La rabbia del boss venduto e arrestato: «Mi chiesero di non far finire le stragi»
'Ndrangheta stragista, nelle parole del pm Lombardo tutta la fretta del boss palermitano Giuseppe Graviano e la sua rabbia per quegli accordo saltati che portarono al suo arresto. Senza un'indagine
di Alessia Candito – C’è un dato che conferma tanto le parole di Spatuzza come le involontarie rivelazioni di Graviano. O meglio sono due. La fretta del boss allora e la sua rabbia oggi. Entrambe indicative di accordi, che all’epoca erano stati presi e si dovevano rispettare, ma tali non sono stati. Anzi, sono stati traditi. E per questo ancora bruciano. È quanto emerge dall’udienza del processo ‘Ndrangheta stragista in corso a Reggio Calabria.
«Spatuzza ci dice che Giuseppe Graviano generalmente pianificava tutto nel dettaglio. Ci diceva giorno, luogo e ora di quello che dovevamo fare» ricorda il procuratore aggiunto Lombardo nel corso della requisitoria. Eppure, racconta Spatuzza a Roma c’è un cambio del modus operandi. L’attentato all’Olimpico si deve fare – ordina il boss di Brancaccio – e si deve fare al più presto. Una fretta – suggerisce Lombardo – che è lecito chiedersi se non fosse dettata dall’imminente discesa in campo di Berlusconi, annunciata con un video messaggio la sera del 26 gennaio, qualche giorno dopo il fallito attentato all’Olimpico.
Un obiettivo cui Graviano ha sacrificato anche la vendetta contro l’odiato Totuccio Contorno, considerato il responsabile dell’omicidio del padre del boss di Brancaccio. Ma c’erano accordi da rispettare, un programma che non si poteva guastare magari usando un esplosivo che avrebbe fatto da firma e non ci si poteva distrarre. I calabresi «già si erano mossi» ha riferito di aver saputo Spatuzza da Graviano e «solo chi era in contatto con i massimi vertici poteva sapere che quegli episodi erano da ricollegare ad una generale strategia stragista ed eversiva».
E poi c’erano accordi molto precisi da rispettare. Così come risuonano forte le parole di Graviano: «Mi chiesero di non far cessare le stragi», richiama il pm. «Elementi che ritengo debbano essere completati facendo buon uso – dice Lombardo – di quell’apporto dichiarativo dei soggetti che lavoravano all’hotel Majestic che ci parlano di incontri tra soggetti calabresi e siciliani». È in quell’hotel che Forza Italia è stata tenuta a battesimo ed è lì che Dell’Utri presiedeva incontri e riunioni mirate a strutturare il neonato partito. Anche con «personaggi calabresi e siciliani» ha riferito di recente chi lavorava lì «interessati al nuovo soggetto politico». E quella struttura non dista più di 120 metri dal Bar Doney, ricorda il magistrato.
Un antefatto che sembra spiegare anche la sua furia di oggi. «Lo abbiamo sentito benissimo che è arrabbiato – dice il magistrato – E il motivo è il suo arresto. Perché non se lo aspettava. E non se lo aspettava perché aveva preso accordi. La sua rabbia ci dice che gli accordi non prevedevano la sua cattura». Non si tratta di una semplice inferenza logica. La conferma sta in un dato che anche Graviano ci ha tenuto più e più volte a far emergere. «Che la sua cattura non fosse prevista lo dicono anche le modalità del suo arresto. All’epoca – e ce lo hanno detto i carabinieri in aula – non c’era alcuna attività investigativa su di lui al Nord Italia. Ci dice “io facevo la bella vita, andavo a Venezia, in Sardegna, vivevo sul lago d’Orta”. Graviano è convinto di essere stato venduto. In effetti alla cattura di Graviano si arriva attraverso una fonte confidenziale. Che è perfettamente legittimo. Ma è vero che non c’era alcuna indagine»