Oncologia, un reparto al collasso. Il primario: «Situazione critica»
Il professor Correale non usa mezzi termini: «Sta diventando un hospice». Fra barelle, pochi posti letto, corridoi austeri per i malati e 15mila ingressi all'anno, il reparto, anche a causa dei pochi medici, è in grande affanno
«Il reparto di Oncologia del Grande ospedale metropolitano di Reggio Calabria somiglia sempre di più ad un hospice. È una situazione ormai insostenibile». Non usa mezzi termini il primario di Oncologia, Pierpaolo Correale, che ci racconta una realtà che non dovrebbe esistere almeno in un luogo così delicato.
Le barelle in corridoio
Sono oltre 15mila i pazienti oncologici che ogni anno vengono presi in carico al Grande ospedale metropolitano. Numeri equiparabili ai più grossi centri italiani, eppure, le condizioni del reparto continuano a peggiorare rovinosamente a discapito di pazienti che, oltre a lottare per sconfiggere il male peggiore, sono costretti a vivere disagi ingiustificatamente. «Quando sono arrivato nel 2017 – spiega – non sapevo cosa aspettarmi. Posso dire che al mio arrivo ho trovato un enorme patrimonio di medici ma erano rimasti a lavorare in condizioni tremende. Al mio arrivo, però, ho trovato sette barelle in corridoio. Per me questa era una situazione impensabile da dove venivo. Mancava il filtro organizzativo e abbiamo lavorato tanto con la direzione aziendale che c’era all’epoca cercando di migliorare le cose».
Un reparto mai aperto
Una situazione inconcepibile per Correale che, invece, si aspettava di iniziare questa avventura a Reggio Calabria nel nuovo reparto del Morelli. Un sogno che per Correale è svanito una volta messo piede al Riuniti.«Ho avuto poche settimane per trasferirmi perché si aspettava il nuovo reparto al Morelli. Il avrei trovato stanze da due e un sistema di qualificazione e di dignità per noi operatori. Sono passati quasi tre anni e noi ancora siamo qui a combattere con criticità che si sono anche aggravate».
I numeri di Oncologia
I numeri snocciolati dal primario, fiero di essere un reggino di adozione e di poter combattere per questa terra, sono quantomeno demoralizzanti ma, soprattutto, mortificanti per chi deve combattere la battaglia più dura in assoluto. «Mi ritrovo in reparto dove tutti fanno del loro meglio ma non basta perché ci sono solo 18 posti letto con due bagni in corridoio e solamente 3 medici dedicati al reparto degenza, altri 4 in day hospital – spiega il dottor Correale – Il tutto in un ospedale dove gestiamo qualcosa come 15mila ingressi l’anno». Dati che consentono di confermare la possibilità e il potenziale per portare avanti un centro di ricerca e continuare, ad esempio, la sperimentazione del vaccino al colon retto che lo stesso Correale ha portato in Calabria. Ma questo potenziale si scontra con una situazione territoriale imbarazzante.
«Non è un hospice»
«Siamo quasi ai livelli dei più grandi centri italiani, noi saremmo autonomi se volessimo fare un centro ricerca ma adesso la situazione adesso è diventata insostenibile perché avendo chiuso i centri in quasi tutto il territorio noi dobbiamo far fronte e farci carico anche del percorso finale della vita dei pazienti quello della terminalità. Parliamo dell’assistenza domiciliare, dell’hospice. Proprio a tal proposito per noi la chiusura dell’hospice è stata un momento critico. L’oncologia si sta trasformando in un reparto di lunga degenza. E abbiamo grosse difficoltà a gestirlo in queste condizioni. Sia chiaro, non perché manca la voglia di farlo ma perché non è la nostra mission e non siamo costruiti per dare quel tipo di risposte». Così inizia anche la battaglia sociale per tentare di dare risposte alle famiglie, ma la mole di lavoro, senza alcun tipo di gestione o organizzazione in attesa che prendano servizio i nuovi direttori sanitari nominati dal commissario Cotticelli, non consente di poter far fronte anche a queste esigenze.
Le esigenze dei pazienti terminali
«Il paziente terminale ha bisogno di avere vicino la famiglia, ha bisogno di avere un minimo di dignità e vivere da solo quel dolore, non essere costretto a dividere la stanza con altre tre persone agonizzanti perché poi tra quelle tre persone, magari, c’è qualcuno che sta bene. In questo clima aumentano i contrasti e le liti con le famiglie perché vogliono entrare in reparto e noi non possiamo autorizzarli. Non capiscono perché li teniamo fuori, si sentono trascurati e diventa difficile gestire tutto. Per noi questo carico è troppo gravoso considerando anche tutto l’iter burocratico che abbiamo l’obbligo di tenere sotto controllo per far si che il nostro lavoro rispecchi anche finanziariamente quello che abbiamo fatto. Molti dei miei medici devono stare fino alle 20 per fare tutti gli RG per la pianificazione aziendale del giorno successivo, per fare l’Aifa da dove arrivano i farmaci innovativi e tutto questo ormai inizia a pesare oltremodo».
Cronica carenza di personale
La carenza, ormai cronica, di personale sta letteralmente mandando al collasso l’intero sistema sanitario e, in un reparto come quello oncologico, pensare di poter dare un’assistenza adeguata con numeri così risicati è davvero impensabile. «Pensate che ad aprile era stato fatto un concorso e noi ancora oggi siamo in attesa di quel posto. La graduatoria è andata avanti e i medici sono stati assunti dalla stessa graduatoria al Pugliese», spiega incredulo il primario.
Dramma day hospital
«Per non parlare del day hospital. Noi che abbiamo dai 30 ai 50 accessi al giorno, nonostante i pazienti siano stati suddivisi in tre fasce orarie con un’accurata coordinazione con la farmacia, questi pazienti sono costretti ad aspettare fuori. Parliamo di gente malata di tumore. Noi non abbiamo una sala d’attesa adeguata. Immaginate una persona che ha dovuto subire diverse cure, trattamenti e punture costretta a stare seduta in un corridoio in una sediolina di legno. Io non dovrei fare queste denunce nella maniera più assoluta perché sono un dirigente ma noi facciamo tanto per queste persone, gli portiamo le migliori cure disponibili in italia. I pazienti dal punto di vista medico hanno la sicurezza di una presa in carico perfetta però poi ci perdiamo nelle parti estetiche dove noi non abbiamo alcun potere esecutivo». Nessuno di fronte a questo scenario può rimanere indifferente, nessuno è immune e non bisogna aspettare di dover toccare con mano il dolore per comprendere l’estrema urgenza di intervenire per ridare dignità, prima di tutto ai pazienti e poi ai medici che, con professionalità e competenza continuano la loro missione.
Nonostante tutto, anche con l’immenso carico di lavoro, Correale e la sua equipe continua a portare avanti la ricerca per dare una reale speranza a chi vive il dramma ma non si arrende. Solo con la ricerca si può sconfiggere il cancro e bisogna credere e investire nelle menti brillanti che possono davvero cambiare qualcosa non lasciarle sole in trincea.