mercoledì,Maggio 14 2025

Tra mito, fede e maternità: i riti pasquali nell’area grecanica risvegliano l’identità profonda di una Calabria antica

Dalla processione di Bova ispirata a Demetra e Persefone, ai canti ortodossi di Gallicianò, fino alla Pesach e alla “Musulupa”, la Pasqua nella Bovesìa è un mosaico di culture che resiste e incanta

Tra mito, fede e maternità: i riti pasquali nell’area grecanica risvegliano l’identità profonda di una Calabria antica

Nel cuore ruvido e poetico dell’area grecanica, la Pasqua non è soltanto una festività religiosa. È un ritorno alle origini, un tempo sospeso in cui le radici elleniche, cristiane, ebraiche e contadine si intrecciano come i rami d’ulivo portati in processione per le vie antiche dei borghi. Qui, tra le alture che guardano lo Jonio e i silenzi delle pietre, la Settimana Santa si fa gesto, rito, canto e materia, e restituisce senso a un tempo che altrove sembra aver smarrito la profondità del sacro.

Dai riti ortodossi celebrati a Gallicianò in lingua greca, agli intrecci ispirati al mito di Demetra e Persefone a Bova, fino alla Pesach celebrata nel privato da quelle famiglie di culto ebraico che si stringono attorno alla seconda sinagoga più antica d’occidente a Bova Marina, ogni dettaglio racconta una storia che affonda nei millenni e resiste all’usura del presente. E poi c’è lei, la Musulupa, forma bianca e simbolica di un formaggio che riproduce la maternità e la fertilità della Madre Terra, toccando corde profonde e universali.

La Pasqua nella Bovesìa è molto più che una ricorrenza liturgica: è una dichiarazione d’amore verso ciò che siamo stati, e forse ancora possiamo essere. Una geografia dell’anima, in cui i riti non sopravvivono per nostalgia, ma continuano a parlare, con forza e dolcezza, al nostro bisogno di radici e futuro.

A Bova, uno dei borghi più suggestivi della Calabria e cuore pulsante dell’area ellenofona, la Domenica delle Palme si celebra con una forza evocativa che va ben oltre la liturgia. Qui, la fede si fa rito visibile e identità collettiva, attraverso l’intreccio di rami d’ulivo che diventano vere e proprie opere simboliche ispirate al mito di Demetra e Persefone. Una tradizione che affonda le sue radici nella cultura magnogreca e che oggi, trasfigurata nel contesto cristiano, viene portata in processione tra i vicoli in pietra del borgo.

Le figure vengono smembrate alla fine del corteo, in un gesto che racconta la continuità di un rito millenario. A guidare questo momento di profonda partecipazione popolare, il Comune di Bova, che con orgoglio rinnova un evento unico in tutta la nazione.

«È un’emozione», racconta Gianfranco Marino, vicesindaco e assessore alla Cultura, «perché il colpo d’occhio che abbiamo potuto osservare durante il corteo, ma soprattutto nella parte finale, quando c’è lo smembramento delle figure, è qualcosa che parla di un rito che si perpetua. È evidente quanto questa tradizione abbia superato i confini metropolitani e regionali».

Una tradizione antichissima che trova nuovo slancio grazie a un lavoro educativo capillare. «Quest’anno abbiamo rivolto un’attenzione particolare ai bambini delle scuole», spiega Marino. «Abbiamo organizzato laboratori mattutini dedicati a loro, mentre la sera c’erano quelli per gli adulti. È importante che i più piccoli comincino a camminare con le gambe della tradizione: non solo per custodirla, ma per darle nuova vita. L’intreccio della foglia d’ulivo, la manualità, la trasmissione dei gesti antichi: tutto questo non deve andare perduto».

La partecipazione è stata ampia e sentita, con centinaia di persone arrivate da tutta la Calabria, e anche da fuori regione. Turisti, studiosi, curiosi, ma anche e soprattutto abitanti del territorio, protagonisti di una comunità che resiste allo spopolamento rilanciando cultura, identità e bellezza condivisa.

