Cariche, doti, conflitti e omicidi. «Tutto parte da Reggio Calabria»
Il pentito Tripodoro svela i rapporti di forza all'interno della 'ndrangheta: «Il "Crimine" deriva a Reggio, anzi da San Luca che è il simbolo di tutti i malandrini "segnati"»
«Dalla dote superiore allo sgarro in poi subentra il “Crimine” che è a Reggio Calabria, a San Luca. La radice della ‘ndrangheta è là». A stabilire le gerarchie della ‘ndrangheta in Calabria è uno dei pezzi grossi della malavita cosentina nei primi anni ’90. Pasquale Tripodoro, ormai da oltre un ventennio collaboratore di giustizia, di recente è stato nuovamente ascoltato dai magistrati della Dda di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta “Rinascita Scott”.
Cirillo e i De Stefano
Tripodoro spiega come un tempo i rapporti con la ‘ndrangheta reggina fossero tenuti da Cirillo che operava nella zona di Sibari. Questi era in rapporti con i De Stefano. «Ad un certo punto Cirillo è stato prima arrestato e poi sottoposto al soggiorno obbligato. Noi capi locale ci siamo posti il problema di sapere da Cirillo con quale rappresentante della ‘ndrangheta di Reggio Calabria dovevamo parlare in caso di problemi, visto che lui era fuori. Sul punto fu evasivo». Tripodoro ricorda come, considerata l’ambiguità di fondo dei rapporti, decisero di andare a parlare direttamente con gli esponenti reggini. «Prima parlammo con Franco Pino del problema, poi prendemmo contatti per andare a parlare a Reggio Calabria. A seguito di incontri avvenuti nel reggino con i Tegano, con Paolo De Stefano ed i suoi figli, con il Tiradritto, con ‘Ntoni Pelle, ho saputo che in realtà non eravamo riconosciuti come locale, né Rossano, né Corigliano e né Sibari. Cirillo aveva mentito, forse per le sue manie di grandezza. Così decidemmo di metterci “a posto” a Reggio Calabria decise di riconoscerci, e questi locali furono riconosciuti e come capi vennero individuati io a Rossano, Carelli a Corigliano, Marincola a Cirò. Ovviamente noi sapevamo che questo riconoscimento Reggio lo concedeva pensando di ricevere qualcosa in cambio, ossia una percentuale sui proventi delle attività criminali. Questa era la regola».
Il ruolo della ‘ndrangheta reggina
Il collaboratore di giustizia rivela di essere al corrente che «nelle copiate delle doti minori non erano presenti soggetti di Reggio Calabria». La spiegazione è chiara: «I primi gradi non hanno una notevole importanza a differenza dei gradi della Società maggiore, che fanno riferimento direttamente invece al Crimine di San Luca. In pratica, fino allo sgarro, nelle copiate ci sono soltanto soggetti della zona di appartenenza dell’affiliato, perché fino a quel livello non entra in gioco l’esigenza di una organizzazione che protegga e riconosca la realtà locale ed i sui affiliati, della dote superiore allo sgarro in poi subentra il “Crimine” che è a Reggio Calabria, a San Luca». Ed è in questo contesto che Tripodoro conferma un dato non secondario: «La radice della ‘ndrangheta è là. Se c’era bisogno ci si poteva rivolgere a Reggio Calabria (ad esempio ai Tegano) e viceversa. In tal modo c’era una maggiore possibilità di risolvere problemi e non essere isolati, essere “riconosciuti” ovunque come uomini d’onore, avere più peso». E chi non aveva un tale riconoscimento? «Comandava al massimo soltanto a casa sua». Tripodoro è sicuro: «La ‘ndrangheta è una struttura unica e il “Crimine” deriva da Reggio Calabria, anzi da San Luca, che poi alla fine è un simbolo, un luogo dove sono “segnati” tutti i malandrini della Calabria».
La “sinfonia” della morte
Secondo il pentito, dunque, di ‘ndrangheta verticistica bisognava parlare sin dal 1994, tanto che «alle riunioni di Reggio non potevano partecipare due capi società in conflitto fra loro. Tali problematiche potevano essere risolte richiamando all’attenzione il soggetto che aveva sbagliato, qualora questo non si fosse adattato alle regole. Se c’era un contrasto interno o un contrasto con soggetti di altri locali che il capo società non riusciva o non poteva risolvere da solo, allora si rivolgeva al Crimine e questo interveniva per trovare la soluzione. Il soggetto che si comportava male poteva anche essere chiamato a rispondere davanti ad altri uomini d’onore del suo operato e dare giustificazioni. Ma se mentiva poi veniva eliminato». Per Tripodoro tutta questa “sinfonia” serve a «sapere a chi rivolgersi in caso di problemi, a trovare una soluzione al problema, ad essere autorizzato ad eliminare eventualmente la persona che rappresenta il problema, in un contesto di regole riconosciute».
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