giovedì,Marzo 28 2024

Coronavirus, Claudia: «Ho sentito la vita scivolarmi dalle dita per via di un mostro invisibile»

L'esperienza di una giovane reggina che si è trasferita al nord per lavorare, ma ha dovuto fare i conti con il temibile virus

Coronavirus, Claudia: «Ho sentito la vita scivolarmi dalle dita per via di un mostro invisibile»

Riceviamo e pubblichiamo:

Il 16 ottobre 2020 arriva la chiamata di lavoro che tanto aspettavo, ho appena il tempo di organizzarmi e partire, allora raccolgo in tutta fretta tutto quello che serve e lascio la mia terra, i miei affetti più cari, il mio quotidiano, perché il 19 devo prendere servizio. Andrò ad insegnare materie letterarie, la mia passione, nelle scuole medie di Cogliate, nella periferia brianzola, con grande entusiasmo e qualche paura, perché il Covid è tornato alla carica dappertutto, è in questa seconda ondata la situazione degenera pericolosamente, e tutti ti scoraggiano: “di questi tempi è meglio non rischiare”.

Ma il lavoro nobilita la persona e dunque non si può e non si deve mai rinunciare, e tutti i sacrifici di studio fatti devono pur portare frutto, poi anche in virtù della mia grande fede credo che ogni chiamata vada accolta. Decido di partire in macchina, mi dico almeno evito i viaggi sui mezzi pubblici e quindi sono meno esposta ai contagi del Covid, starò sempre attenta, userò tutte le precauzioni possibili, non mi farò trovare impreparata. Quindi tra paure, incertezze e nostalgie, lascio i miei cari, la mia vita, il mio mondo e parto.

Raggiungo presto la mia destinazione, una cittadina ordinata e tranquilla e subito inizio la ricerca spasmodica di una casa, ma non è facile trovarla e allora devo arrangiarmi tra un B&B e l’altro, poi fortunatamente vado ospite provvisoria da una collega e finalmente a gennaio trovo il mio bilocale, conquisto così la mia indipendenza e posso organizzare la mia quotidianità in questa nuova realtà. Felice di insegnare, di vivere una meravigliosa esperienza, di compiere una missione, ho un incarico annuale, al 31 Agosto, e per sei mesi in Brianza riesco a destreggiarmi bene e ad evitare il contagio. Un mese infinito…

Primi segnali di malessere a fine febbraio. Arriva il primo marzo e inizio a stare davvero male, ad avvertire uno dietro l’altro tutti i sintomi del Covid e sempre più forti: bruciore agli occhi, stanchezza infinita, raffreddore, catarro, abbassamento della voce, tosse, niente sapori, né odori, dissenteria, 12 giorni di febbre da cavallo, inappetenza, 10 kg persi in 2 settimane, dolori lancinanti, respiro corto, affanno, tachicardia, polmonite, forze inesistenti, saturazione a 92. Il 6 marzo faccio il mio primo tampone, il risultato però tarda ad arrivare ed io non riesco ad entrare nel sistema, in quanto non sono ancora in possesso del codice sanitario della Regione Lombardia, ma fortunatamente, in via ufficiosa, grazie ad un mio cugino medico Dr. Nino Foti riesco a venire a conoscenza del risultato.

La sentenza arriva come una doccia fredda: positiva alla variante inglese, quella variante temuta, contagiosissima e aggressiva, soprattutto nei giovani. Il terrore mi assale, mi crolla il mondo addosso, sono sola, isolata, lontana dai miei familiari, chissà se li rivedrò, alterno momenti di rassegnazione e incoscienza, a momenti di preghiera intensa e fiduciosa, perché la febbre sembra divorarmi, sento che le forze vitali mi abbandonano, preghiere quotidiane incessanti affinché le residue energie resistano, quello che mi tiene in vita è il pensiero di rivedere i miei affetti, di riabbracciarli tutti, ho solo 34 anni e tantissima voglia di vivere, devo lottare, resistere col cuore e con la mente.

Quattro tachipirine da 1000 al giorno, ma la febbre non vuole saperne di scendere, così domenica 7 marzo inizio ad assumere l’antibiotico, ma sono frastornata, non riesco a mangiare, vado avanti ad acqua e sali minerali. Chiamo insistentemente la guardia medica con le deboli forze che mi rimangono, mi lasciano in attesa telefonica, prima per 40 minuti, poi 20, poi 10, mollo perché la febbre mi assopisce, sono in stato catatonico.
Ho visto la vita scivolarmi tra le mani stavo per perderla a causa di un mostro invisibile, subdolo, che  aggredisce e consuma giorno dopo giorno, senza pietà. Il Covid si è insinuato in me, mi ha sbarrato la strada all’improvviso, con aggressività e violenza, ha stravolto per sempre la mia vita, perché se anche riesco a vincere questa battaglia e a uscirne viva, è come aver attraversato l’inferno.  

