giovedì,Marzo 28 2024

Villa San Giovanni, gli studenti del “Nostro-Repaci” a confronto con Pietro Bartolo

Con l’europarlamentare e medico impegnato nel soccorso ai m igranti, un dibattito serrato sul tema dei diritti umani

Villa San Giovanni, gli studenti del “Nostro-Repaci” a confronto con Pietro Bartolo

È stato un «incontro emozionante» quello che si è tenuto sabato 11 febbraio presso l’aula magna dell’Istituto d’Istruzione Superiore “Luigi Nostro – Leonida Repaci”. Gli studenti dell’Istituto, nell’ambito del percorso di Educazione Civica sui “Diritti dell’uomo”, hanno avuto la straordinaria opportunità di ascoltare e conversare con Pietro Bartolo. Medico chirurgo, specializzato in ginecologia, dal 1992 al 2019, anno in cui è diventato membro del Parlamento europeo, si è occupato delle prime visite a tutti i migranti che sbarcano a Lampedusa e di coloro che soggiornano nel centro di accoglienza. Sostenitore dell’accoglienza di immigrati e richiedenti asilo e della necessità di corridoi umanitari contro la tratta degli esseri umani, ha preso parte come ospite a diverse trasmissioni televisive italiane.

A presentare Bartolo è stata la Dirigente scolastica Maristella Spezzano che lo ha ringraziato per il trentennale impegno civile nel campo delle migrazioni, che rappresentano la più grande emergenza umanitaria del nostro tempo, e per «il grande esempio di coraggio, di tenacia e di altruismo nel combattere quotidianamente contro l’indifferenza, in aiuto di chi fugge da guerre, dittatura, miseria, cercando di curare non solo le ferite del corpo, ma anche le ferite dell’anima».

Tra i presenti all’incontro il sindaco Giusy Caminiti che ha parlato del ruolo avuto nell’accoglienza dei profughi dalla comunità di Lampedusa, dalla quale si dovrebbe prendere esempio. Un’emozionata professoressa Versarci ha poi introdotto l’intervento di Bartolo e moderato il confronto con gli studenti.

Bartolo ha raccontato la sua storia, storia che lo vede innanzitutto come cittadino di Lampedusa e, prima ancora di diventare medico, pescatore. Ha raccontato ai ragazzi dei suoi tristi primati da medico, come quello relativo al numero delle ispezioni cadaveriche. Proprio in questi momenti – è scritto in una nota – ha mostrato ai ragazzi il suo volto più umano, il volto di chi spesso ha avuto paura, ha pianto e ha, perfino, pensato di lasciare tutto. Si è chiesto più volte perché il mondo non vedesse tutte le atrocità a cui lui invece doveva guardare dritto in faccia. Ha raccontato di quei “maledetti sacchi”, quelli che lui odiava tanto. Quelli che apriva con la paura di trovarci dentro un bambino, e molto spesso purtroppo era così.

«Quei sacchi mostravano bambini vestiti a festa», perché stavano per arrivare in un mondo nuovo, in quella Europa che avrebbe dovuto accoglierli. Ha raccontato di quella che lui ha definito la «malattia del gommone», frutto del trasporto delle persone insieme alle taniche di carburante. Ha raccontato di quel 3 ottobre 2013, di come, reduce da un’ischemia celebrale, abbia comunque scelto di stare in prima fila e abbia salvato la vita a Kebrat, una ragazza creduta morta.

Bartolo ha voluto raccontare ai ragazzi anche le storie positive e piene di speranza. Come quel bambino nato su una motovedetta a cui è stato legato il cordone ombelicale con un laccio delle sue scarpe. Lui che nel 2016 si è ritrovato su un red carpet per aver preso parte al film documentario Fuocoammare di Gianfranco Rosi, che ha vinto l’Orso d’oro al 66º festival di Berlino e ha ottenuto una candidatura nella categoria “Miglior documentario” agli Oscar 2017, non vuole essere chiamato eroe, «perché non c’è nulla di eroico nell’aiutare gli altri, dovremmo farlo tutti».

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