Scilla, la tradizione millenaria della caccia al pesce spada raccontata da uno degli ultimi pescatori
Rocco Pontillo: «Svolgo questo lavoro da quando iniziai all’età di 14 anni con mio padre. Oggi lo tramando ai nipoti»
di Giuseppe Mancini – È la “Cardata da cruci” uno dei più noti rituali che ancora accompagna la tradizione marinara della pesca del pescespada nel mitologico mare tra lo Stretto di Messina e la Costa Viola calabrese. Quest’arte, a Scilla così come a Bagnara e a Palmi, viene tramandata di generazione in generazione, conservando canti propiziatori, riti scaramantici e rituali.
La “Cardata da cruci” che consiste nell’incidere con una croce la guancia del pesce dopo la cattura, in segno di prosperità e riconoscenza. La pratica è diventata un marchio distintivo degli esemplari catturati in zona. Il pesce spada è una specialità gastronomica del territorio e un simbolo legato alle radici.
Le battute di caccia
Le battute di caccia iniziano i primi di maggio e terminano a fine agosto. Un tempo venivano eseguite con veloci e snelle imbarcazioni chiamate “Luntri”, poi sono subentrate le tipiche “Passerelle”, le feluche, caratterizzate da un altissimo traliccio di 20-25 metri, dove prendono posto gli avvistatori, i quali avvertono il fiocinatore che si muove su una passerella in ferro che sporge dalla prua per altrettanti 25 metri circa, e tenta di arpionare il velocissimo pesce.
A mantenere in vita l’usanza sono rimasti in pochi. È un lavoro duro che richiede amore per il mare, ore trascorse in barca, sacrificio, ritmi intensi e poco riposo.
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