Sarai chiamata a riconsiderare le priorità della vita, e ogni cosa acquisterà un nuovo senso, a seguito di questa nuova opportunità, del tuo insperato miracolo. Per me stava profilandosi una vera tragedia, sola lontana da tutto e da tutti, terrorizzata e debole, non mi restava che pregare e sperare di farcela per poter rivedere i familiari, gli amici, la mia terra, il mare, e così ho scelto di non mollare e continuare a resistere, lottare, sperare, anche se le forze sembravano esaurite, con la paura di non farcela, senza alcun aiuto. Mi sono affidata a Dio che affligge sì, ma non abbandona, sai che Lui è lì con te, quindi invochi i tuoi angeli custodi affinché ti tengano in vita, e preghi che Santi intercettano per te, i miei Santi martiri patroni di Masella, i Santi medici Cosma e Damiano.

Poi, ecco apparire gli angeli terreni quelli che rischiano ogni giorno senza risparmiarsi, e da lì che inizi a sperare, a crederci, a non sentirti più sola. Una dottoressa dell’Usca, Alice Giulia, in visita domiciliare accertato che i parametri stanno per precipitare, chiama il 112 e subito giunge l’ambulanza che si dirige all’ospedale Sacco. Nel tragitto, il mio secondo angelo Luca, che mi ossigena, controlla i miei parametri, mi rassicura, e munito di guanti mi tiene per mano fino in ospedale: “stai tranquilla gioia, mi dice, tutto andrà bene!” Quattro giorni di ospedalizzazione dal 12 al 16, sofferenza, incertezza, paura, ma anche tanta forza, ora non sono più sola, ho le cure necessarie e sono monitorata continuamente, finalmente mi sento al sicuro, vedo i medici che lottano con me e per me.

Medici umani, dentro camici, tute, cuffie, mascherine, visiere, segnati da ore e ore di snervante lavoro, cure e attenzioni ai malati, medici che ti rassicurano e ti incoraggiano. In pronto soccorso, dopo ore di attesa, di accertamenti, di esami, sistemazione canula, prelievo arterioso, rx al torace, e la dottoressa Camilla gentile: “signora…ha la polmonite, dobbiamo monitorarla tutta la notte in pronto soccorso, ma non si preoccupi, stia tranquilla che tutto andrà bene”. Il servizio domiciliare Usca è stato la mia salvezza, che mi è stato inviato dal mio medico curante, il dottor Francesco Baccellieri, che mi monitorava quotidianamente a distanza, mentre la guardia medica non funziona per niente bene.

Anna, giovane e instancabile dottoressa, mentre provvede al nostro monitoraggio in pronto soccorso per tutta la notte, senza fermarsi un attimo, con grande umanità e tenerezza riesce a riunire nella stessa stanza una coppia di anziani, che erano capitati in stanze diverse, e questo solo per vederli vicini, così che potessero guardarsi negli occhi, soffrire e sperare insieme, un’équipe medica di giovani instancabili pieni di forza di volontà, tutti impegnati a salvare vite umane. Anna sempre lì ad assisterci, non voleva neanche andare a cambiarsi, dopo essere stata esposta tutta la notte, segnata in volto dai dispositivi di protezione, e ignorava i colleghi che continuano a chiamarla: “Anna esci e vieni a cambiarti, è troppo tempo che sei lì, vai a riposare un po’”. Tanti nomi, tanti angeli sulla terra che lottano ogni giorno assieme a chi soffre. Sei sola e isolata, ma loro ti danno speranza e ti incoraggiano a lottare, a vincere e a tornare a casa più forte di prima.

“Che ci fai tu qui? Io non riesco a vederli i giovani in ospedale”, mi dice l’altra giovane dottoressa Federica, la dolce dottoressa di Napoli. Lei che fa di tutto per farmi tornare presto casa, “sei troppo debilitata, devi riprendere a mangiare, ti ordino 2 integratori e presto starai meglio”. Mi sottopone a prelievo arterioso, il secondo da quando sono entrata in ospedale, è doloroso dice il primo dottore che me lo fece in pronto soccorso, ed io a rassicurarlo “non si preoccupi faccia pure, sopporterò qualsiasi cosa” e così è stato, perché nemmeno li distingui più i dolori, martoriata per come sei. Un altro angelo è Adriano, che mi ha riportata a casa dall’ospedale in ambulanza, tutta equipaggiata, perché ancora positiva, ma avendo grande cura e attenzione. Sì perché il secondo tampone eseguito in ospedale il 16 marzo, era risultato ancora positivo. Infinitamente grazie anche a tutti gli altri angeli in eccezionale e incredibilmente umana, quella dell’ospedale Sacco, un’eccellenza in materia di malattie infettive e attualmente nella cura contro il Covid.

