giovedì,Aprile 25 2024

Terranova partecipa alle “Domeniche del Fai” e mostra il suo patrimonio culturale

Domenica 16 sulle orme del Rinascimento italiano alla scoperta delle opere di Benedetto da Maiano

Terranova partecipa alle “Domeniche del Fai” e mostra il suo patrimonio culturale

Anche Terranova Sappo Minulio entra di gran diritto a far parte del circuito culturale del Fai, percorso già consolidato grazie alle Giornate Fai d’autunno dello scorso anno. Ripercorrendo ancora una volta le orme del Rinascimento italiano, domenica 16, la città (titolo del quale fu insignita con apposito decreto il 28 luglio 2005 dall’allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi) aprirà le sue porte a quanti vorranno visitarla e scoprire le sue origini, che l’hanno vista importante feudo, fondata nel periodo svevo durante il regno di Manfredi, ultimo esponente di una prestigiosa dinastia imperiale, e che annovera un’antica storia che rivive ancora oggi attraverso diverse testimonianze culturali e artistiche.

Il programma

La ricca storia di Terranova, trova il suo splendore artistico-culturale durante il Rinascimento, quando arrivano le “contaminazioni” artistiche toscane, il cui il massimo esponente è il fiorentino Benedetto da Maiano. E proprio alla scoperta delle sue opere si articolerà il programma della prossima domenica targata Fai, che avrà inizio alle 10, con il raduno in piazza monsignor Barreca. Alle 10.30 ci si ritroverà nella chiesa di Maria SS Assunta per ammirare gli straordinari marmi rinascimentali – tra i quali la Santa Caterina d’Alessandria e la Madonna delle nevi dello scultore fiorentino – e ripercorrere la storia millenaria di Terranova.

Alle 12, il percorso proseguirà nel centro storico con la visita nel Santuario del SS Crocifisso e nel palazzo municipale e della cultura, dove è conservato il famoso “Atlante del terremoto” del 1784, opera dell’architetto Pompeo Schiantarelli. Dopo la pausa pranzo, alle 15.30 ci si sposterà alla volta del Museo diocesano di Oppido Mamertina, dove è custodito il San Sebastiano di Benedetto da Maiano. A fungere da Cicerone – per la storia dell’arte – saranno Paolo Martino, direttore del Museo diocesano di Oppido e lo storico dell’arte Pasquale Faenza, mentre della storia locale si occuperanno Mara Ferraro, impegnata in letture sceniche sulla storia di Terranova, e Giosofatto Pangallo, deputato di Storia patria per la Calabria, nonché scrittore, con all’attivo ben tre volumi dedicati a Terranova e un quarto in pubblicazione.

La storia di Terranova

Terranova, alla fine del ‘400, era feudo del conte Marino Correale che lo aveva ottenuto da Alfonso I d’Aragona, facendone il suo principale possedimento. Contrariamente ai feudatari dell’epoca, lo frequentò molto, avendo sposando Covella Ruffo dei conti di Sinopoli. Marino, oltre a essere Conte di Terranova, era anche maggiordomo della regina Giovanna d’Aragona – moglie di Ferrante I re di Napoli – e per questo godeva di importante prestigio alla corte partenopea. Qui aveva conosciuto l’arte rinascimentale e soprattutto uno dei suoi massimi esponenti, il fiorentino Benedetto da Maiano. Marino Correale, rimasto particolarmente colpito dalle sue sculture, commissionò a Benedetto da Maiano – tra il 1489 e il 1490 – la realizzazione di due importanti opere: l’altare dell’Annunziata, da installare nella cappella che lo stesso conte aveva fondato a Santa Maria di Monteoliveto a Napoli, ed un’ancona marmorea destinata, insieme alla tomba, alla sua cappella funeraria nel monastero di Santa Caterina d’Alessandria a Terranova Sappo Minulio.

Della pala calabrese, parzialmente distrutta dal terremoto del 1783, sopravvivono solo cinque frammenti: il San Sebastiano mutilo (che da anni è custodito nel Museo diocesano di Oppido Mamertina), la Santa Caterina d’Alessandria, la Madonna delle nevi (si tratta di un altorilievo raffigurante una Madonna col Bambino all’interno di un paesaggio roccioso), un cherubino della trabeazione e una parte della predella, oggi conservati nella chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta e Sant’Elia di Terranova. La pala commissionata dal conte Marino Correale, si colloca nella produzione marmorea più tarda di Benedetto da Maiano, per la realizzazione della quale si ispirò al suo maestro Antonio Rossellino.

In particolare, prese spunto dal meraviglioso altare marmoreo che questi realizzò nel 1471-1474 circa, per la cappella Piccolomini della chiesa di Monteoliveto. Per il San Sebastiano in particolare invece, Benedetto da Maiano fece riferimento ad un’altra opera del suo maestro Rossellino, ossia la statua di identico soggetto conservata nel Museo della Collegiata di Empoli, dal quale sono desunti la struttura delle membra e il carattere formale. Entrambe le statue raffigurano il santo legato al tronco di un albero, con le mani dietro la schiena e lo sguardo al cielo, nell’estatica accettazione del martirio. Sulla base dello schema suggerito dalla pala d’altare napoletana, il San Sebastiano doveva essere collocato all’interno di una delle due nicchie ai lati del rilievo raffigurante la Madonna della neve.

Il San Sebastiano è privo di una parte delle gambe, andate distrutte nel terremoto del 1783, ma è possibile immaginare l’aspetto originario, osservando una seconda versione marmorea che Benedetto da Maiano aveva avviato alcuni anni più tardi, che però è rimasta incompiuta a causa della morte del maestro, avvenuta nel 1497, e che oggi si trova nell’Oratorio della Misericordia di Firenze. La preziosa statua di San Sebastiano, che dalla chiesa parrocchiale di Terranova Sappo Minulio è stata trasferita al Museo diocesano di Oppido Mamertina, e nel 2021 è stata esposta al Museo del Louvre di Parigi, così come espressamente richiesto dal direttore Jean Luc Martinez. Stessa richiesta è stata fatta anche dal direttore del Museo del Castello Sforzesco di Milano Claudio Salsi, e infatti, successivamente, il San Sebastiano ha lasciato Parigi per raggiungere Milano. Entrambi i Musei hanno voluto esporre la preziosa opere di Benedetto da Maiano, nell’ambito della mostra dedicata alla scultura italiana del Rinascimento “Il corpo e l’anima, da Donatello a Michelangelo”.

Il San Sebastiano, restaurato nel 2004 all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, è rappresentato nella sua iconografia più diffusa: quella di un giovane che, con le braccia dietro la schiena legate a un albero, subisce il supplizio di essere trafitto dalle frecce. Il realismo fisico del martirio è palese nella contrazione del busto, che s’inarca in avanti quasi a volersi liberare dalla stretta delle corde, oltreché nelle ferite lasciate dai dardi, unici segni di sofferenza in un corpo ben modellato. La testa del Santo, leggermente rovesciata all’indietro, è definita dalla bella capigliatura ricciuta, incorniciante un volto imberbe e sereno, per nulla turbato dal martirio, il cui sguardo rivolto verso l’alto trasmette una soave dolcezza. Un morbido perizoma, annodato sul davanti, gli avvolge i fianchi, increspandosi sul lato sinistro, e accompagna con eleganza la linea sinuosa del corpo. Solo nel 2000 Francesco Gaglioti ha ricondotto l’opera a Benedetto da Maiano, collegando tutti i cinque frammenti all’unico grande monumento, che l’artista scolpì nella sua bottega fiorentina tra il 1490 e il 1491, destinato a Terranova Sappo Minulio.

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