Dai monti che custodiscono Bova, lo sguardo si allunga fino ad abbracciare Gallicianò, frazione di Condofuri e cuore spirituale della minoranza ellenofona calabrese. Qui, la Settimana Santa si celebra secondo il calendario ortodosso, seguendo le antiche liturgie in lingua greca e scandendo i giorni con canti, preghiere e rituali che affondano le radici nei primi secoli del cristianesimo. Nel piccolo tempio ortodosso, le icone dorate, i profumi d’incenso e la lingua arcaica avvolgono i fedeli in una dimensione sospesa, quasi fuori dal tempo. È la celebrazione di un’identità resistente, che si manifesta con fierezza, anche grazie all’impegno quotidiano della comunità locale.

Quello di Gallicianò non è un folklore esibito per i turisti: è una liturgia viva, praticata da chi ha scelto di rimanere. E in questo rimanere, in questa ostinazione alla prossimità, si legge una forza sotterranea che rende la Bovesìa un luogo dove l’Europa incontra le sue origini e dove la spiritualità conserva una voce autonoma e potente. A qualche chilometro di distanza, in ambiti più privati e familiari, si celebra invece un’altra Pasqua: quella ebraica, la Pesach, nella terra della seconda sinagoga più antica d’Europa, rinvenuta proprio a Bova Marina. Un legame discreto, ma ancora vivo, che si rinnova ogni anno per otto giorni in memoria della liberazione del popolo di Israele dalla schiavitù d’Egitto.

La Pesach si consuma tra le mura domestiche con preghiere, canti antichi e cibi simbolici, primo fra tutti il pane azzimo, preparato solo con acqua e farina di cinque cereali: frumento, orzo, avena, segale e spelta. Nessun sale, nessun lievito. È un gesto essenziale, che parla di povertà, liberazione e memoria, e che richiama una storia millenaria che ha attraversato il Mediterraneo lasciando impronte discrete ma profonde anche in questa parte estrema della Calabria. In questo viaggio tra simboli e spiritualità, c’è un’altra protagonista silenziosa della Pasqua grecanica: la Musulupa, un formaggio dalla forma arcaica e dal significato potentissimo. Senza sale, senza stagionatura, si gusta fresco, condito con olio, origano e poco più. Ma a renderlo unico non è il sapore, è il messaggio.

Viene plasmato con due stampi in legno di gelso, i musulupari, e riproduce la figura stilizzata di una donna. Uno stampo, semisferico, ricorda una mammella; l’altro rappresenta un corpo femminile privo di braccia e gambe. Il colore candido, la forma e la consistenza alludono a maternità, fertilità e abbondanza. È l’archetipo della Madre Terra, la stessa che da secoli nutre e protegge queste comunità dell’estremo Sud. La Musulupa è un gesto di continuità, un sapere che si tramanda di mano in mano, di casa in casa, tra le donne di Bova e dell’intera area grecanica.

E forse è proprio in questa coesistenza tra spiritualità e materia, tra sacro e domestico, che la Pasqua nella Bovesìa trova la sua forma più autentica. Ogni gesto, ogni rito, ogni sapore sembra dire la stessa cosa: qui, la memoria è una forma di resistenza. Una resistenza fatta di intrecci, di canti, di formaggi bianchi e di parole in greco.

In un tempo che corre veloce e tende a uniformare tutto, la Pasqua grecanica è una festa del ritorno: ritorno alla prossimità, ai gesti lenti, al senso di comunità vissuta. È una proposta per il futuro. Scegliere di venire a Bova, a Gallicianò, a Bova Marina è una ricerca di senso. E allora, anche solo per qualche giorno, anche solo per una processione o un morso di Musulupa, tutto torna a parlare con voce antica e limpida. E ci riguarda da vicino.

Articoli correlati

top