La mia compagna di stanza un’altra Claudia, isolate e unite ci siamo date forza e sostenute a vicenda, e Dio ha voluto che dall’ospedale siamo anche uscite assieme. Nel viaggio di ritorno a casa, Claudia mi ringrazia per averle trasmesso tanta forza: “io sono una fifona e menomale che c’eri tu che mi hai aiutato a sperare, che mi hai insegnato a pregare di nuovo, ora devi promettermi che tornata a casa starai attenta alle cure e riprenderai a cucinare e a mangiare di tutto per recuperare in fretta le energie necessarie per uccidere completamente. Una volta a casa contatto la farmacia comunale di Seveso, dove vivo, che offre il servizio di consegna a domicilio dei medicinali occorrenti, iniziativa lodevole e preziosa visto che sono convalescente e reclusa con obbligo di quarantena, dato che l’Ats dispone l’isolamento in caso di positività. Grazie alle persone amiche che gentilmente si offrono di aiutarti e ti farti la spesa lasciando tutto fuori dalla tua porta, perché devi necessariamente mangiare per sopravvivere a questa immane tragedia. Anche a dovuta distanza le anime belle ti salvano.

È un dramma senza fine, per di più nella totale solitudine, lontana da chi ti ama, tu che cerchi di rassicurare la disperazione della tua famiglia, loro che vogliono correre da te, tu che li minacci che non aprirai mai quella porta, perché potresti contagiare e uccidere anche loro. È una cosa seria, prendetene coscienza, folle chi ancora non ci crede, chi non indossa i pressi e dispositivi necessari, perché crede di essere invincibile, intoccabile. Si combatte con la morte e qui in Lombardia, non si sente altro che sirene di ambulanze e campane intonanti il mortorio, il cuore fa le capriole in petto, perché questi suoni rinnovano quel che hai passato e ti ricordano che sei viva per miracolo. Probabilmente scriverò un libro per testimoniare questo mio miracolo. Voglio sollecitare tutti a tutelare se stessi e gli altri, perché è un male sì invisibile, ma spietato, devastante, non lascia scampo e vuole assicurarsi la vita a nostre spese.

E intanto, oggi 31 marzo sono ancora qui, chiusa e isolata in casa ad attendere l’esito del mio terzo tampone, con la speranza e l’augurio che stavolta sia negativo, per uscire al più presto da questo incubo e per riabbracciare nuovamente i miei cari che temevo di non poter più rivedere.
È stata la dottoressa Emanuela a sottopormi al terzo tampone, decido di farlo a pagamento a domicilio perché sono sottoposta a isolamento, perché se dovesse finalmente risultare negativo voglio riuscire a tornare dalla mia famiglia. Giorno 1 Aprile ho un aereo prenotato da tempo che spero con tutto il cuore di poter prendere, perché la vera guarigione del corpo, ma soprattutto del cuore, inizia quando ritrovi le persone che ami. Ahimè sono ancora positiva non sono riuscita a partire per la Pasqua, sarà una Pasqua triste e isolata, ma confido nel prossimo tampone che effettuerò giovedì 9 Aprile, a ridosso dei 40 giorni, mi aggrappo alla speranza…

Giorno 30 ho finito la cura per la polmonite, 2 giorni dopo ho avuto dolori in tutto il corpo e mi sentivo esplodere le tempie, impaurita misuro la febbre 36,8, mi si è alleggerito il cuore, ma ho dovuto prendere una Tachipirina da 1000 per riuscire a riposare. Il tampone effettuato al drive di Limbiate giorno 9 alle 11.30, questa mattina ha dato esito negativo. La fine di un incubo, un pianto liberatorio di gioia, dopo 40 giorni di sofferenze, solitudine e isolamento dai primi sintomi forti. Ancora non mi sembra vero che posso riabbracciare i miei affetti e tornare vivere con serenità. Invito tutti a fare il vaccino perché solo così non si arriva ad essere intubati, ne vale la vita!

Claudia

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