzio” non è d’oro ma complice: a Seminara bisogna urlare da che parte stare
Le marce silenziose lascino il passo a chi ha qualcosa da dire contro la violenza, e la brutalità del branco

Ho letto “silenzio” e mi sono tornati i brividi. Sarà deformazione professionale, sarà che io in silenzio non ci so stare, sarà che per me silenzio fa rima con omertà e che nel silenzio matura la paura. Sarà tutto questo ma io il presidio silenzioso di Seminara lo vedo come una pezza peggiore del buco.
Che la comunità di Seminara non sia tutta schierata a favore del branco è chiaro, ma avremo modo di appurare se lo dimostra nei fatti e non solo nelle parole, ma lo spaccato che sta emergendo, restituendo un’immagine pessima a livello nazionale, non lo si rimargina di certo continuando a mantenere il silenzio.
Di fronte alla brutalità emersa, a un branco che ha violentato e abusato per anni di due minorenni non bisognava stare in silenzio fin dall’inizio, figuriamoci ora che il bubbone è scoppiato. Bisogna fare rumore, bisogna condannare, bisogna urlare che qui la vittima è la ragazza e non di certo il branco giustificato dal paese con frasi becere: «Erano ragazzini però erano in compagnia e ne approfittavano tutti». Quindi, giustifichiamo la violenza anche più brutale e lasciamo passare il messaggio ad altri ragazzini che potranno emulare questo schifo. Per salvare l’onorabilità del paese adesso si pensa al dolore della famiglia e della ragazza ma lo si fa in silenzio.
Mi domando perché, invece, il sindaco che ha annunciato tutte le azioni compiute a favore della famiglia e contro il branco, non abbia deciso invece di fare rumore per mettere a tacere quanti difendono l’indifendibile mettendo alla gogna una madre «ninfomane» e la famiglia rea di fare uscire la figlia di notte. «Potevano risolvere subito se la tenevano chiusa in casa». E certo, facciamo silenzio di fronte a quest’ennesima realtà che si consolida. La narrazione di un mondo al contrario dove una bambina di 14 anni, perché di bambine stiamo parlando, deve pagare a vita la colpa di essere cresciuta troppo in fretta e di avere un corpo da donna. «Era lei che cercava i ragazzi era consapevole… È stata piazzata con una minigonna eccitante».
Per carità, non si dica che il paese è tutto questo. Sono curiosa di comprendere in quanti prenderanno parte a questo presidio silenzioso. Di capire se il parroco, rimasto vago durante l’incontro con le Iene, scendendo da pulpito che non poteva essere usato per queste cause (Mah) parlerà dell’amore di Cristo che condanna ogni forma di violenza e prevaricazione.
Il sindaco ha dei fratelli indagati, uno minorenne e l’altro condannato a 5 anni in primo grado. Ci tiene a precisare che i fatti che li riguardano coinvolgono un’altra ragazza. E si, perché questa tragedia non ha una fine. Ci sarebbero altre vittime. Un’altra sicuramente. «Era vergine l’avete distrutta». Le intercettazioni hanno qualcosa di inquietante oltre che stomachevole se si pensa che pensieri cosi orribili vengono fuori da dei ragazzini poco più che adolescenti. Un’altra vittima che, però, non è stata appoggiata dalla famiglia nella denuncia. Anzi, è stata minacciata per tacere, fatta passare per pazza e, addirittura istigata al suicidio proprio da quei genitori evidentemente terrorizzati da quel branco che troppo era legato alle ‘ndrine locali.
Di fronte a tutto questo io mi domando se il silenzio invocato dal sindaco sia la soluzione migliore. Lungi da me voler fare un processo mediatico. La giustizia verrà fatta dentro le aule di tribunale. Ma io a stare zitta non ci sto perché questa è l’ennesima atrocità che sono costretta a raccontare. Prima ancora del branco di Melito a queste latitudini, precisamente a Taurianova la stessa tragedia colpì, con la stessa identica dinamica, Anna Maria Scarfò. Era il 1999 e per 4 anni subì l’inferno prima di trovare la forza di denunciare e finire sotto scorta pur di sopravvivere ai suoi aguzzini. E anche in quel caso il parroco ebbe un ruolo cruciale. «Don Antonio è quello che ha firmato la mia condanna. Lui ha saputo per primo quello che mi è successo il 4 aprile del 1999. Il suo silenzio – afferma Scarfò – ha fatto continuare quelle violenze fino al 2002. Per lui non ho parole. Mi avrebbe dovuto tutelare, mi avrebbe dovuto portare dai carabinieri».
L’uomo di cui Anna Maria parla è don Antonio Scordo, l’ex parroco di San Martino di Taurianova, che la Cassazione ha condannato nel dicembre del 2016, in via definitiva, ad un anno di carcere (pena sospesa e non menzione nel casellario ndr) in quanto colpevole del reato di falsa testimonianza. Chiamato a deporre nel processo contro i giovani, don Antonio dichiarerà il falso.
Adesso, mi domando e vi domando: quante altre giovani dovranno subire tutto questo in silenzio? Vogliamo davvero restare in silenzio e poi indignarci se nell’arco di 24 ore vengono consumati due femminicidi? Vogliamo ancora giustificare la violenza? Chi resterà in silenzio anche questa volta, per quanto mi riguarda sarà complice perché è nel silenzio che prolifera il male ed è nel silenzio che il male si insedia e trova spazio per distruggere piccole vittime che non avranno mai più una vita che dei mostri hanno deciso di violare o strappare. Il silenzio è il padrone dell’omertà e se non iniziamo a far pace con questa realtà siamo sicuramente sulla strada sbagliata.