venerdì,Marzo 29 2024

“Breakfast”, «il piano riservato di Scajola e Rizzo per aiutare la latitanza di Matacena»

Le motivazioni della sentenza con cui l’ex ministro è stato condannato a due anni di prigione. I rapporti fra Scajola e la moglie di Matacena: «Lui invaghito, lei più furba». Le manovre dopo l’arresto dell’ex parlamentare

“Breakfast”, «il piano riservato di Scajola e Rizzo per aiutare la latitanza di Matacena»

«Non vi è alcun dubbio che già l’aiuto, apprestato da Scajola e dalla Rizzo, in concorso con Speziali, consistente nell’attuare lo spostamento di Matacena da Dubai in Libano si legasse funzionalmente all’intenzione dello stesso Matacena di sottrarsi alla cattura poiché, attraverso quell’aiuto, egli avrebbe potuto assicurarsi condizioni di vita o di sicurezza certamente maggiori di cui godeva a Dubai, mentre, senza quell’aiuto, egli avrebbe dovuto procurarsele diversamente». Dunque, «non vi sono dubbi sul contributo causale di Scajola nel piano di spostamento del latitante». 

Con queste parole il Tribunale di Reggio Calabria motiva la condanna dell’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, nell’ambito del processo “Breakfast” portato avanti per lungo tempo dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, sin dagli albori dell’indagine che aveva condotto, in un primo tempo, Scajola anche in carcere.

Il ruolo dell’ex ministro

«L’imputato – scrive il collegio presieduto da Natina Pratticò – prospetta di aver prestato solo un aiuto lecito consistente nel far ottenere l’asilo politico al marito della Rizzo, ha inteso accreditare la tesi di aver nutrito nei confronti della donna, fin da subito, un trasporto, poi trasformatosi in vero e proprio sentimento, che ne avrebbe guidato l’agire in tutta la vicenda sottoposta al vaglio giudiziario, derivato dalla situazione di fragilità in cui la Rizzo si trovava durante la latitanza del marito, assillata da problemi economici, ma anche provata in ragione della solitudine che provava nel seguire i problemi dei figli senza alcun aiuto».

Ebbene, se è vero che la Rizzo era persona che soffriva davvero, rileva il tribunale, è plasticamente dimostrato dal tenore delle conversazioni intercettate da cui emerge il rapporto con Scajola. Tuttavia, «se, per un verso è evidente che i sentimenti di Scajola potrebbero avere rilievo al più sul piano dei motivi dell’agire e non certo scriminarne la condotta non si è esaurita in un aiuto lecito al latitante; per altro verso – proseguono i giudici – le risultanze dibattimentali dimostrato l’esistenza di indubbi e consolidati rapporti tra Claudio Scajola e Amedeo Matacena, che andavano ben al di là del legame confinato alla sfera emotiva e sentimentale di due persone adulte, sorto in epoca successiva e del tutto irrilevante nella valutazione dei fatti».

I rapporti Matacena-Scajola

Ed è in questo momento che il Tribunale affronta i rapporti fra Scajola e Matacena. Questi, «maturati nell’ambito di una comune militanza politica nelle fila di “Forza Italia”, sono proseguiti anche in epoca assai posteriore, in cui Scajola si mette a disposizione dell’ex armatore Matacena, introducendolo in nuovi ambienti imprenditoriali, spesso affini a quelli operanti nei settori in cui si era svolta la sua attività di Ministro dello Sviluppo economico, prima, e delle Attività produttive, dopo, e che, quindi, meglio gli consentivano di indirizzarne le iniziative o mettendolo in contatto con personaggi che ne avrebbero potuto agevolare altre, introducendolo in ambienti diplomatici nei quali a Matacena preme accreditarsi come un perseguitato dalla Giustizia italiana e si sono, quindi, mantenuti inalterati durante la latitanza di Matacena».

È questo il motivo per cui il latitante «veniva informato pedissequamente dalla moglie delle iniziative assunte da Scajola in termini di aiuto e assistenza alla donna per farla lavorare o farle riprendere iniziative imprenditoriali interrotte della latitanza del marito, ma, soprattutto in termini funzionali a consentire a quest’ultimo di sottrarsi all’ordine di carcerazione, tant’è che la prima persona che Matacena si premura che venga avvisata, tramite la moglie, del proprio arresto è proprio Claudio Scajola. “Avverti per primo Claudio, perché Claudio ci è stato molto vicino”, per come Scajola stesso ricorda alla Rizzo durante una conversazione telefonica».

Le manovre dopo l’arresto

Di più, il Tribunale prosegue spiegando come vi è la prova «che la Rizzo avvisi per primo Scajola, allorquando fissano un appuntamento a Placedu Moulin a Montecarlo, il giorno stesso dell’arresto di Matacena». Ecco allora che la circostanza che Rizzo voglia vedere subito Scajola e parlargli de visu della situazione del marito «rende fin troppo evidente che a Scajola vengano rappresentati i problemi che il latitante aveva restando a Dubai, evidentemente non risolvibili dai legali di Matacena e di cui non si poteva parlare telefonicamente».

