venerdì,Marzo 29 2024

Coronavirus a Reggio Calabria, serve riformulare i servizi diurni per i disabili

La proposta della Piccola Opera Papa Giovanni: seguire il modello già adottato dalla regione Lazio, riaprire con un numero di utenti ridotto e con tutte le precauzioni necessarie

Coronavirus a Reggio Calabria, serve riformulare i servizi diurni per i disabili

Una proposta in deroga per riaprire a Reggio Calabria, con le adeguate misure di protezione, i centri per disabili. A farsene portatrice è la Piccola Opera Papa Giovanni, associazione fondata nel 1968 da don Italo Calabrò.

A subire le conseguenze più pesanti dell’emergenza coronavirus ci sono i tanti disabili che, da più di un mese, hanno dovuto interrompere le terapie motorie e psicologiche e non possono riunirsi e compiere le attività che tante associazioni di volontariato si sono premurate di mettere insieme in questi anni.

Arte insieme

Da qualche anno, nella parte sud di Reggio Calabria esiste l’associazione “Arte insieme”, collocato nella zona Sud della città, una delle “costele” della Piccola Opera. Giovani e preparati ceramisti che, nonostante le disabilità, e grazie all’aiuto di una esperta maestra, fanno di questo un pregiato lavoro, con creazioni che diventano bomboniere per matrimoni, battesimi e lauree.

A fare il punto sulla situazione d’emergenza per le persone disabili che va oltre all’emergenza sanitaria è Nuccio Vadalà, volontario e socio fondatore della Piccola Opera e che da vicino segue “Arte insieme”.

Le difficoltà per i disabili e le loro famiglie

«Le difficoltà sono di varia natura – chiarisce – dipende anche dal tipo di disabilità, dall’età e dalle condizioni familiari. Ci sono i giovani che hanno difficoltà di natura fisica, si pensi a chi è affetto da tetraparesi, ad esempio. In questi casi il problema è la riabilitazione fisica che in questo momento non possono svolgere.

Ci sono poi i problemi dei ragazzi con i disturbi autistici e quelli sono i più impegnativi come situazione di disagio e di difficoltà perché sono abituati ad avere dei ritmi ben precisi, a gestire le giornate in modo stabile, senza grosse variazioni.

E poi ci sono gli ospiti ricoverati nella nostra struttura della Piccola Opera vivono questo momento con grande difficoltà. Il prezioso lavoro che si è fatto in questi anni riguardo alla socializzazione, all’apertura al territorio viene tutto vanificato. I nostri ospiti stanno soffrendo, soprattutto quelli con disturbi di natura psichiatrica e con disabilità gravi. Soffrono la chiusura al territorio, alle relazioni.

A questi si aggiungono le famiglia dove c’è più di una persona con disabilità. In questi casi, il dramma si aggiunge al dramma perché le situazioni diventano ingestibili. Succede che le famiglie hanno difficoltà ad accettare un’assistenza familiare per paura che con l’aiuto possa involontariamente arrivare anche il contagio».

La proposta sull’esempio del Lazio

Da qui la necessità di fare qualcosa per non vanificare,in pochi mesi di stop, gli sforzi ed il lavoro compiuto in anni e nani di volontariato. «Abbiamo pensato di dare una risposta, seppur parziale, minima per venire incontro ai casi di difficoltà e disagio grave – afferma Vadalà – e il modello da seguire è quello attuato nella regione Lazio.

Un modello in cui si permette a vari servizi diurni di riformulare gli interventi riabilitativi, considerando la situazione e considerando quella che è la tutela prioritaria delle persone con disabilità e degli operatori.

Questo significa: riaprire il servizio con un numero di utenti ridotto, con tutte le precauzioni necessarie, con le distanze e tutte le raccomandazioni. Ci siamo attivati con il sindaco e l’assessore al welfare per valutare questa ipotesi. Non sappiamo se le famiglie saranno d’accordo a questo tipo di soluzione».

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