La Grecanica come il Salento? Sì, ma serve un racconto all’altezza di ciò che questo territorio custodisce
L'analisi del sociologo della comunicazione Fulvio D’Ascola: «La Calabria deve imparare a raccontarsi. Tocca a noi darle voce, oppure non cambierà mai nulla»

L’area grecanica ha tutto ciò che serve per diventare una meta di richiamo internazionale, proprio come è accaduto con il Salento in Puglia. A sostenerlo è Fulvio D’Ascola, sociologo della comunicazione, che invita a guardare alla comunicazione come leva strategica per il futuro di questo territorio.
«L’area grecanica, secondo me, potrebbe diventare come il Salento in Puglia, perché è fondamentale. È un’area che ha una connotazione culturale fortissima, che arriva soprattutto dal linguaggio» – spiega D’Ascola, che nel corso dell’intervista mette a fuoco con chiarezza i punti deboli e le potenzialità ancora inespresse del territorio. «Ricordo anche il Paleariza, tutti quei grandi movimenti musicali in cui arrivavano artisti internazionali che portavano la loro cultura. Ha delle bellezze uniche, che – devo dire – purtroppo noi reggini, non dico calabresi, non apprezziamo».
Il sociologo parla non da osservatore distante, ma da chi l’area grecanica la vive direttamente: «D’estate ho casa a Bova Marina, e quindi la conosco, la vivo. Ricordo che, in spiaggia, c’erano delle persone da Firenze che avevano affittato un appartamento per girare tutta l’area grecanica, andando in luoghi che magari noi stessi non conoscevamo. È un territorio che arriva fino alla Locride, ed è qualcosa di profondamente identitario».
Ma è proprio qui che, secondo D’Ascola, si innesta il nodo più urgente: la comunicazione, che non funziona, che non riesce a valorizzare ciò che esiste. «C’è un processo importante da portare avanti per promuovere l’area grecanica, e deve nascere dai cittadini e dalle istituzioni locali. È l’unico modo per espanderla al meglio» dice il sociologo, sottolineando la necessità di una strategia che parta da chi abita quei luoghi.
La differenza con il Salento, secondo D’Ascola, non è nei contenuti, ma nella narrazione. «In Puglia hanno lavorato molto sulla promozione dell’identità territoriale, che è forte, che è presente. Cosa c’è di diverso? Sanno farlo meglio. Siamo noi che non siamo bravi, diciamo così. Purtroppo è così. È un livello di comunicazione: la Puglia ha una narrazione diversa rispetto alla Calabria».
E allora, la proposta è chiara: «Dobbiamo partire da una narrazione diversa della Calabria». Il sociologo racconta anche un momento televisivo che per lui ha rappresentato una svolta, o almeno un’eccezione che conferma la regola. «Una volta Linea Verde fece un servizio su Bova, e soprattutto su un ragazzo che fa il pastore. Per la prima volta, il conduttore si emozionò fino alle lacrime, si commosse mentre quel ragazzo spiegava come amava il suono delle sue pecore e delle capre, accordando le campane. Ecco, pensiamo a queste cose bellissime».
Ci sono i beni naturali, c’è la lingua grecanica, c’è la cucina, le spiagge, i borghi. C’è una storia millenaria. Eppure, ancora oggi, resta invisibile. «Allora interroghiamoci. Perché, quando andiamo in giro per il mondo, diciamo “ma quanto è bello”, anche in posti che non hanno una storia grande come quella dell’area grecanica?».
La risposta è tutta lì: serve un cambio di passo, e serve ora. Perché il futuro dell’area grecanica passa da chi la vive, da chi saprà raccontarla al mondo con passione, cura e visione. Non basta avere una storia straordinaria. Bisogna saperla trasformare in racconto. Solo così, finalmente, potrà diventare ciò che merita di essere.
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