Area Grecanica e spopolamento, la Regione se n’è accorta e apre a un cambio di passo. L’Assessore Capponi: «Ricominciamo dai giovani»
Più di cinquemila residenti in meno: un territorio intero scivolato nel silenzio. La titolare di Politiche Giovanili e Sociali: «Non possiamo più permetterci silenzi istituzionali. Oggi serve una presenza che si veda e si senta»

«Cinquemila persone in dieci anni. È come se fosse scomparso un intero paese, mezza Melito o una Bova Marina intera». Nel volto e nelle parole di Caterina Capponi, assessora regionale alle Politiche sociali, Cultura, Politiche giovanili e dello Sport, Infrastrutture sportive e Pari opportunità, c’è tutto il peso di un fenomeno che ha lasciato cicatrici profonde. Lo spopolamento dell’Area grecanica non è più soltanto un’emergenza demografica, ma un sintomo chiaro di disconnessione strutturale, assenza politica, disillusione collettiva.
Secondo i dati Istat più aggiornati, tra il 2010 e il 2023, l’Area grecanica ha perso 5.352 residenti, con una diminuzione media del 18,2% della popolazione. In alcuni comuni come Roccaforte del Greco, la perdita ha superato il 40%. In altri, come Roghudi, Staiti e Palizzi, l’emorragia ha inciso in maniera silenziosa ma devastante. Questi numeri raccontano di una ritirata lenta, dove ogni famiglia che parte lascia dietro una casa chiusa, una luce spenta, un silenzio più pesante.
La Capponi li guarda senza girarsi dall’altra parte. «Negli ultimi dieci anni più di cinquemila persone hanno lasciato l’Area grecanica. È un dato che fa male. Parliamo di un territorio che, nella sua bellezza e complessità, è stato spesso dimenticato, lasciato solo, abbandonato».
A partire da questa consapevolezza, l’assessora prova a delineare una direzione politica diversa, dentro una visione di Regione che vuole assumersi la responsabilità di ricucire la distanza tra centro e margini, soprattutto con una parte della Calabria che «è stata lasciata un po’ da sola, sotto tanti punti di vista. Non soltanto culturale, ma anche infrastrutturale. Basti pensare alla 106, alla condizione delle vie di collegamento, alla mancanza di accessi reali ai servizi di base. Tutto questo ha contribuito a creare una percezione di isolamento. E l’isolamento, col tempo, diventa un esilio».
Ma non è solo questione di strade. Il nodo, dice l’assessora, è la narrazione stessa del territorio.
«Serve una visione culturale che non sia solo retorica identitaria, ma generatrice di economia, attrazione, orgoglio. L’Area grecanica è un giacimento straordinario di storie, persone, suoni, arte. Eppure è come se tutto questo non fosse mai diventato motore reale. Oggi stiamo provando a cambiare rotta. E lo facciamo con una programmazione trasversale, che unisce cultura, sociale, giovani, sport. Ogni delega ha una responsabilità dentro questa sfida».
Il cuore della questione, per Capponi, resta la fuga dei giovani.
Nell’Area grecanica, secondo i dati 2023, la popolazione sotto i 14 anni è inferiore al 10%, mentre oltre il 35% ha più di 65 anni.
È una terra che invecchia rapidamente, e che fatica a immaginare il futuro perché ha perso la fascia d’età che dovrebbe generarlo.
«Ho rivolto l’attenzione soprattutto a loro, a quei ragazzi che sono andati via, spesso senza alcuna alternativa. Dobbiamo creare attrattività, ma non è uno slogan. Significa rendere vivi e credibili i contesti, offrire spazi, occasioni, futuro. I giovani tornano solo dove sentono che può succedere qualcosa. Dove non si sentono di passaggio, ma protagonisti».
L’assessora parla con nettezza anche della necessità di superare l’ottica degli interventi episodici.
«Non possiamo pensare di invertire lo spopolamento con un bando o un finanziamento isolato. Serve continuità, coerenza, radicamento nei territori. E serve soprattutto ascoltare chi vive davvero questi luoghi, chi ha scelto di restare e resiste ogni giorno. Per questo stiamo costruendo momenti di confronto reali, non solo passerelle. Il cambiamento passa da lì».
E se la politica ha spesso mancato l’appuntamento con l’Area grecanica, oggi, dice Capponi, c’è una consapevolezza diversa dentro la giunta. Quella «di non delegare più, di non lasciare interi pezzi di Calabria fuori dalle agende. Il lavoro è lungo, ma è cominciato. E se i cittadini sentono che non sono soli, allora qualcosa si muove. Lentamente, ma si muove».
In paesi che contano oggi appena 300 abitanti, bastano dieci partenze per fare notizia. E quando non c’è più un bar, quando la scuola elementare non riapre, quando anche il parroco viene sostituito da turni mensili, la vita si assottiglia fino a diventare fragile. Meno voci, meno servizi, meno bambini. È così che si spegne un luogo.
Per questo l’Assessore Capponi non ha dubbi. «La vera sfida è far tornare il desiderio. Far sentire che si può restare non per rassegnazione, ma per scelta. E che questa scelta può essere anche giusta, anche piena, anche felice».
In molti borghi, le parole stanno sparendo insieme alle persone. Nomi di luoghi, canti, espressioni del greco di Calabria che per secoli hanno custodito la memoria delle comunità si vanno spegnendo con chi parte e con chi resta in silenzio. Rianimare il territorio vuol dire anche proteggere queste voci antiche, non con la nostalgia, ma con la forza della trasmissione. Perché senza lingua, senza memoria, nessun ritorno è davvero possibile.
Restare, oggi, significa anche sapere che non tutto è stato tolto. Che c’è ancora una porta aperta, un ufficio in cui entrare, una voce che risponde al telefono. In questi paesi, dove ogni chiusura pesa il doppio, la presenza di un servizio pubblico è più di una funzione: è un segno di esistenza. Una scuola, un ambulatorio, un impiegato comunale: sono tracce vive di uno Stato che non ha smesso di guardare verso i suoi margini. E quando resta anche solo un presidio, allora forse resta possibile anche la scelta di restare.
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