venerdì,Aprile 19 2024

L’apocalisse in 37 secondi. 112 anni fa il terremoto che distrusse Reggio Calabria e Messina

Il sisma rase al suolo le due città portando morte e distruzione. Le testimonianze e quei segnali odierni che ricordano la sismicità dell'area dello Stretto

L’apocalisse in 37 secondi. 112 anni fa il terremoto che distrusse Reggio Calabria e Messina

Trentasette secondi per uccidere sogni, speranze e intere generazioni. Bastarono solo 37 secondi quella mattina del 28 dicembre del 1908, quando, alle 5,27 mentre la popolazione dormiva, un fortissimo terremoto dell’11° grado della scala Mercalli rase al suolo le città di Reggio e Messina. Quel sisma è considerato come uno degli eventi più catastrofici del XX secolo e una della più grandi calamità che si abbatterono sull’Italia unita degli inizi del ‘900.

Ma non solo il terremoto. A causa degli incendi che scoppiarono anche a causa delle fuoriuscite del gas andarono in fiamme case, palazzi storici e chiese. I sopravvissuti terrorizzati si riversarono per le strade e in riva del mare pensando di trovare salvezza in un luogo in cui non c’era il pericolo che crollassero costruzioni. E fu allora che al terremoto seguì lo tsumani: tre onde gigantesche, stimate da 6 m a 12 m di altezza, spazzarono via tutto ciò che il terremoto aveva demolito e una parte dei sopravvissuti. Secondo le stime furono oltre 80mila le vittime e 100mila gli sfollati.

Lo scenario che si presentò ai soccorritori, peraltro arrivati con notevoli ritardi, fu apocalittico. Persone seminude che vagano per le strade alla ricerca di un rifugio e di una consolazione, dopo aver perso ogni cosa. Tra le prime squadre di soccorso che giunsero fu quella guidata dall’esponente socialista Pietro Mancini che, a Reggio Calabria, dichiarò: «Le descrizioni dei giornali di Reggio e dintorni sono al di sotto del vero. Nessuna parola, la più esagerata, può darvene l’idea. Bisogna avere visto. Immaginate tutto ciò che vi può essere di più triste, di più desolante. Immaginate una città abbattuta totalmente, degli inebetiti per le vie, dei cadaveri in putrefazione ad ogni angolo di via, e voi avrete un’idea approssimativa di che cos’è Reggio, la bella città che fu».

Tra i terrorizzati testimoni oculari ricordiamo anche un giovanissimo Salvatore Quasimodo, di appena 7 anni. Il padre Gaetano, ferroviere, fu mandato, insieme alla famiglia, a ripristinare le linee ferroviarie di quello che restava di Messina. E il piccolo Salvatore visse nei vagoni dei treni, insieme a molti terremotati. Il ricordo dei momenti di terrore vissuti e condivisi gli ispirò, 48 anni dopo, nella poesia “Al padre”, i versi: «Il terremoto ribolle da due giorni, è dicembre d’uragani e mare avvelenato».

Ma il terremoto fu un colpo al cuore alle persone e all’economia di una città che era sull’orlo del baratro. Nello stretto giunsero le navi americane a portare aiuti. Tanto grati furono i superstiti che molte vie della città dello Stretto presero il nome di queste grandi imbarcazioni che portavano la salvezza (ad esempio: via Pensilvania).

Era già successo nel 1783. La terra aveva tremato con 5 forti scosse che dal 5 febbraio al 28 marzo avevano causato migliaia di vittime e, anche in quel caso, distrutto Reggio e Messina.

E la terra continua a tremare. Solo pochi giorni fa, sabato 19 dicembre, a Reggio Calabria una scossa di terremoto compresa tra i 3.9 e i 4.4 di magnitudo ha colto di sorpresa la popolazione, spaventando soprattutto coloro che si trovavano nelle abitazioni. Tanto spavento ma nessun danno per fortuna. In questo periodo è in atto uno sciame sismico nella zona di Roccaforte del Greco, in provincia di Reggio. Eventi che ricordano, una volta di più, quanto elevata sia la sismicità alle nostre latitudini.

Il sindaco della città dello Stretto, Giuseppe Falcomatà ha commentato il triste anniversario che oggi ricorre: «Il Paese si fece trovare impreparato, la macchina dei soccorsi arrivò in ritardo, con conseguenze sia economiche che sociali. Il nostro è un popolo abituato a cadere e a ripartire con un senso di orgoglio, di identità e di appartenenza, per ricordarci la nostra storia, quello che siamo e quello che siamo stati”. La tragedia del terremoto ci ricorda di avere rispetto per il paese in cui si vive, solo così si possono costruire basi solide per il futuro della nostra terra».

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