Per i giudici «è quella la prima occasione in cui a Scajola è dato mandato di ricercare una soluzione che consentisse al marito di continuare a trascorrere la propria latitanza al riparo dalle ricerche dell’autorità giudiziaria italiana, o comunque, si sottrarsi all’ordine di carcerazione di questa». Le parole del Tribunale sono nette: «È certamente inoppugnabile che Scajola si appalti la questione dello spostamento di Matacena, trovando un valido interlocutore in Speziali». I giudici valutano in maniera ampia il materiale che convince il collegio a ritenere che Scajola, insieme a Speziali, abbia organizzato lo spostamento di Matacena a Beirut, dove «questi avrebbe avuto la garanzia, grazie all’interessamento dell’ex presidente del Libano Gemayel e di un alto funzionario governativo avv. Firas di ottenere asilo politico». Per il collegio, dunque, la decisione di Scajola di rivolgersi a Speziali non è, come pure l’ex ministro riferisce, estemporanea e casuale, contrastando con una logica «elementare dei comportamenti umani». Quel piano, di contro, fu progettato con cura e affidato a soggetti «di elevato rango costituzionale».

La consapevolezza di Scajola e Rizzo

L’impostazione della difesa, dunque, «confligge platealmente con l’atteggiamento improntato ad estrema cautela dello Scajola e della Rizzo, nella gestione dell’affaire condotto unitamente a Speziali e con la totale assenza di dialoghi che diano concretezza al progetto lecito oggi adombrato dalla difesa che, alla luce del tenore complessivo dei colloqui intercettati e, più in generale, delle condotte poste in essere dai protagonisti della vicenda, si traduce in nulla più che in un espediente». E che il piano di spostamento di Matacena sia illecito, sottolineano i giudici, lo si evince dal comportamento della Rizzo che «non vuole esporsi intuendo l’illiceità del piano e voglia fare esporre solo Scajola», indispettendo l’ex ministro che le rimprovera un atteggiamento contraddittorio: per un verso percorrere la strada aperta da Scajola, per altro tenersi alla larga da incontri pericolosi.

I rapporti Rizzo-Scajola

Il Tribunale scende nel dettaglio dei rapporti fra Scajola e Rizzo. Il ragionamento prende le mosse dalla sicura gelosia che Scajola proverebbe alla notizia che la donna abbia preso a frequentare Francesco Caltagione, tanto da interessare un funzionario di polizia per ottenere informazioni su un’autovettura. «Scajola – sintetizzano i giudici – nutre un trasporto per la Rizzo che non è interamente contraccambiato da quest’ultima». Per il Tribunale «mentre Scajola vuole sfruttare ogni occasione per trascorrere del tempo con la Rizzo, sicché gli incontri finalizzati a risolvere i suoi problemi economici e finanziari e quelli per organizzare lo spostamento del latitante, sono certamente vissuti anche come occasioni propizie per stare insieme alla donna di cui subisce indubbiamente il fascino, quest’ultima ha una atteggiamenti più scaltro.

La Rizzo, invero, tenendosi costantemente in bilico nei rapporti con l’uomo, ora, lo sceglie come interlocutore telefonico amico e confidente con cui intrattenersi piacevolmente nei momenti più spensierati delle sue giornate ovvero cui affidare le proprie tribolazioni in momenti in cui il peso per l’assenza del marito è insopportabile, ora, gli concede solo qualche scampolo di tempo in cui lo incontra di persona, ma sempre in vista di un vantaggio personale, che è legato alla risoluzione di problematiche di varia natura».

Il collegio delinea un quadro eloquente: «Da una parte vi è la donna che evidentemente ha mentito a Scajola allorquando ha inventato un pretesto per non incontrare Speziali e che, tuttavia, lungi dal far chiarezza in ordine alle ragioni del proprio comportamento, continua a rassicurare Scajola, allo scopo evidente di non perdere l’opportunità di realizzare un progetto favorevole al marito latitante, che tutti insieme stavano coltivando; d’altra parte, vi è un uomo che, ancorché decisamente invaghito della signora, non ha perso la capacità do coglierne la freddezza e che, a cagione di questo percepito distacco, si rammarica, tanto più per essersi esposto al punto tale da intraprendere un’iniziativa illecita, dopo averne a lungo parlato con la donna in passato». 

Le responsabilità

Per i giudici, dunque, non rimane che ritenere la penale responsabilità degli imputati Chiara Rizzo e Claudio Scajola, condannati rispettivamente a un anno e due anni di reclusione. «Dal punto di vista oggettivo la condotta di Scajola e della Rizzo è certamente strumentale a consentire a Matacena di protrarre la sottrazione all’esecuzione della pena che gli è stata inflitta a seguito di processo svoltosi con tutte le garanzie previste dall’ordinamento democratico per uno dei reati di massima offensività». Dal punto di vista soggettivo, la tesi dell’asilo politico portata avanti dalla difesa, ma caratterizzata da estrema cautela «si traduce in nulla più che un espediente».

Gli assolti

Quanto alle posizioni degli imputati Maria Grazia Fiordelisi e Martino Antonio Politi, entrambi sono stati assolti. Quanto alla Fiordelisi «non vi sono prove che ella abbia partecipato all’attività di finanziamento del latitante né che l’opera intellettuale di traduzione linguistica della documentazione afferente le centrali idroelettriche possa interpretarsi quale condotta, sia pure a forma libera, funzionale alla sottrazione del latitante all’ordine di carcerazione». Né, ritiene il collegio, vi è alcuna prova che l’imputata abbia preso parte al progetto di spostamento di Matacena in Libano. Conclusioni analoghe vi sono anche per Politi per il quale si parla di «assoluta inconsistenza del quadro accusatorio nei confronti di Politi».

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