giovedì,Aprile 25 2024

Silviù, il senzatetto morto mentre cercava di ritrovare un rapporto con la figlia

Pizzi (Unità di strada): «Combatteva i demoni con dignità. Aveva dato disponibilità ad intraprendere un percorso di carattere educativo, che prevedeva la possibilità di avere un tirocinio lavorativo»

Silviù, il senzatetto morto mentre cercava di ritrovare un rapporto con la figlia

«Silviù purtroppo è morto per l’alcolismo e non di stenti e nella solitudine perché ha avuto la possibilità di venir fuori da queste difficoltà che comunque alla fine lo hanno schiacciato sotto il peso delle responsabilità».
È Leo Pizzi, da portavoce, a raccontare la storia del senzatetto morto qualche giorno fa al Girasole, per come l’ha conosciuto dell’Unità di strada, il servizio del comune di Reggio Calabria, attivo dall’autunno 2020.

Scopriamo che dietro a quelle persone di cui per strada evitiamo lo sguardo ci sono storie di umanità devastata, di disperazione, d’infelicità che sfociano nel mollare la presa. Come è successo a Silviù, uomo, compagno, padre che fino alla fine ha sperato di poter ritrovare il rapporto con la figlia, fino a che la signora morte lo ha preso per mano portalo via.

«Silviù aveva ottenuto da febbraio il reddito di cittadinanza, la sua posizione dal punto di vista anagrafico presso la questura era stata sanata e regolarizzata – racconta Pizzi – aveva una compagna dalla quale era separato ed una figlia di tredici anni, entrambe ancora in Italia. Il suo tentativo è stato costante nel cercare di ricucire il rapporto con la figlia, nonostante le difficoltà di una separazione burrascosa».
Una lotta dura contro un mostro senza volto che prende le sembianze dell’abuso di alcol e che alla fine vince.

«Aveva dato la disponibilità ad intraprendere un percorso di carattere educativo, c’era un progetto individuale che quindici giorni fa avevamo tentato di costruire insieme e che prevedeva la possibilità di avere un tirocinio lavorativo. Era seguito da un neuropsichiatra, la cui prescrizione ha consentito di arrivare sia all’identificazione che a sapere qualcosa in più da parte della polizia.

Silviù era senza dubbio era una persona che combatteva contro i propri demoni e le difficoltà, lo ha fatto con molta dignità: mai una parola in più, mai un gesto maleducato, mai un atteggiamento iracondo. Aveva 52 anni e in passato, in Romania, aveva lavorato nella polizia locale, anche in Italia aveva regolarmente lavorato nel mondo dell’edilizia. Purtroppo poi perdere il lavoro e iniziare a bere, sono un cane che si morde la coda, non si sa cosa è iniziato prima. Lo abbiamo conosciuto sei mesi fa, quando abbiamo iniziato il lavoro come Unità di strada».

Un lungo calvario verso la fine, una morte che Silviù aveva sentito arrivare, qualche giorno prima, infatti, la notte aveva deciso di dormire sulla panchina di piazza Sant’Agostino.

«Già il giorno prima un operatore dell’Unità di strada aveva chiamato il 118 perché le sue condizioni erano critiche, però in prospettiva è difficile, poiché i romeni sono comunità di non residenti, la loro iscrizione al servizio sanitario nazionale è soggetta al pagamento di una forma assicurativa quindi non si possono fare interventi programmatici ma solo in pronto soccorso. Lo stesso giorno siamo andati a portare del cibo e così la mattina del giorno seguente. Poi ci ha chiamati la polizia perché ci ha trovati tramite la prescrizione del medico siamo stati rintracciati.

Costante è stato il tentativo di ristabilire un rapporto con la figlia. Questo è stato il suo cruccio: non avere la possibilità di far sapere che il papà avrebbe voluto rimediare se c’era stato qualcosa che nella loro vita insieme non era andato per il verso giusto».

L’unità di strada del comune di Reggio Calabria è «vicina dal punto di vista umano agli ultimi ma li aiuta a districarsi nella selva burocratica in modo che le prospettive di cambiamento possano diventare realtà».
«Dal mese di ottobre lavoriamo, non facciamo i volontari, dico questo perché per noi è un lavoro da professionisti, non volontariato. Chiaramente condividiamo coi volontari, con cui ci interfacciamo, tanti aspetti che sono lo stare vicino, distribuire beni di conforto, dare supporto psicologico ed evidenziare prospettive per chi sta in mezzo alla strada. Tolto questo passo che facciamo insieme, facciamo molto altro: siamo sull’Asl, l’anagrafe inutile dirlo visto che rappresentiamo il comune, presso la questura, siamo andati in udienza per questioni che hanno riguardato i senza tetto. Svolgiamo un tipo di lavoro che non è solo lo stare vicino ma cercare di regolarizzare posizioni amministrative complesse, dare voce ai diritti sociali. Infine li rappresentiamo presso le istituzioni (il Sert) e avremmo piacere di collaborare con tutti gli altri soggetti che nel terzo settore ci vivono».

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