martedì,Febbraio 18 2025

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA | Pm Ardita: «Separare le carriere è un errore colossale»

Il ritorno in riva allo Stretto del procuratore antimafia per la presentazione del suo libro ci ha dato l’opportunità avere un altro punto di vista su quei cambiamenti che potrebbero portare a rivedere l’intero settore con uno sguardo rivolto ai giovani e alla lotta alle mafie

RIFORMA DELLA GIUSTIZIA | Pm Ardita: «Separare le carriere è un errore colossale»

«È un errore colossale pensare che separare le carriere possa rendere il pubblico ministero più rispondente alle esigenze della collettività». Il procuratore di Catania Sebastiano Ardita tornato in riva allo Stretto a Reggio Calabria non si è sottratto a un confronto franco su quella riforma della giustizia che ha visto la magistratura prendere una posizione netta e contraria.

Parlando in particolare della separazione delle carriere Ardita non ha dubbi. «Le carriere separate allontanerebbero chi svolge attività investigativa dalla giurisdizione e dall’equilibrio necessario. Un pubblico ministero sganciato dalla dimensione giurisdizionale rischierebbe di rispondere a logiche di polizia, con conseguenze pericolose. Come è accaduto con altre riforme, il peso di questa scelta si vedrà soltanto quando sarà attuata, ma le conseguenze potrebbero essere devastanti».

Presentando il suo libro “Il coraggio del male” porta un messaggio di speranza. Per questo a lui abbiamo chiesto se questo male, questo cancro rappresentato dalle mafie si può sconfiggere.

«Il male purtroppo è presente in ogni dimensione dell’esistenza, anche nei rapporti tra le persone. È chiaro che un male così codificato, così visibile, come quello della criminalità mafiosa e della ‘Ndrangheta, è più facilmente riconoscibile e aggredibile. Ma dobbiamo sforzarci di capire qual è il livello di rispetto dei nostri doveri, della nostra capacità di incidere su questo male, anche attraverso il sacrificio che ognuno di noi compie nell’attività di contrasto a queste realtà. Il tema centrale è il rapporto tra l’impegno personale, quello professionale, e la lotta tra bene e male, che si manifesta in mille modi e con mille volti diversi».

Procuratore, proprio perché il male si manifesta in modi diversi, spesso è occulto, travestito da bene, e può nascondersi persino all’interno delle istituzioni. Come può un cittadino comune riconoscerlo ed evitarlo, soprattutto i più giovani, che hanno meno strumenti?

«Dobbiamo superare gli stereotipi manichei che vogliono il bene solo dalla parte di chi svolge un ruolo pubblico, e il male solo nei quartieri a rischio o tra chi vive in condizioni di disagio. Ci sono moltissime persone che vivono in situazioni difficili, ma con dignità scelgono di rispettare le regole. Sono una maggioranza rispetto a coloro che commettono reati o si aggregano alle mafie. È fondamentale lavorare affinché questa minoranza non cresca. Per farlo, chi ha un ruolo pubblico deve essere trasparente e avere un approccio radicale, superando il minimo indispensabile. Deve ricordare che il suo impegno riguarda soprattutto le persone più fragili della società. Gli interventi sociali e pubblici devono guardare alla dignità delle persone e al loro riscatto. Non esiste un manicheismo semplice: il bene da una parte, il male dall’altra. Esiste la volontà degli uomini dello Stato di salvare ciò che può essere salvato. Questo è il messaggio più forte che dobbiamo lanciare».

Lei spesso parla ai giovani, che sono i più esposti e facilmente attratti dal male, senza rendersene conto. Come possono proteggersi da questa attrazione verso la criminalità organizzata, che spesso offre denaro facile e illusioni di potere?

«Dobbiamo dare ai giovani motivi per vivere, ragioni di speranza, occasioni che consentano loro di esprimere pienamente il proprio potenziale. È la mancanza di opportunità, spesso causata da chi dovrebbe offrirle – il mondo pubblico, istituzionale – che apre le porte alla criminalità organizzata. I giovani che vedono nelle mafie una possibilità di realizzazione finiscono per trovare un’identità nel male. Questo è l’errore più grave: lasciare spazio alla criminalità rispetto agli obiettivi di promozione individuale e sociale».

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