Ponte sullo Stretto, Marino: «Non reggerebbe un terremoto come quello in Turchia»
Il docente dell'università Mediterranea di Reggio Calabria mette in guardia sugli effetti catastrofici che un sisma di forte intensità avrebbe sull'infrastruttura
di Franco Laratta – Quando arrivano notizie di terremoti devastanti, inutile nascondere che in Calabria, come in Sicilia, si pensa subito al Ponte sullo Stretto. Ma per il ministro delle Infrastrutture Salvini «non ci sarebbe alcun rischio sismico» dal punto di vista ingegneristico. E una struttura così alta ed elastica è in grado di reggere «un eventuale terremoto». «La questione è trovare invece i quattrini per unire in maniera stabile la Sicilia all’Italia. Ci stiamo lavorando», ha aggiunto.
Tutto questo è vero? Ne abbiamo parlato con il professore Domenico Marino dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, che sul Ponte ha condotto studi e ricerche e pubblicato anche un interessante libro.
«Sicuramente – afferma Marino – la particolare sensibilità dal punto di vista sismico dello Stretto è uno dei maggiori problemi che rendono difficile la costruzione del Ponte (anche se altri problemi di pari rilevanza non mancano!). Nel progetto preliminare viene assicurato che il Ponte potrà resistere a un evento sismico di magnitudo 7,2 della scala Richter. Vorremmo però ricordare, a tal proposito, che i terremoti di magnitudo superiore a 7,2 punti della scala Richter sono abbastanza frequenti e che la scala è logaritmica, per cui a ogni punto corrisponde un aumento di potenza di 10 volte. Un terremoto di magnitudo superiore a 7,2 della scala Richter non è peraltro un evento improbabile, se consideriamo che nel mondo ogni anno vi sono almeno cinque eventi sismici di questa intensità. Il terremoto in Turchia è stato di magnitudo 7.8-7.9. Non è quindi avventato ipotizzare che il Ponte, se costruito, potrebbe fare la stessa fine del Colosso di Rodi. Quella del Colosso di Rodi è forse la miglior metafora del Ponte sullo Stretto. Opera senz’altro ardita, ma priva di qualunque utilità pratica che ne giustificasse la costruzione, totem alla volontà di potenza che cerca stupidamente di sfidare la natura».
Cosa succederebbe se poi il terremoto avvenisse nella fase di costruzione?
«I piloni del Ponte di Akashi in Giappone si spostarono di un metro a seguito di un terremoto e la fortuna fu che l’impalcato ancora non c’era. Inoltre, sul Ponte di Akashi che ha solo poco meno di 2km di luce non ha previsto il traffico ferroviario che i giapponesi, non certo per incapacità tecnologica, considerano poco sicuro. Sul Ponte sullo Stretto dovrebbero passare. Ma, domanda banale, se anche il Ponte resistesse al sisma, cosa succederebbe ai treni in transito?»
All’inizio del Novecento un violento terremoto distrusse Reggio Calabria e altre città e paesi dell’area. Che cosa ci ha insegnato e che cos’è rimasto di quel terribile terremoto?
«Ci ha insegnato poco, se è vero che abbiamo un sistema di protezione civile assolutamente inadeguato, che la qualità del costruito è bassa, che la maggior parte degli edifici pubblici non rispettano le norme antisismiche. I danni del terremoto non dipendono tanto dalla potenza distruttrice, quanto dal grado di preparazione del territorio. Il sisma di Amatrice è stato mille volte meno potente di quello in Turchia, ma ha causato devastazioni simili. Un sisma come quello di Amatrice non distoglie i giapponesi dalle loro normali occupazioni mentre un sisma simile a quello verificatosi in Turchia produce danni minimi alle loro città. A Scilla, durante il terremoto del 1783,morino 2000 persone, il 40% della popolazione, ma quella lezione non fu sufficiente a evitare i morti del 1908 a Reggio e Messina».
Quindi se un sisma si verificasse oggi nello Stretto cosa succederebbe?
«Saremmo pericolosamente molto più vicini al caso turco e al caso di Amatrice piuttosto che al modello giapponese. Tornando al Ponte. Se anche il Ponte resistesse ad un forte terremoto, rimarrebbe a collegare due deserti. Non è meglio investire sul risanamento sismico piuttosto che su opere faraoniche e inutili?»
Della fragilità del territorio calabrese ne parliamo da decenni soprattutto ogni qualvolta accadono catastrofi naturali. Nel corso degli ultimi 20-30 anni in cui si è promesso di tutto, che cosa veramente è stato fatto per mettere in sicurezza il territorio calabrese?
«La Calabria è stata per molto tempo una regione devastata dalle frane. Periodiche alluvioni rendevano instabile il territorio e portavano allo spostamento di interi comuni che dall’interno diventato instabile venivano spostati sulla costa con costi enormi non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista sociale in termini di sradicamento e di perdita di identità. Ciò ha dato origine ad un progressivo spopolamento delle aree interne della Calabria, soprattutto alla perdita di potere d’acquisto dei redditi agricoli e alla mancanza di servizi».
Ma interventi risolutivi non ce ne sono stati o no?
«No, si è sempre proceduto inseguendo le emergenze e sperando nella buona sorte. Abbiamo un territorio violato dall’incuria, dall’abusivismo spinto, da decenni di mancata attenzione alla manutenzione del territorio che, dato che “non porta voti”, non viene tenuta in considerazione dai decisori politici. Perché intervenire per fare manutenzione del territorio, di cui nessuno si accorge fino a quando i nodi non vengono al pettine, quando, invece, il finanziamento delle sagre e il rifacimento, spesso inutile, di spazi urbani rende più evidente l’intervento del politico di turno?»
E il tanto sbandierato Pnrr?
«Purtroppo, i Programmi Operativi, presenti e passati, e anche il Pnrr hanno investito più sulla visibilità degli interventi che sulla loro effettiva rilevanza e urgenza».
Parlando di fragilità del territorio calabrese, quali sono i rischi più gravi che corriamo, senza interventi decisivi e definitivi?
«Senza interventi decisivi e definitivi andremo incontro a sicure tragedie. Il salone del Titanic può rappresentare una metafora efficace di questa situazione. Tutti fanno festa suonano e ballano (riesumano il progetto del Ponte), incuranti del disastro che incombe. Invece di sprecare fondi, che non ci sono e che se andrà avanti il pernicioso prorogato dell’autonomia differenziata non ci saranno mai, per il Ponte, non è più logico e razionale utilizzare le risorse per un grande progetto di risanamento del territorio».
Professore Marino, con estrema chiarezza, ci dica cosa provocherebbe un terremoto oggi in Calabria.
«Produrrebbe devastazioni e morti comparabili con quelli del 1908! Il rischio per un calabrese di morire per un acquazzone appena più forte della media è, purtroppo, elevato e statisticamente apprezzabile. Cosa aspettiamo, quindi, a fare gli interventi che servono? L’autonomia differenziata, se approvata, sarà il miglior vaccino contro la costruzione del Ponte ed anche la pietra tombale sul progetto. L’approvazione di questa legge fa capire quanto importi alla classe politica attuale la costruzione del Ponte, solo uno strumento per illudere i Calabresi e i Siciliani con promesse irrealizzabili e drenare, nel contempo, le risorse in direzione Lombardia e Veneto. Ma con l’autonomia differenziata chi ci darà i fondi per risanare il territorio?»
Già, chi ci darà i fondi per risanare il territorio? La risposta la sappiamo già: nessuno!